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archivio > Archivio sulla sinistra>Vecchio e nuovo riformismo (Battaglia comunista, n. 8, 18 aprile - 3 maggio 1950)

aggiornato al: 16/06/2012

Battaglia comunista, n. 8, 18 aprile - 3 maggio 1950
Un bell'articolo del 1950 tratto dal nostro giornale di allora, Battaglia comunista, cui seguì nel 1952 Il Programma comunista.
Né la prima né la seconda testata che pur continuano ad uscire rappresentano oggi le nostre posizioni anche se a Il Programma comunista ci possiamo richiamare fino agli anni settanta del secolo scorso.
 
Vecchio e nuovo riformismo
 
Bernstein e Stalin poggiano sullo stesso fondo: entrambi rispondono all'imperiosa necessità di riformare la struttura dei rapporti politici e giuridici della società capitalista per adeguarli all'incessante sviluppo delle forze di produzione.
Quest'imperativo riformista è insito nella natura stessa del capitale e della classe borghese. Questa, a differenza delle precedenti (e particolarmente di quella feudale) è caratterizzata dal fatto che il fronte su cui si opera l'oppressione di classe - l'appropriazione dei beni e dei prodotti - non confluisce più con l'istituzione della proprietà personale delle forze di produzione che questi beni e prodotti generano.
Quando la forza di produzione è quasi esclusivamente (regime schiavista) o prevalentemente (regime feudale) il lavoratore, la proprietà di costui od il suo asservimento caratterizzano il tipo di quella società e si spiega quindi che queste non possano essere distrutte che attraverso la rottura violenta e rivoluzionaria dei rapporti giuridici e di proprietà su cui sono basate. La figura specifica del capitalista nel campo economico è non quella del padrone ma quella dell'impresario e il ruolo del proprietario di denaro non legato alle vicissitudini del processo di produzione è circoscritto nei limiti dell'attribuzione di una percentuale di interessi sui fondi prestati. Meglio ancora, la figura specifica del capitalista è quella dell'impresario che acquista la forza di lavoro nella prospettiva di vendere sul mercato la produzione che ne risulta. La forza motrice della società borghese essendo il profitto - il plusvalore determinato dalla messa in opera della forza di lavoro - e l'esclusione dei salariati dal possesso delle forze di produzione, una doppia conclusione ne risulta:
1) che la modificazione dei rapporti giuridici di proprietà è non solamente compatibile con le basi stesse del regime borghese, ma necessaria al suo mantenimento e sviluppo perché l'ingigantirsi delle forze di produzione diviene incompatibile con la personalizzazione della loro proprietà. Al concentrarsi sul piano economico degli strumenti della produzione corrisponde una spersonalizzazione della proprietà di questi strumenti. E' qui che risiede l'essenza della riforma, del riformismo e del progressivismo, tutte nozioni inseparabili da quella di capitalismo e formanti la caratteristica di questo regime.
2) che sul fronte sul quale si opera la divisione delle classi in sfruttatrici e sfruttate, cioè l'appropriazione dei prodotti, la sola soluzione è offerta dalla lotta violenta e rivoluzionaria della classe oppressa in vista della distruzione del regime. Ed è bene rinviare il lettore ai numerosi Fili del Tempo dove è ristabilita l'analisi fatta da Marx della società borghese e che spiega perché la riforma della società borghese comporti non l'attenuazione ma l'aggravamento del grado di sfruttamento della classe operaia. Bernstein aveva detto: «il movimento è tutto, il fine è nulla», postulando così una modificazione volontarista dello Stato, nelle maglie del quale egli non era però entrato. E' perché le forze messe in movimento erano estranee al meccanismo dello stato che il riformismo poté non fare ricorso alla violenza contro gli operai per ingranarli nel processo di riforma del regime borghese. D'altra parte, è per la stessa ragione che il movimento operaio poteva concentrarsi nel partito socialista unito, dove l'ala rivoluzionaria poteva non essere sterilizzata da quella riformista.
Bernstein viveva in un'epoca in cui la concentrazione capitalista poteva modellarsi e limitarsi in molteplici stati nazionali. Allora, d'altronde, le migliorie salariali per gli operai tedeschi furono possibili - ed in una misura e per un tempo più limitati di quanto doveva avvenire per quelli inglesi - non grazie ad un'attenuazione degli antagonismi di classe in quel paese, ma grazie all'entrata della Germania nel mercato mondiale della mano d'opera coloniale. Riformare il regime nel quadro nazionale, passare allo Stato il controllo delle forze di produzione, eliminare progressivamente l'intrapresa privata: queste, ad un tempo, le necessità della riforma imposta dalle situazioni alla struttura della società borghese, e l'essenza reale del riformismo di Bernstein, il cui sfocio non poteva essere che il tradimento della socialdemocrazia nel 1914 e lo scoppio della prima guerra mondiale.
La sconfitta del proletariato cinese  nel 1927 chiude l'epoca dei movimenti rivoluzionari iniziatasi con il trionfo dell' Ottobre 1917. Stalin arriva; il «socialismo in un solo paese» si installa in Russia. La spina dorsale internazionale della classe proletaria è violentemente spezzata e si determina la nazionalizzazione del «socialismo» non solo in Russia ma in tutti i paesi. Stalin è l'agente - non il principale beneficiario, le forze capitaliste russe essendo ben inferiori a quelle più potenti degli altri stati - di un processo politico di incorporazione dei lavoratori nella borghesia dei paesi rispettivi. Si giunge alla seconda guerra imperialista mondiale e, dopo la cessazione delle ostilità militari, alla guerra fredda.
(Omettiamo qui una frase che  per un errore tipografico, diviene incomprensibile)
Stalin non potrà tuttavia limitarsi ad essere il semplice continuatore di Bernstein; egli dovrà portare riforma e riformismo alle loro espressioni superlative. Non più, come il suo predecessore, al di fuori dello stato ma alla testa di questo. Non più con obiettivi ristretti a Russia e satelliti; ma con riflessi che si ramificano in tutti i paesi. Sul fondo, dunque, niente di nuovo sotto il sole capitalista; se il riformismo deve far ricorso all'impiego della violenza contro la classe operaia, gli è perché lo stato non si riforma più dal di fuori ma penetrando nel suo meccanismo e prendendone il comando.
Per i marxisti la nozione di violenza non si confina nella sua espressione formale, nella quale d'altronde dovrà finire per esplodere. I connotati reali della nozione di violenza sono di ordine politico, e il mitra dello sbirro è ancora più efficiente quando può restare in caserma che quando è costretto a passare all'azione nelle piazze.
Il ruolo internazionale di primo ordine assegnato a Stalin per la difesa del regime capitalista in tutti i paesi non si accompagna a un'eguale posizione di privilegio quanto ai benefici che ne risultano. Altra conferma, su un piano diverso, della caratteristica del regime capitalista basato sul profitto. Ne beneficiano in prima linea non i sottocoda ma i centri maggiori delle grandi forze dell'imperialismo mondiale, non i burocrati ma gli speculatori.
I rivoluzionari marxisti vedono nel contegno del capitalismo internazionale un tutto che non permette nessuna separazione, nessun sezionamento. L'elemento unitario di questo congegno si determina sul fronte di classe ed in funzione di esso, ciò che spiega l'indiscutibile complicità di Stalin e di Truman.
Vano sarebbe applicare i principi della meccanica al funzionamento di una società divisa in classi antagoniche, dove la stessa classe borghese è la componente di formazioni sociali ad interessi contrastanti. Entrare nella trama di questo congegno e prendere posizione per l'uno o per l'altro comporta l'inevitabile accalappiamento nella dinamica del movimento anti-proletario e contro-rivoluzionario.
Svelarne la natura ai proletari è la premessa indispensabile per orientare oggi le deboli e limitate reazioni dei proletari, per incorporarsi domani nei formidabili avvenimenti rivoluzionari che sboccheranno nella costituzione del partito di classe e nel trionfo della rivoluzione comunista mondiale.
 
Battaglia comunista, n. 8, 19 aprile - 3 maggio 1950