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archivio > Archivio sulla sinistra>Gli avvocati delle cause perse (Battaglia comunista, n. 11, 1 - 14 giugno 1950)

aggiornato al: 04/07/2012

Battaglia comunista, n. 11, 1 -14 giugno 1950
Un altro articolo dei tempi che furono...
E' possibile che si manifesti in questi due mesi (luglio e agosto) un certo rallentamento nei nostri inserimenti. Teniamo comunque a precisare che il sito, nonostante varie difficoltà, continua ad essere presente e vivo.
 
Gli avvocati delle cause perse
 
Di tanto in tanto sorge qualche organizzazione che con il maggior chiasso possibile, rende noto di voler porre riparo a questa o quella grave sciagura e che per tal motivo chiede l'adesione e l'appoggio dei cittadini tutti.
E' evidente che i cittadini, se non vogliono passare per delle carogne senza cuore, non possono negare il proprio assenso per cui il trionfo dei propugnatori della festa è quanto mai sicuro in anticipo, allo stesso modo come la «nobile e lodevole iniziativa» lascia sicuramente le cose allo stato in cui erano.
Si prenda ad esempio l'iniziativa della raccolta delle firme per sollecitare la costituzione degli Stati Uniti d'Europa.
L'azione è concepita e sviluppata secondo la più perfida e sottile ipocrisia borghese con l'intendimento evidente di accreditare presso l'opinione pubblica il prestigio di uno stato di cose ben lungi dall'essere effettivo.
Chiedere infatti alla popolazione di sottoscrivere una mozione affinché si addivenga alla fusione di tutti i paesi europei, significa anzitutto voler far credere che alla separazione dei confini in Europa osti semplicemente l'assenza di una unità di consensi, e che una volta ottenuta questa unità, i governi dei vari paesi si facciano un dovere di rispettarla.
In secondo luogo significa voler sostenere che gli Stati Europei siano attualmente stati sovrani e possano decidere come loro aggrada su un argomento tanto importante.
Come si vede il veleno della turlupinatura democratica è intelligentemente instillato in queste iniziative, e il povero cittadino che si vede ogni giorno abbindolato, pregato e fatto fesso dai supremi organi della borghesia dominante si trova all'improvviso lusingato di poter pensare che alla sua firma sarà dedicata una sia pur minima considerazione.
I grandi ciarlatani e farisei della società attuale, coloro cioè che hanno affittato il loro nome per dar lustro all'iniziativa, sono naturalmente ben lieti che l'abolizione dei confini si ponga non come soppressione di un contrasto di interessi , ma semplicemente come un problema d'ordine morale. Trascurando completamente di parlare dei veri ostacoli alle fusioni di Stati, cioè gli interessi dei complessi industriali e capitalistici, costoro sono sicuri non di ridurre la rivalità tra i popoli, ma bensì di lasciar sfogare eventuali future velleità lungo una strada per loro niente affatto pericolosa.
Ora a ben guardare oggi non vi è nulla di più inattuale e di più fuori luogo che il sostenere il bisogno di creare l'Unità Europea: questa unità esiste già, è già una realtà operante, qualcosa di concreto e di fattivo, ed è il risultato dell'imperativo avanzato dal superiore imperialismo americano.
Cosa vi sia ancora da riunire nell'Europa Occidentale non si sa, perché l'unico fatto reale è  l'accondiscendenza più o meno docile al comando d'oltre Atlantico, il quale non lascia dubbi di sorta sulla sua intenzione di comporre tutte le rivalità interne a favore della spinta esterna.
E i paesi che sono oggetti di questa spinta, cioè quelli della Europa Orientale, sono essi pure meno che mai liberi di «riunirsi» e di fondersi con chicchessia di diverso dalla Russia.
Il mondo è perciò già unito «in due» e contro questo stato di cose vi è semmai da raccogliere delle firme, ma siamo certi che nessuno dei grandi promotori degli Stati Uniti di Europa si presterà mai a un'azione in questo senso.
Consigliamo quindi a chi vuole in buona fede porsi sul terreno dell'abolizione dei contrasti internazionali a pensare fin d'ora a trasformare la veniente guerra imperialista in guerra civile, unica possibile strada di tutte le future «Unioni Internazionali» che d'altra parte non potranno limitarsi all'Europa.
Accanto alle firme pro-Europa, borghesi di ogni genere, i comunisti staliniani, hanno continuato nel ridicolo votando una magniloquente nozione contro l'uso della bomba atomica.
Anche qui si ritorna sul principio che sia possibile ammazzare gli uomini solo in determinate forme, e biasimevole invece ucciderli in altre. Si può facilmente comprendere come queste illustri personalità siano profondamente indignate contro un'arma che minaccia non solo uomini, donne e bambini, ma anche scienziati, letterati, parlamentari e religiosi, tutti coloro cioè che finora la guerra l'hanno lasciata fare agli altri anche quando l'hanno voluta essi stessi.
Per il proletariato morire di bomba A o di pallottole di fucile non ha nessuna importanza: ciò che conta semmai è di non morire affatto, trasferendo tutt'al più la sua sorte sulle spalle di coloro che sono così preoccupati di fargli fare una fine «decente».
Non è quindi sull'uso più o meno legittimo della bomba che verte il problema dell'azione proletaria ma sulla lotta contro qualunque guerra e soprattutto contro qualunque imperialismo, sia d'Oriente che di Occidente.
 

Battaglia comunista, n. 11, 1 - 14 giugno 1950