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archivio > Archivio sulla sinistra>Vecchi e giovani (il programma comunista, n. 23, 31 dicembre 1959 - 13 gennaio 1960)

aggiornato al: 12/01/2009

il programma comunista, n. 23, 31 dicembre 1959 - 13 gennaio 1960

Un altro articolo tratto da un vecchio numero di il programma comunista. Questo prende spunto da una qualche riunione del Pci, quel partito di cui si dice con preveggenza che finirà un giorno sgonfiandosi per aver troppo sgonfiato.

Anche oggi, come allora, più che di generazioni si tratta di vedere il  tempo sociale che si vive che è, oggi come allora, quello della corruzione controrivoluzionaria.

 

Vecchi e giovani

 

 

Sulle colonne dell' Unità si svolge una pallida tribuna precongressuale per il congresso che non si sa che cosa debba discutere e decidere e quale crisi o svolto liquidare. Le partecipazioni si chiamano secondo il cretinismo parlamentare  interventi, e ci è caduto lo sguardo  su quello «Vecchi e giovani» del vecchio Li Causi, non si sa se preoccupato o comandato a dissipare preoccupazioni altrui. Prende le mosse dalle sollecitazioni dei giornalisti alla conferenza stampa di Togliatti (apertura di un  nuovo corso, e come no?) in cui quelli, avidi, speravano di scoprire un prossimo scompigliamento di grado pari a quello democristiano, che non si avrà mai. Il partitone è impotente anche a questo, non si romperà mai, ma solo finirà un giorno sgonfiandosi per avere troppo sgonfiato.

Togliatti deluse i conferenti. Che, che... resistenze, incomprensioni, dubbi, qui tutto. Ma Li Causi pone il quesito se queste incrinature siano tra vecchi e giovani, per dissipare il fantasma. Egli cita Gramsci che si chiese se poteva sorgere una lotta di generazioni tra giovani «infantili» e vecchi «antiquati», mentre occorre che gli anziani maturi educhino i giovani.. Il buon Antonio fu sempre un educazionista insanabile, ed evidentemente pensava a fastidi che avrebbero potuto dare quei pochi, che si possono vantare di essere al tempo stesso tanto «infantili» quanto «antiquati». I suoi discepoli siano tranquilli che nelle loro file non vi è nessuna quinta colonna di tal genere.

L'orrore del buon vecchione Li Causi per il rigidismo settario in vecchi e giovani e la sua incompatibilità con ogni senso di classe, si vede dal paragone che fa per scongiurare il sinistro che qualche ultimo antico comunista rimasto là dentro (impossibile!) ne veda tante da ritirarsi su una specie di Aventino.

«Chi non ricorda quei protagonisti del nostro (sì, del vostro), Risorgimento, artefici dell'unità d'Italia che partiti da posizioni radicali e progressiste, ad ogni minaccia, vera o presunta sull'unità del Paese,agivano in modo (è chiaro, appartandosi) da rafforzare anche non volendo il gruppo dirigente conservatore che l'unità d'Italia volgeva ai suoi fini di classe?».

Può pensarsi nulla di più filisteo di un simile schema?

L'Unità d'Italia si fece per fini di classe ed anche rivoluzionari, conformi agli interessi della borghesia italiana. Già nel 1911, quando Li Causi non era vecchio, i socialisti avevano ripudiata ogni apologia politica di quel bagaglio ideologico, nel senso che non credevano che l'Unità si fosse fatta per i lavoratori, e poi sarebbe stata sfruttata e rubata dai borghesi!

Mazzini o Garibaldi, se erano in un certo senso gli estremisti di quella rivoluzione, si staccavano dal gruppo dominante in quanto tradiva il contenuto antifeudale, anticlericale, e antimonarchico anche, dei primi generosi gruppi borghesi. Se fecero i vecchi ingrugnati davanti alle manovre del nuovo stato sabaudo, lo fecero per logica determinazione storica, ed è posizione filistea accusarli ora dopo un secolo di avere «fatto il gioco» di non si sa chi, per non avere «fatto compromessi». Che razza di esempio storico.

No, non si tratta di una lotta tra generazioni. Si tratta di vedere se il tempo sociale che si vive è o non è di rivoluzione. In queste fasi generose sono a posto i giovani, che possono errare di tattica anche per troppo slancio e spirito di sacrificio, e i vecchi che non mercanteggiano in patti equivoci la loro tradizione rivoluzionaria.

Oggi non siamo nel tempo della nuova storica rivoluzione del proletariato, ma in quello della corruzione controrivoluzionaria. Nel partitaccio non si leveranno per generosità giovani contro vecchi, né per fedeltà ai principi, vecchi contro giovani. I vecchi sono dei rimbambiti ruffiani che possono tenere cattedra di una sola cosa: che tutto è lecito tradire, vendere e mistificare. I giovani hanno già appreso ad essere decrepiti cinici, che del partito fanno il solo conto di poter avere una pedata nel sedere per avanzare nel successo personale.

Non vi è il pericolo di una lotta di generazioni, non vi è questa né altra speranza. L'ignominia non ha atto di nascita.

 

il programma comunista, n. 23, 31 dicembre 1959 - 13 gennaio 1960