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archivio > Archivio sulla sinistra>Per il Primo Maggio Rosso (battaglia comunista 1950, il programma comunista 1954)

aggiornato al: 01/05/2009

Battaglia comunista 1950, il programma comunista 1954

Pochi ricordano ormai lo sciopero di Chicago del 1886 per la giornata lavorativa di otto ore  e la decisione di ricordare da allora quel momento di lotta e i caduti che provocò tra il proletariato l'aver alzato la testa e non più subito passivamente; da allora il primo maggio fu il simbolo della lotta contro la borghesia, il suo stato e la società basata sul lavoro salariato. Oggi che la borghesia stessa ne ha fatto una pagliaccesca parodia di armonia, pace e fraternità, esso rimane per ogni comunista un simbolo della lotta rivoluzionaria del proletariato.

Riproponendo questi due  vecchi articoli sul Primo Maggio, uno del 1950 e l'altro del 1954, vogliamo solo ribadire cosa rappresenta questo giorno di lotta, cosa ne è stato fatto e cosa dovrà ritornare ad essere.

 

 

Rosso contro tricolore

 

Dalle forze della democrazia, il Primo Maggio è stato celebrato il 25 aprile. Bisognava riconfermare davanti a tutti, ma specialmente di fronte ai proletari, che destra e sinistra, governo ed opposizione, si riconoscono figli della stessa madre - la guerra cosiddetta liberatrice -, e madri della stessa figlia - la democrazia costituzionale borghese. Bisognava rivendicare, soprattutto dai partiti che all'interesse superiore della patria conviene chiamare operai, i «valori della resistenza», cioè riconoscersi e farsi riconoscere come le forze operanti del massacro mondiale, della riedificazione dello Stato nella varietà aggiornata e rafforzata dei suoi ingranaggi, dell'inserimento dei sindacati tradizionali nel meccanismo statale; rivendicare il merito di una vittoria sui fascisti che ha moltiplicato per mille, su scala mondiale, i fasti e i nefasti del fascismo e di una pace che non è se non che la continuazione, con forme sempre diverse, del secondo macello imperialistico. Era, per i partiti della sinistra borghese, ricordare ai proletari, nell'imminenza del Primo maggio, che la loro bandiera non è rossa ma tricolore, che il loro fine non è la rivoluzione proletaria ma la ricostruzione patriottica, che i loro schieramenti si saldano non alla tradizione del marxismo ma alla continuità delle conquiste borghesi del risorgimento. Non a caso, poco prima del Primo Maggio, Togliatti commemorava Giolitti: non si ritorna al risorgimento senza ricollegarsi idealmente e nei fatti al ministro della malavita. al grande corruttore del movimento operaio, al geniale e pacifico liquidatore dell'occupazione delle fabbriche.

Ma riconoscersi ed affermarsi come partiti solidali della democrazia, richiamarsi alle radici del proprio albero ideologico per ricongiungersi alla battaglia mondiale della seconda guerra, voleva anche dire ripresentare dietro l'unità del tricolore, il contrasto che oppone le forze imperialistiche delle stelle e strisce alle forze imperialistiche della stella a cinque punte. Il Primo Maggio è stato perciò la riconferma di queste due facce divise e congiunte dei partiti della democrazia: Primo Maggio di solidarietà politica nel nome della democrazia e della patria, Primo Maggio di preparazione alla guerra imperialistica; Primo Maggio dei piani per la ripresa dell'economia nazionale e delle campagne di orchestrazione della pace per l'arruolamento delle masse  nelle legioni volontarie del nuovo massacro. Non per nulla, i sindacati dei partiti di affiliazione americana hanno atteso quella data per fondersi in un organismo solo da contrapporre all'unico organismo di affiliazione russa; non per nulla, nella Berlino simboleggiante la tragicommedia della guerra e della pace liberatrici, il Primo Maggio è stato celebrato da forze operaie contrapposte, divise da una barricata di guerra.

Per noi, il Primo Maggio non poteva essere che la violenta contrapposizione a questo tricolore (che è uno e trino, perché porta dentro di sé, come sua realtà profonda, i colori dei due centri mondiali dell'imperialismo) del rosso delle forze proletarie legate alla continuità di un secolo di battaglie di classe. La separazione anche fisica che da quattro anni contraddistingue i nostri Primi Maggi, doveva tradursi in un atteggiamento che non si limita ad essi, ma è norma costante della nostra battaglia: c'è invero una frattura che va al di là delle divisioni di Partito, perché è una frattura di classe, fra noi e lo stalinismo come fra noi e i partiti ufficiali di governo, ed è l'abisso che da un secolo oppone il proletariato al suo sfruttatore, al suo aguzzino, al suo capociurma. Non è più questione di riconquistare alla battaglia di classe degli organismi sindacali guastati dall'opportunismo: si tratta di prepararsi a distruggerli come qualunque organismo dello Stato borghese. Non è più questione di abbattere il diaframma che fra l'avanguardia rivoluzionaria e le masse avevano elevato i riformisti: si tratta di strappare i proletari alla morsa e alla prigione degli schieramenti politici e di guerra dell'imperialismo. Celebrare soli il Primo Maggio è stato per noi richiamare i proletari alla coscienza di un abisso, invitarli a rifiutarsi di servir di massa di manovra, sotto qualunque pretesto, alle esercitazioni tattiche e strategiche della controrivoluzione. Come nel corso della seconda guerra mondiale, in questo interludio di pace calda o di freddo macello, la nostra parola d'ordine è la diserzione dalle file dei partiti dell'imperialismo, la ribellione alla mobilitazione di guerra che sotto le parole della pace russa o americana, della democrazia parlamentare o popolare, della giustizia sociale predicata dalle confederazioni di destra e di sinistra, incolonna i proletari verso i fronti insanguinati del conflitto mondiale. Sia il nostro rifiuto di marciare dietro i partiti del tricolore, il NO dei proletari agli aguzzini di destra e di sinistra.

 

battaglia comunista, n. 9, 4 - 18 maggio 1950

 

 

Per il Primo Maggio Rosso

Contro il primo maggio tricolore

 

Il Nazismo trasformò il Primo Maggio in una festa della nazione e della razza. La democrazia l'ha trasformato in una festa statale, in un'appendice del 25 aprile in cui tutti i partiti danzano intorno all'albero della cuccagna dell'ordine costituito. Da festa dei lavoratori in ricordo di lavoratori caduti nella guerra fra le classi e a raccolta delle forze protese verso il rovesciamento di un regime grondante sangue, il Primo maggio rosso è stato capovolto in una pacifica festa di collaborazione fra le classi all'insegna del tricolore.

Mai come quest'anno, tuttavia, i termini tradizionali dell'impostazione di una giornata che per noi ha valore solo in quanto esprima e condensi una esperienza internazionale di lotta, appaiono rovesciati. Lasciando da parte le organizzazioni sindacali che partecipano alla celebrazione per dovere d'ufficio, la massima organizzazione operaia, la C.G.I.L. è impegnata più che mai nell'esecuzione di un piano di propaganda che è esplicitamente diretto al salvataggio dell'economia nazionale dalla crisi. La più aggiornata versione dell'opportunismo ha «scoperto» che l'industria nazionale è nostra, e che si difendono gli interessi proletari assicurando agli azionisti il flusso costante dei loro profitti. Dopo di aver fatto propri  il più sfegatato nazionalismo e le parole più trite della difesa della «patria contro lo straniero», essa ha scoperto un nuovo... internazionalismo: quello dei mercanti, e annuncia un'era di pace basata sulla pacifica conquista dei mercati dell'Oriente (che proclama socialista) da parte degli industriali e dei commercianti onesti. Ha, seguendo l'insegnamento di Stalin, raccattato la bandiera caduta delle ideologie borghesi della «personalità umana», della costituzione, della legge, della democrazia, dell'uguaglianza di tutti i cittadini, della solidarietà nazionale. Perfino sul piano rivendicativo, a quella che Marx chiamò la rivendicazione rivoluzionaria: «abolizione del salariato!» ha sostituito una versione ancora peggiorata della parola d'ordine conservatrice: «Salario equo per giornata di lavoro equo!» trasformandola in: «Produttività massima  per salario equo!». Mercanti della politica  e ruffiani dell'ideologia essi adorano come unico dio la merce. Il loro Primo Maggio è il Primo Maggio degli industriali.

Frattanto, in questa democrazia da loro costruita sulle macerie di una guerra alla quale essi portarono una giustificazione ideologica e per la quale mobilitarono le migliori energie operaie, la situazione sociale smentisce tutte le parole d'ordine su cui è impiantata la propaganda ufficiale delle organizzazioni politiche e sindacali che, sfruttando un passato glorioso, raccolgono sotto le loro bandiere la maggioranza dei proletari. La ferrea legge dell' economia capitalista non perdona: nel morso della crisi, i licenziamenti seguono ai licenziamenti e le serrate alle serrate, gli orari di lavoro degli occupati si riducono, la disoccupazione dilaga con un ritmo che le affannose e grottesche manovre di tamponamento e di attenzione sviluppate dal governo non riescono a seguire. Sul piano internazionale, mentre i mercanti si dispongono ad allacciare nuovi rapporti di scambio, i proletari sono inviati a scannarsi su teatri di guerra coloniali. La collaborazione di classe è in realtà una lotta di classe a senso unico: nel senso del capitalismo contro il suo nemico ereditario incatenato.

Se, in questa atmosfera festaiola, ha per noi un senso commemorare il Primo Maggio, è proprio per ribadire la perennità della lotta di classe e l'inevitabilità che, nonostante l'opera dei  pompieri al soldo della classe dominante, essa torni a fiammeggiare negli eserciti compatti del proletariato rivoluzionario: non per la difesa della Patria tricolore e dell'industria nazionale, ma per l'assalto a questi santuari della servitù del lavoro.

 

il programma comunista, n. 9, 30 aprile - 13 maggio 1954