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archivio > Archivio sulla sinistra>La serva e la vacca (Battaglia comunista, n. 14, 6 - 19 luglio 1947)

aggiornato al: 08/02/2010

Battaglia comunista, n. 14, 6 - 19 luglio 1947

Presentiamo  un vecchio articolo del 1947 che in modo chiaro, lucido ed ironico ci espone i problemi della gestione dello Stato, della democrazia e dell' utilizzo del parlamento (migliore ai tempi dell'imperatore Domiziano che nella nostra epoca di varietà televisivi).

Come dicevano i nostri vecchi "el defeto xe nel manego": è il capitalismo che deve essere abbattuto, è questo modo di produzione, ormai decadente e putrido che non può più reggere, che non sta più in piedi.

Questo articolo, cosa rara anche nel giornale del 1947, è firmato. E sul suo autore (Demetrio è un pseudonimo) potremo spendere qualche parola in altra occasione.

 

 

 

La serva e la vacca

 

Si narra che l'imperatore Domiziano radunasse una volta il Senato Romano chiedendo consiglio non intorno ai gravi affari dello Stato ma sul modo migliore di cucinare gli sgombri. Il Senato rispose: «l'umido con la salsa piccante». Con ciò la maggiore utilità dell'antico Senato rispetto alla attuale assemblea costituente è luminosamente provata. Esso se non altro dava consigli che a qualcosa servivano, ciò che l'esimia adunanza di Montecitorio è ben lontana dal fare.

Il nuovo governo espresso dalla assemblea, a quanto sembra è sorto per salvare la situazione precarissima dello Stato italiano minacciato dall'inflazione e dalla bancarotta. Questa necessità di fare qualcosa per uscire dall'impasse giustifica, a detta di De Gasperi, il ricorso a tecnici, naturalmente tecnici dell'economia, che grazie alla loro scienza non dovrebbero mancare di mettere il dito sulla piaga  e di riparare al mal fatto.  E sempre per assicurarsi il vantaggio di questa inapprezzabile collaborazione il tanto tormentato Ministero delle Finanze e Tesoro viene ridiviso non più in due ma in tre dicasteri, che così contribuiranno certamente alla sburocratizzazione  dell'apparato governativo. E il nuovo ministro delle Finanze chi è? Pella, l'uomo che, come viene candidamente detto su «24 Ore» ha difeso per lunghi anni gli interessi dei produttori (vedi industriali) dalle brame eccessive del fisco. Evidentemente per far pagare le tasse non si poteva trovare niente di meglio di chi finora tali tasse aveva cercato di non pagare.

Vi è in più l'esortazione di De Gasperi, da Bergamo, che invita i possidenti a venire liberamente incontro alle necessità di bilancio facendo spontanee oblazioni e confessando tutti i loro guadagni, cosa che certamente sarà seguita alla lettera.

Ad ogni modo il ministro Pella al Teatro Nuovo di Milano ha subito dato prova di essere l'uomo che salverà la situazione. Egli ha cominciato con l'affermare che di riforma tributaria non è nemmeno il caso di parlarne. Le tasse che ci sono adesso sono quanto di meglio vi possa essere perché il proletariato paghi e il possidente no; quindi non si vede perché debbano essere cambiate.

Tutt'al più esse dovranno essere aumentate e allargate su strati più vasti della popolazione.

Ma Pella non è l'unico tecnico, e nella compagine governativa vi sono altri «uomini noti per la loro fama» cui competono compiti ancora più gravi e più delicati. Voi capite già di chi si parli, dell'illustre Einaudi luminare della scienza economica italiana che dopo averci già deliziati sulle colonne dei principali giornali con articoli a base di code di vacche e di conti della serva ha visto finalmente riconoscere i suoi merito, ricevendo un incarico tanto onorifico quale è quello di Ministro del Bilancio. Nell'assunzione delle sue funzioni e date le grandi speranze da lui suscitate, non poteva fare a meno di tenere un discorso anch'egli,  discorso che avrebbe dovuto mettere in luce tutti i toccasana che la sua competenza gli avrebbe permesso di escogitare. Ma si ha un bello scorrere la sua forbita prosa: tutte le dichiarazioni in sostanza si traducono in una affermazione di impotenza governativa e di necessità di aumentare le entrate.

Effettivamente Einaudi riconosce che il Governo Italiano, a differenza di tutti gli altri governi moderni non ha la più lontana idea di quello che siano le effettive entrate e spese dei cittadini e che se deve prendere qualche iniziativa o decisione non sa da che parte cominciare.

Einaudi si accorge di questo fatto, ma ritiene che sarebbe una azione indelicata se da parte governativa ci si mettesse proprio ora alla ricerca di tali dati. Ignorando dunque quale è la situazione che mai resta da fare per il Bilancio?. La serva di buona memoria direbbe di ridurre le spese, ma in tal caso dimostrerebbe di non aver scritto libri di economia e di non saper ragionare. Ma un Ministro che è un ministro scrive articoli sulle domestiche, si guarda bene dal ragionare come queste e perciò aumenta le entrate.

E' chiaro che per una situazione disperata non vi poteva essere formula più rivoluzionaria di quella adottata, e più corrispondente ai principi liberali: dato che bisogna fare qualcosa decidiamo di non fare nulla. «Laissez faire, laissez passer».

Tutto questo perché non ci sono più Togliatti e Nenni? Ahimè, tutto questo perché c'erano Togliatti e Nenni. E quando un proletario in buona fede chiede ragione di come vanno le cose a qualche capoccetto e si sente rispondere di imparare a votare un'altra volta, ci sembra che difficilmente possa impedirsi di pensare: se con 8 milioni di voti i partiti di sinistra ci hanno conciati così, poveri noi se ne avessero veicolati di più.

Ma in compenso non c'è più la Monarchia.

 

Demetrio

 

Battaglia comunista, n. 14, 6 - 19 luglio 1947