Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Antonio Gramsci - Camillo Berneri (Prometeo n. 145, maggio 1937)

aggiornato al: 25/12/2007

Prometeo n. 145, 30 maggio 1937

Con questi articoli, apparsi nel n. 145 del 30 maggio 1937, Prometeo accomuna e unisce Antonio Gramsci e Camillo Berneri (morti tra l'aprile e il maggio di quell'anno) nella commemorazione.

Il primo articolo, nella prima pagina del giornale, è  di presentazione dei due caduti; a pagina 2 invece, sotto il titolo comune di «il martirilogio proletario» [senza essere pignoli la dizione esatta dovrebbe essere «martirologio»:l'ortografia non era il forte dei compagni della Frazione] , c'è un articolo su Antonio Gramsci e uno su Camillo Berneri; qui abbiamo riprodotto solo il primo ( ci promettiamo di ritornare su Berneri in altra occasione).

L'articolo su Gramsci è di particolare importanza nell'evidenziare l'impronta idealistica,le suggestioni democratiche, l'iniziale interventismo e l'incomprensione iniziale della rivoluzione d'ottobre del sardo che fu poi abbandonato in galera (come afferma anche la recente storiografia) dal PCI, salvo il suo recupero, come padre della patria e del partito, post-mortem.

L'articolo «Antonio Gramsci Camillo Berneri» appare anche (in francese) sul n. 41 di Bilan del giugno 1937. Pure l'articolo «Antonio Gramsci» è presente su Bilan (nel n. 42 juillet-aout 1937) con alcune variazioni rispetto al testo in italiano apparso su Prometeo. Su Bilan lo scritto porta la firma di Gatto Mammone, autore quindi anche del testo in versione italiana. Come abbiamo già detto in altra occasione Gatto Mammone era lo pseudonimo di Virgilio Verdaro.

 

 

 

Antonio Gramsci Camillo Berneri

 

Li hanno assassinati a poche settimane di distanza.

L'uno si è spento in una casa di salute dove il regime fascista l'aveva ricoverato quando la sua debole salute era stata senza rimedio compromessa dai lunghi anni di segregazione cellulare e dalle torture fisiche e morali. L'altro a Barcellona con un crimine di pretto stile squadrista: farlo rilevare a casa, assicurare i suoi che verrà rilasciato mentre il corpo straziato giace alla Morgue.

Il capitalismo li ha ambedue ferocemente soppressi sebbene nel primo pesasse la lorda responsabilità del centrismo italiano e l'altro esprimesse quella ideologia anarchica che, al fuoco degli avvenimenti di Spagna, si è confermata forza negativa e ai fatti controrivoluzionaria.

Perchè li hanno dunque assassinati?

Gli è perchè potevano rappresentare una minaccia pel domani, un polo di confluenza per le masse nell'immancabile giorno della riscossa, essi che per il loro passato, potevano servir di simbolo, essi che colla onestà e saldezza delle loro convinzioni sferzavano tanti ignavi, tanti profittatori, tanti avventurieri, essi che, a quanto si può dedurre da certi loro atteggiamenti evolvevano verso una revisione degli errori del passato.

Il regime fascista ha commesso il crimine lentamente nelle galere dove aveva gettato il suo prigioniero di classe e il Fronte popolare ha adoperato i sicari centristi malgrado che i sedicenti correlegionari di Berneri partecipavano e partecipano tutt'ora al governo di unione sacra e sovratutto per colpa loro i proletari spagnoli stanno dissanguandosi in questo primo atto di guerra imperialista caduti nel tranello della manovra «antifascista».

La borghesia mostri essa la faccia «fascista» o «democratica» non perdona ai suoi nemici di classe e lo ha provato a pochi giorni di distanza in modo così lampante che dovrebbe illuminare anche i cervelli più ottusi e refrattari tra i proletari. Ma purtroppo il proletariato è oggi talmente dislocato, talmente disorientato che neppure ammaestramenti così palmari, così inequivocabili non bastano a fargli ritrovare il cammino di classe.

Il centrismo che aveva lasciato, ancora in vita, cadere ultimamente il «capo», certo perchè la galera fascista lo aveva salvato dall'ignominia finale, lo rivendica morto e si getta sul suo cadavere, come lo sciacallo, per speculare ai fini innominabili della sua immonda politica di tradimento.

Gli anarchici da parte loro rivendicano Berneri mentre colla loro politica accumulano i fattori che hanno condotto al 4 Maggio.

No, né Gramsci né Berneri, dopo il loro olocausto, non appartengono né al centrismo né all'anarco-sindacalismo.

Essi appartengono ormai unicamente al proletariato che nel loro sacrificio saprà ritemprarsi e trovare le energie necessarie per continuare la lotta fino alla vittoria finale.

Solo l'Ottobre mondiale potrà degnamente commemorare queste nuove vittime della guerra di classe che allungano la ormai sterminata teoria di coloro che li hanno preceduti nell'olocausto della vita per la causa del proletariato.

In altra parte del giornale trattiamo diffusamente dell'uno e dell'altro.

 

 

Il martirilogio proletario

Antonio Gramsci

 

Morto, assassinato dal fascismo, a Gramsci tocca, come è stato il caso per tanti altri, di esser una seconda volta, ammazzato coi commenti dei suoi apologisti. La stampa centrista e di Fronte Popolare - dal «Grido del Popolo» al «Nuovo Avanti», e «Giustizia e libertà» - si è gettata sul cadavere del Gramsci speculando, snaturando, svisando, ai fini della loro funzione controrivoluzionaria, il suo pensiero e la sua opera.

Abbiamo già espresso il nostro giudizio su Gramsci, anni or sono, quando il centrismo inscenò una campagna per la liberazione del «capo» del proletariato italiano, campagna che doveva languire in seguito quando fu palese che Gramsci era stato salvato dalla galera, dalla ignominia finale in cui era degenerata quella corrente di cui era stato l'ispiratore massimo fino a quando, caduto prigioniero del nemico di classe, doveva lentamente, dopo undici anni di torture fisiche e morali inaudite, spegnersi in una clinica dove era stato trasportato quando i suoi giorni erano ormai contati. Non abbiamo nulla da modificare. Sostenemmo allora, e lo sosteniamo oggi, che l'unica forma proletaria di commemorar gli scomparsi, gli è di denunciare anche gli errori e le colpe, la parte negativa e caduca della loro opera, acciocché questa non debba offuscar la parte vivida e duratura della loro azione, che diviene parte integrante del patrimonio del proletariato per le sue lotte emancipatrici del domani. E a Gramsci colpe, incomprensioni, debolezze non sono mancate. E per la sua stessa origine sociale e per l'epoca in cui si è inscritto nel movimento operaio italiano.

Intellettuale - aveva studiato filosofia a Torino - subì l'influenza culturale di quella filosofia idealistica che doveva portare Gobetti, suo fratello spirituale e altra vittima del fascismo, verso l'utopia di un liberalismo rinnovato e «rivoluzionario».

Politicamente fu influenzato ai primordi, come tanti altri, dal revisionismo di Salvemini che vedeva il superamento della crisi socialista nella soluzione del «problema meridionale». E Gramsci, sardo di nascita, fu fautore di un federalismo che propugnò anche nelle file del partito.

Appartenente a quella generazione che venne al movimento traverso la guerra - Gramsci fu in un primo tempo interventista come lo riesuma Tasca lanciando la freccia del Parto - ma poi scosso dalla rivoluzione di Ottobre - di cui del resto all'inizio neppur lui comprese il significato - cercò legarsi più intimamente alla classe lavoratrice, ciò che gli fu facile in quella Torino che era la vera «capitale proletaria» d'Italia.

Ma «capo» del proletariato italiano non lo fu mai, né lo sarebbe potuto diventare. Anche per le sue condizioni fisiche che non mancavano di ripercuotersi sulla volontà e la decisione, doti indispensabili per un capo. E vediamo infatti subire dal 1921 al 1923 la influenza della  «personalità» di Bordiga, dal 1923 al 1926 l'influenza dei dirigenti della I.C. «dopo Lenin».

«Capo» per noi è chi esprime in una data fase storica, le aspirazioni e gli interessi della classe operaia. Bordiga fu il «capo» del proletariato italiano del dopo guerra unicamente perchè seppe, per primo, affermar la necessità del partito di classe per condurre il proletariato alla vittoria.

«Capo» per i comunisti significa una funzione in una data tappa della lotta emancipatrice del proletariato, non un grado acquisito a vita. E il «capo» della rivoluzione italiana potrà anche non essere Bordiga. ma questi lo fu nel 1919-1923 e non Gramsci, che anche più tardi, nel 1924, doveva al momento della crisi Matteotti, prender di nuovo una posizione non corrispondente all'imperativo dell'ora col suo «Antiparlamento».

Così Torino, centro obiettivamente il più favorevole, - e dove la maggioranza della sezione era con noi, cogli «astensionisti» - non facilitò a Gramsci la concezione della necessità del partito di classe, cui non doveva pervenire che alla metà del 1920, mentre Bordiga a Napoli, centro obiettivamente il più sfavorevole, vi era arrivato dai primordi del 1919. Ritardo che fu fatale per la rivoluzione in Italia.

Una volta fondato nel 1921 il P.C., Gramsci, come abbiamo detto, fu con Bordiga, né si associò all'opposizione, del resto larvata , dei Bombacci o dei Tasca.

Fu solo più tardi, alla fine del 1923 e primi 1924, che a Mosca, Gramsci fu l'artefice magno del centrismo italiano che facendo blocco colla destra, pure partorita a Mosca, del Tasca doveva dare al partito italiano, mentre i suoi fondatori erano in galera, quella orientazione che doveva farne una delle pedine della controrivoluzione in atto.

E Togliatti «che non si decide come è un po' sempre nella sua abitudine» come Gramsci stesso lo ha caratterizzato, si decideva questa volta a diventar  il «capo» dei nuovi traditori dopo che i Gramsci, i Terracini, gli Scoccimarro erano caduti nelle grinfie del fascismo.

E ciò ce lo spieghiamo. Non per nulla Grieco, «vice capo», ha scritto nello «Stato Operaio» a proposito di Togliatti «che l'avversione a Bordiga ed al bordighismo è stata sempre profonda, direi quasi fisica». L'avversione al «bordighismo», cioè alla lotta classista del proletariato.

E non esitiamo affermare che Gramsci avrebbe forse saputo, con un riconoscimento in pieno degli errori del passato, unica forma di riabilitazione proletaria, colla quale per es. Serrati seppe riscattarsi dalle colpe del 1920, ricongiungersi al proletariato rivoluzionario. La lettera del gennaio 1924, che cita Tasca, non contiene la confessione dell'errore che fece nel 1919-20 il gruppo dell' «Ordine Nuovo» di non propugnare quella creazione immediata del partito di classe, che noi, gli «astensionisti» prospettavamo dal 1919, quegli « astensionisti» di cui si dimentica troppo spesso questa posizione fondamentale, sottolineando invece la tattica contingente dell'astensionismo elettorale?

E nell'altra lettera che nell'ottobre 1926 Gramsci indirizzava alla I.C.  non si contengono critiche alla politica del centrismo che stava iniziando la «campagna» antitrozkista? Critiche, le uniche, che furono a farle i centristi italiani della prima ora - i Gramsci, i Terracini, gli Scoccimarro, mentre toccava solo agli epigoni, i Togliatti, i Grieco, i Di Vittorio di prostituirsi davanti al «pilota» del tradimento.

Nell'ottobre Gramsci veniva arrestato e l'anno dopo condannato a 20 anni. Il calvario si iniziava...

Per concludere, per quanto gravi siano stati gli errori del passato, Gramsci li ha riscattati, e a josa, col suo lento martirio di undici anni. E Tasca, che nelle colonne di «Giustizia e Libertà»e del «Nuovo Avanti!» ha cercato, anche lui, speculare sul morto per difendere il suo opportunismo inveterato, potrebbe dato che ne possiede la copia pubblicare la lettera con cui, Gramsci, all'indomani di Livorno, respingeva la proposta di Mosca di tentare una subdola campagna per eliminare Bordiga dalla direzione di quel partito che esso aveva fondato, protestando che giammai si sarebbe prestato a simili manovre.

Sarebbe una degna commemorazione del grande Estinto.

 

Prometeo, n. 145, 30 maggio 1937