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archivio > Archivio sulla sinistra>La tigre di stronzio (il programma comunista, n. 3, 4 - 18 febbraio 1963)

aggiornato al: 04/02/2011

il programma comunista, n. 3, 4-18 febbraio 1963

Nei primi anni sessanta del secolo scorso si manifestò apertamente prima l'incrinatura poi la rottura dei rapporti tra Russia e Cina, con conseguente fine del monolitismo staliniano nella gestione della controrivoluzione. Cominciò a rifulgere la stella di Mao che attecchì anche da noi... e ci furono i filocinesi e il loro folclorismo dei "libretti rossi" sventolati al vento.

Mao così definiva  l'imperialismo americano: L'apparenza è quella di una tigre, ma è di carta, non resiste alle raffiche di vento e agli scrosci di pioggia. Secondo me gli Stati Uniti sono proprio una tigre di carta.

In modo ironico l'articolo veniva intitolato la tigre di stronzio riferendosi al metallo tenero, argenteo e biancastro simile al calcio e al bario, ma il riferimento è più legato, foneticamente, ad un'altra sostanza... organica.

Buona lettura.

 

 

La tigre di stronzio

 

Spesso chiedono: approvate la posizione dei cinesi contro i russi, voi internazionalisti? Voi, siamo noi di Programma Comunista, per non confondere con detriti di cui non ci preme se vedono bene i cinesi o i marziani.

Ebbene, no, non prendiamo la responsabilità di quello che i cinesi dicono e fanno; nemmeno quelli sono per noi «compagni».

Le non semplici ragioni che ce li fanno mettere nel fascio di tutti i rinnegati, abbiamo avuto occasione di svolgerle ed esporle in elaborazioni a fondo, con la doverosa analisi di tutto il processo della storia dei movimenti del lontano Oriente.

Le notizie del dissenso che tanto solleticano la stampa antirussa non ci hanno data nessuna allegria. Si inseriscono nella triste catena dell'opportunismo di terza ondata che non è giunto ancora ai più fetenti anelli. Quella catena che partì nell'altro secolo dalla fine della Prima Internazionale, e in questo andò dalla vergogna della Seconda al disfarsi della Terza, di cui si vorrebbero vedere nelle basse beghe di oggi gli ultimi sussulti di tronconi e segmenti di una spina invertebrata già putrescente da decenni.

Gli episodi sono noti alla recente cronaca. Nel 1957 e nel 1960 si è tentato di riunire, a Mosca, nemmeno il simulacro del cadavere di un congresso della Internazionale, soffocata da Stalin con un ordine di guerra per togliere i fastidi ai governi del capitalismo occidentale, e nemmeno di quell'altro aborto che era stato il famoso Cominform, ma una conferenza di partiti che governano in tutti gli stati in cui si recita la commedia del regime socialista. Solo fine di queste regie, dare al proletariato (in quanto ancora sensibile a tradizioni flebilmente spente: Ottobre, bolscevismo, Lenin) la illusione che si discutesse ancora tra tendenze del comunismo e quindi fosse ancora aperta una via per risorgere dalla bestemmia, dalla simonia, dalla falsificazione, dal ritorno spudorato nelle transenne del dichiarato sistema borghese, mercatante, quattriniero.

Nelle due occasioni rovesciammo su queste parodie la piena del nostro disprezzo, e nel 1960 chiamammo suino il manifesto che si spacciava come comunista internazionale, scrivendogli contro l' Antisuino, e, con analisi totali in rapporto alla posizione programmatica intatta ed eterna di Marx e di Lenin, mostrammo come fosse folle la definizione e condanna di pretese tendenze: dogmatica a sinistra, revisionista a destra; ovunque estendendosi il manto feccioso del revisionismo che tentò di vomitare sulle tradizioni e le tombe dei Maestri.

Nelle due occasioni smascherammo l'inganno che ancora esistesse un centro mondiale che potesse dare condanne e squalifiche, e che volgeva tali batterie «a fetecchia» contro un nemico, lo ineffabile Tito.

Oggi questa destra di comodo prefabbricato non c'è più. Tito è stato a Mosca e, se riunioni internazionali vi fossero, avrebbe carte in regola.

Ma negli ultimi mesi del 1962 vi dovrebbe essere motivo di allegrezza per noi sinistri dalla tradizione schietta: una estrema sinistra potente si sarebbe cristallizzata e attaccherebbe il podagroso CENTRO che domina in Russia e ha il baricentro nelle rotondità di Nikita Krusciov. Le forze sarebbero notevoli: la immensa Cina; la piccolissima Albania e ultima ma rumorosa la Cuba del barbuto Castro.

Fino a poco fa non si era riusciti a far dare sussulti apprezzabili al cadavere della Internazionale moscovita, ma si usava che i partiti confratelli massonicamente tenessero rapporti e ai congressi accettassero delegazioni di oltre frontiera.

Clamoroso è stato il congresso italiano di dicembre, che chiamammo chiercuto quanto il contemporaneo concilio di preti. Tito era ormai ben visto, sopite certe beghe nazionaliste, e a lui si plaudì, l'Albania venne schifata e messa fuori a pedate, la Cina venne accolta e parlò duro; ma le fu fatto il viso dell'armi e si pensò di strigliarla oltre il fior di pelle; i gialli però non batterono ciglio e ricambiarono decisi la disistima.

La barba di Fidel non apparve: se lo avesse fatto chi sa quali pochi peli avrebbe salvato.

 

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Poi vi è stato il congresso del partito tedesco orientale, che nemmeno nel nome è comunista. La Russia. La Russia intervenne col pontefice massimo e non pochi vescovi; la Cina era anche tuttora invitata, e pare che la Polonia si volesse investire del mandato di paciera ed arbitra con la Russia. Quale diminutio capitis per un Kremlino! Ma il cinese non venne a patti, rifiutò mediazioni, e parlò fuori dai denti. Nel suo raffinato stile si limitò a cantare le corna del riabilitato confratello iugoslavo, parlando a nuora perché suocera intenda. Ma i russi, con cui tedeschi e polacchi - pare - sono tutt'uno, organizzarono non la difesa del già spregiato Tito, ma una potente urlata al Grande compagno asiatico. Era annunziato un buon boccone per i pettegoli; che si  levasse a parlare Castro con un breve discorsetto: «Penso con i cinesi che Nikita ha calato le brache fino a terra, davanti ad una tigre di carta. Passo alla opposizione cino albanese. Se siamo ancora sberleffati chiediamo il congresso mondiale per una scissione tra pacifisti e bellicisti, magari cultori di Stalin».

Krusciov ha saputo correre ai ripari. Con tutto quel congresso che gli pendeva dalle labbra, ha teorizzato che la riunione internazionale è inutile e pericolosa. Il lavoro si deve fare prima per assicurare il solito terreno di incontro e la solita unità; l'assise mondiale verrà dopo, quando sarà sicuro che non si avranno dissensi e non vi sarà bisogno di uragani di pernacchie.

La formula non certo peregrina sa del metodo della modernissima diplomazia, che tenta, tasta, formula, stila, lima e rettifica, fin che gli opposti punti di posizione non sono modellati nella forma di un compromesso a tutti gradito e colabile nello stampo unto di un comunicato al fessame del pianeta.

Da Pechino hanno alzato la visiera e attaccano senza eufemismi la politica russa di flirt con l'America. Ma come difensori della ideologia ciurlano nel manico: la carta che invocano è quella del 1957 e 1960, quella suina, e la sola testa che chiedono è quella di Tito. Virulento, ma pietoso.

 

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Non vi è da stupire che da Berlino Krusciov abbia chiusa la polemica ideologica e sospese per sempre le riunioni internazionali, seppellendo il metodo politico delle «scomuniche» che causano le «scissioni». Che ne sarebbe dei dogmi più sacri di quelli dei preti: unità, democrazia popolare, libertà ideologica per i membri dei partiti, e via di seguito?

I kruscioviani tendono a rendersi inafferrabili alla polemica dottrinale; quando, scolari di Marx e di Lenin, gettavamo frementi le scorie opportuniste fuori dai partiti, o li rompevamo senza pietà, ci dissero domenicani. Krusciov sulla linea della scuola di Mosca-morto-Lenin si rifugia nel metodo dei gesuiti (ombra di Carlo Radek ricordi?). Ma il gesuita corteggia per fotterlo il secolo, guardandosi dal tradire la teologia.

Polemica con Nikita? Con argomenti di questo calibro: chi è contro la pace condanni Lenin, Liebknecht, Luxemburg perché... erano contrari alla guerra? Quasi che la via marxista di essere contro la guerra imperialista non fosse la sua utilizzazione disfattista per scatenare la guerra civile! O l'altro: che la possibilità di andare al potere non con la dittatura ma con la democrazia parlamentare fu enunciata da Stalin, che gli albanesi evocano? Dunque avete imparata, voi russi, una tale schifezza per effetto del culto della personalità in cui eravate tuffati! E ancora: volete Berlino libera come ponte di passaggio per lo scambio di rubli e dollari, per il quale rinneghereste, non che il coraggio militare che vi ha fatto difetto nei Caraibi, anche la mania di emulare gli indici capitalisti, in cui sentite che presenterete al mondo altra calata di pantaloni? Marx Lenin e noi, volevamo Berlino unita per farne la capitale della rivoluzione mondiale, dopo che Londra, Parigi e Mosca si sono dimesse!

 

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La scomunica teorica sotto cui devono soggiacere jugoslavi, russi, satelliti, cubani, cinesi, albanesi,  risale ad un punto centrale della sinistra, proclamato a Mosca fin dal 1924, sul volto torvo di Stalin.

Nella politica della rivoluzione lo stato è agli ordini del partito, anche se il solo stato è a Mosca, e il partito ovunque.

Oggi i pretesi disaccordi non sono di partiti, ma di stati. Il partito vive dell'ossigeno della teoria mai sottaciuta, lo Stato (anche quando è di dittatura rivoluzionaria) è un arnese necessario per usarlo come una molla nel fare ANCHE inganni, ricatti e trabocchetti, per finire il nemico sociale.

Lenin mano e mente, Stalin solo molla per non imbrattarsi nel prendere merda capitalista, questo ente di oggi né molla né mano né mente (partito); merda soltanto.

Potete convocare un congresso di stati, i quali non polemizzeranno per salvare dottrine violate, ma ciascuno per condurre i suoi sporchi affari.

Kremlino: potenza nazionale economico militare che vanta Pietro il  Grande e commemora Borodino per rinnegare lo stesso  Stalingrado. Ma a cui occorre forza di ricatto nel trattare imperiale con la Casa Bianca.

Castro: garanzia contro uno sbarco di forze USA affermando possibile l'incendio di tutto il pianeta.

Tito: conquista di dollari da Washington e di rubli da Mosca.

Hodza: sfruttamento della metamorfosi del potere proletario in uno sparafucilismo alla Skypetara.

Mao: abbraccio anche con Kennedy al prezzo di una pedata nel culo di Ciang kai Schek e della libertà a Formosa che può convenire al tipo moderno di colonialismo, mentre mai fine più degna avrebbe lo scannatore di comunisti frontisti più bieco della storia.

 

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Le polemiche si ridurranno ivi a cineserie, per graziosa che sia la frase della Tigre di carta, è ben varata la formola dottrinaria che l'imperialismo non cambia con l'armamento nucleare. La controformola rivoluzionaria è il disfattismo interno e il rovesciamento dei fucili tenuti dalla fanteria proletaria, regina delle battaglie.

Il fisico nucleare moderno non è che un mercenario, un ufficiale? Ma eravamo bimbi quando vedemmo una vignetta francese: le mitrailleur et la mitrailleuse. L'ufficialetto teneva la sigaretta con nonchalance mentre premeva la leva che fa scorrere il nastro. L'imperialismo non cambiò allora, non cambia oggi. Tra le contraddizioni del capitalismo vi è lo sviluppo in un mondiale carrozzone della scienza e della tecnica, anche militare. Già articoli borghesi denunziano che i dottori in atomica mangiano troppo plusvalore. Economia e politica del disfattismo restano le stesse.

Gli universitari di guerra sanno che le reazioni a catena hanno bisogno senza spegnere la sigaretta di elementi dal nucleo complesso e fissibile, l'uranio, il trizio, il cobalto, lo stronzio...

L'imperialismo, tigre di stronzio.

Mao ci crede, ma nemmeno lui crede che una rivoluzione proletaria sia possibile negli Stati Uniti. E dovunque, Russia e Cina comprese. La sua ideologia vale quella di Tito.

 

il programma comunista, n. 3, 4 - 18 febbraio 1963