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archivio > Archivio sulla sinistra>La peste del "socialismo" nazionale, (Battaglia comunista, n. 47, 14 - 21 dicembre 1949)

aggiornato al: 15/03/2013

Battaglia comunisra, n. 47, 14 - 21 dicembre 1949
Un altro articolo della seconda metà del secolo scorso tratto da «Battaglia comunista», un altro sguardo su di un mondo con Jugoslavia, campi opposti, libertà e sfruttamento bestiale dl proletariato.
 
 
La peste del «socialismo nazionale»
 
E' già stato messo in evidenza su queste colonne l'apparente paradosso per cui, mentre da un lato l'economia capitalista - e di riflesso la politica - evolve sempre più nel senso di travolgere i compartimenti stagni delle unità nazionali per integrare in grandi aree a direzione centrale unica le strutture tradizionali, dall'altro la mobilitazione dei proletari ai fini della conservazione dell'apparato di dominio e di sfruttamento borghese si svolge sulla via della difesa della patria, dell'indipendenza politica ed economica della nazione ecc. All'inesorabile moto di concentrazione della società internazionale capitalistica, i partiti che ancora si chiamano operai oppongono cioè non la rivendicazione dell'urgenza della trasformazione internazionale socialista della struttura economica e sociale, ma quella della difesa e della ricostituzione delle autonomie, delle libertà nazionali: rivendicazione antistorica dal punto di vista dell'evoluzione capitalista, controrivoluzionaria dal punto di vista proletario, ma efficacissima dal punto di vista della deviazione della gigantesca spinta delle masse dal compito di distruggere a quello di difendere il regime del loro sfruttamento.
Ma la borghesia non si è limitata a procedere sulla base di questa strategia delle parallele. Ha dato ai partiti cosiddetti operai cui era affidato il compito di riesumare le più trite ideologie «liberali» e «nazionali» una missione di governo affinché dal campo dei programmi e della propaganda passassero al ben più efficace terreno dell'impantanamento del movimento proletario nella pratica realizzazione del «difensismo».E' su questo piano, del resto, che la parabola degenerativa dello Stato russo e di tradimento della Internazionale staliniana si è incontrata con la parabola ascendente del riformismo socialdemocratico: la teoria del «socialismo in un solo paese», predicata dai figli degeneri del bolscevismo, si è identificata con la teoria del «socialismo nazionale» dei figli legittimi della vecchia socialdemocrazia.
L'esperienza inglese è sotto questo aspetto significativa, perché getta una luce tutta particolare sulle famose riforme di struttura di cui i partiti del tradimento operaio hanno fatto la loro bandiera in tutti i Paesi del mondo. Abbiamo più volte illustrato il significato reale della politica delle nazionalizzazioni, della pianificazione, delle cosiddette realizzazioni sociali, denunciando in esse una fase necessaria della conservazione del dominio di classe borghese. Ma qui importa sottolineare un altro punto: che cioè la realizzazione di queste riforme, alla quale la borghesia ha chiamato come forza ispiratrice ed esecutiva partiti a tradizione operaia come il laburismo in Inghilterra, socialisti e nazionalcomunisti in Francia, democratici-progressivi nelle repubbliche popolari orientali, ha avuto come riflesso dialettico l'esasperazione del nazionalismo, la rottura più aperta della solidarietà internazionale fra proletari, l'aggiogamento dei singoli proletariati nazionali al carro dell'industria, dell'agricoltura, della finanza nazionale. L'Inghilterra laburista è oggi nella zona occidentale l'espressione del più geloso e chiuso conservatorismo e nazionalismo, della più conseguente autarchia economica e politica, della difesa più rabbiosa di posizioni di privilegio alle quali gli operai attraverso il doppio canale dei sindacati e del governo, si aggrappano come a cose proprie, a conquiste realizzate nell'ordine sociale esistente. Il «socialismo nazionale» si identifica dunque con una delle più vecchie e fruste ideologie borghesi, quella dello «Stato chiuso», ideologia che il capitalismo ha abbandonato e distrutto nel suo moto di evoluzione ed espansione, ma che sa rispolverare quando si tratta di frantumare il legame internazionale della lotta proletaria e di chiudere la classe operaia nei compartimenti stagni della nazione o (che è poi una differenza di grado) dell'azienda, della categoria, degli interessi sezionali. E' evidente che una simile politica non arresta il moto centralizzatore dell'economia mondiale capitalistica, mentre arresta il moto parallelo, centralizzatore e mondiale, dello schieramento proletario sul fronte della battaglia anticapitalistica. E' evidente che l'autarchismo laburista sarà travolto nel procedere inesorabile dell'economia statunitense verso quello che Burnham ha spregiudicatamente chiamato «l'impero mondiale» con la conseguente rottura di tutte le barriere politiche ed economiche nazionali; ma è altrettanto evidente che avrà consumato il suo compito di deviare dai suoi obiettivi la lotta proletaria. Quello che avviene nelle zone orientali non è che l'altra faccia della stessa medaglia. Il fenomeno titista è un altro conseguente aspetto dell'inflazione nazionalista della politica delle «riforme di struttura», il che non impedirà alla Jugoslavia di finire nel girone della dominazione internazionale americana o di ritornare sotto quella russa, dopo tuttavia di aver spezzato la vertebra internazionalista della classe operaia «nazionale».
Questo spiega anche perché i centri mondiali dell'imperialismo, mentre lavorano all'abbattimento dei compartimenti stagni «nazionali», non hanno nessuna fretta di abbattere i governi della «pianificazione socialista», altrettanto necessari al loro dominio internazionale di classe, come armi di inquinamento e di degenerazione delle limpide impostazioni internazionaliste e rivoluzionarie della lotta operaia, quanto l'azione convergente che tende a divorare gli ultimi fantasmi di libertà indipendenza ed autonomia che la stessa storia borghese ha definitivamente sepolto. La borghesia che si «internazionalizza» ha bisogno di non trovarsi davanti un proletariato internazionalizzato anche nella ideologia. Ma c'è per i marxisti una certezza mille volte più forte di ogni espediente tattico borghese: Se lo troverà davanti lo stesso. La soluzione può essere rinviata nel tempo; ma è inevitabile nella sostanza. La storia si misura non ad anni, ma a cicli. E il capitalismo ha aperto esso stesso il ciclo del suo fragoroso crollo.
 
  Battaglia comunista, n. 47, 14 - 21 dicembre 1949