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archivio > Archivio sulla sinistra>Il "destino dell'uomo", (il programma comunista, n. 9, 30 aprile - 13 maggio 1963)

aggiornato al: 14/06/2009

il programma comunista, n. 9, 30 aprile - 13 maggio 1963

Bello, semplice e chiaro questo articolo in cui senza fronzoli si ribadisce quanto il marxismo e l'adesione ad esso si differenzi da ogni altra credenza, filosofica o religiosa, e ci viene voglia di ricordare quanto Gramsci disse in sede di Congresso di Lione nel 1926 e cioè:

«do' atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi che l'aderire al comunismo marxista non importa solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma comporta una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale».

 

Il «destino dell'uomo»

 

Sulla china che nel 1921, staccandoci dal P.S.I., prevedemmo per quel partito, e che portava allo «unitarismo» di allora giù  fino al riformismo, al collaborazionismo e all'aperta reazione - tanto più aperta quando la situazione diverrà realmente rivoluzionaria, e la classe operaia saprà ben vedere a chi somministrare pedate nel sedere e chi seguire nel sicuro cammino della rivoluzione, tracciato da un secolo e oggi difeso contro ogni lue opportunistica dal solo partito comunista rivoluzionario -, su questa stessa china rotola ignominiosamente sempre più il «partitone» che di comunista ha solo l'etichetta, e una etichetta usurpata.

Sappiamo che per questa china una volta abbandonata la dottrina marxista (unica guida non solo per leggere nella presente disgraziata società divisa in classi i contrasti e le contraddizioni, ma anche per comprendere la dialettica delle classi nelle società passate e per gettare fasci di luminosa certezza nella società futura) ci si preclude per sempre la possibilità di seguire una via rivoluzionaria e si cade nelle braccia aperte dell'opportunismo più schifoso. Riflesso di questa posizione reale nel campo delle lotte di classe non può non essere l'abbandono di ogni linguaggio marxista, e l'adozione del trito e ritrito linguaggio delle classi dominanti, con tutti i suoi luoghi comuni, le sue mistificazioni, le sue ipocrisie, i suoi inganni.

Il nostro stomaco non ci consente una continua alimentazione a base di stampa avversaria; ma quando ciò saltuariamente accade ci imbattiamo in autentiche «perle di schifezza». Nel numero di Rinascita del 30 marzo u.s., abbiamo trovato una «conferenza» dal titolo magniloquente: «Il destino dell'uomo».

Il titolo è già di per sé tutto un programma: non classi in lotta l'una contro l'altra, con obiettivi in irriducibile contrasto, impegnate in una battaglia per la vita o per la morte; ma il destino dell' «uomo», di questo «che»  di comune  e di superiore a tutti, che apparterrebbe agli sfruttati e agli sfruttatori, ed alla cui realizzazione (o ideale, che stai nel regno delle idee che noi dobbiamo sforzarci di tirare - o calare, direbbero i concretisti, giù tra noi!!!) sarebbero egualmente interessati oppressi e oppressori.

L'unica idea, alla quale fanno contorno un fiume di parole inutili, è questa: «abbiamo qualcosa in comune, voi cattolici e noi comunisti [?!], ed è la nostra natura di uomini [bella scoperta!], la nostra comune civiltà, il nostro desiderio di pace. Al di sopra delle ideologie, uniamoci e lottiamo per questo unico bene [il sommo bene!], la pace, che pochi pazzi minacciano ed a cui siamo tutti interessati. Per raggiungere questo fine, non importa essere divisi su questioncelle di secondaria importanza, importa andare diritti, mano nella mano, verso la comune meta».

Quest'idea centrale è poi contornata da mille altre affermazioni una più rinnegatrice dell'altra, che mostrano ancora una volta l'abisso opportunistico in cui è caduto il «partitone» e noi le riportiamo al solo scopo di ribadire ancora una volta le nostre posizioni classiste, che sono quelle del marxismo, non per gusto di far della critica fine a se stessa .

Ecco, proprio all'inizio, la prima perla: «Noi abbiamo respinto i tentativi di un non possibile compromesso ideologico anche di fronte alla presenza nelle nostre file di un numero certamente grandissimo - una maggioranza certo, sul totale - di credenti». Eccoli, i leninisti, che nel loro partito non solo accettano cattolici credenti, ma confessano addirittura di averli in maggioranza! Eccoli costoro che si pretendono marxisti, come se il marxismo non avesse mille volte proclamata l'incompatibilità fra credenza religiosa e appartenenza al partito comunista, una volta ribadito che tra la visione religiosa del mondo e quella marxista v'è un abisso incolmabile e che il partito rivoluzionario del proletariato non deve mai cessar di chiarire nella sua propaganda come la religione affondi le sue radici non in un «sentimento» o in una particolare «esigenza della natura (o dello spirito!) umano» ma esclusivamente nell'oppressione sociale delle masse lavoratrici, nella loro apparente impotenza di fronte alle cieche forze del capitalismo (o di qualunque altro regime sociale basato sulla divisione in classi)! C'è bisogno di ripetere che il marxismo considera tutte le religioni moderne, le chiese, le associazioni religiose, come altrettanti strumenti di cui la reazione borghese si serve per mantenere e accrescere lo sfruttamento della classe operaia?

Contro tutte le ciance degli opportunisti, i quali si affannavano a gridare che la religione è un affare privato e non deve interessare il partito, Lenin cita un passo di Engels, in cui «si afferma che  la socialdemocrazia  considera la religione come un affare privato di fronte allo Stato, non già di fronte a se stessa, al marxismo, al partito operaio», e continua chiarendo che  il marxismo deve necessariamente porre in primo piano la lotta politica, reagire contro la divisione degli operai in atei e cristiani, mettersi sul terreno della lotta di classe realmente in cammino, «dal punto di vista del progresso effettivo della lotta di classe che, nelle condizioni della società capitalistica moderna, porterà gli operai cristiani al socialismo e all'ateismo cento volte meglio di quanto non lo possa fare la nuda predicazione ateista». L'ingresso nel partito avviene, quindi, sulla base della dottrina marxista della lotta di classe contro la borghesia e tutti i suoi strumenti di difesa - chiesa e religione compresa: mai nell'esclusione di uno qualunque di essi.

Ma il pallino della religione deve essere piaciuto all'articolista, che continua sullo stesso tono: «La nostra è, se si vuole, una completa religione dell'uomo» (la tua di certo, che bestemmi in nome del comunismo), e ancora: «l'aspirazione a una società socialista, non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma tale aspirazione può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo».

Togliatti dunque segue Saragat?

Ma ecco l'altro «pallino»: oggi, un fatto assolutamente «nuovo» (accidenti!) è successo, per cui tutto deve passare in second'ordine, ed è che esiste la possibilità di una guerra distruttrice dell'umanità intera. Sentite: «Eccoci così di fronte alla terribile, spaventosa «novità»: l'uomo, oggi, non può più soltanto, come nel passato, distruggere altri uomini. L'uomo può uccidere, annientare l'umanità». Lo spauracchio controrivoluzionario che oggi le borghesie di tutti i paesi agitano di fronte al proletariato, non potrebbe trovare più forbito difensore del  colto ... hegeliano. L'uomo annienta se stesso! Magnifica tesi che avrebbe fatto la gioia di un idealista del secolo scorso, ma che non ha niente a che vedere con la teoria marxista, per cui non esiste «l'uomo» ma classi in lotta tra di loro, e il loro avvicendarsi, le loro posizioni nel campo mondiale, non dipendono affatto dalla loro «volontà», meno che mai dalla volontà di singoli.

Così il proletariato, la moderna classe rivoluzionaria, fin dal suo sorgere si è posta - e non poteva non porsi in irriducibile antitesi con tutte le altre e si è data -non poteva non darsi - una dottrina, quella marxista, che le è di guida fino all'abbattimento violento dell'attuale società, fino alla sparizione delle classi, fino alla società comunista. Allo stesso modo la guerra non dipende dalla volontà di uomini di governo o, peggio, di popoli, né può essere evitata - come pretendono gli opportunisti di tutte le tinte - con appelli alla riflessione, al dialogo e al dibattito; ma, come il suo nascere si spiega solo con la dialettica delle contraddizioni di classe, così la forza capace di evitarla è una nuova guerra, quella di classe, quella civile, che tanto fa paura ai borghesi e ai loro sgherri perché porrà termine una volta per sempre a tutti gli sfruttamenti, a tutti i parassitismi, a tutte le infamie della società presente, e che sola eliminerà la possibilità di nuovi spaventosi conflitti per aprire finalmente agli uomini associati, senza più alcuna differenza, lo sconfinato orizzonte di uno sviluppo infinito della specie.

 

il programma comunista, n. 9, 30 aprile - 13 maggio 1963