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archivio > Archivio sulla sinistra>Riunione di Roma, marzo 1961, Storia della sinistra comunista (il programma comunista, 1961)

aggiornato al: 03/03/2008

il programma comunista, n. 12, 1961

Ripubblichiamo parte di un rapporto tenuto alla Riunione di Roma del marzo 1961 del partito comunista internazionalista (il programma comunista) e precisamente parte della "seconda seduta" dedicata alla «storia della sinistra comunista»; questa relazione trovò posto nei numeri 11 e 12 di "il programma comunista" del 1961. Noi riproduciamo quanto ospitato nel n. 12  (con l'esclusione di un paragrafo).

Il testo non ci pare sia stato da allora più riproposto, ma merita di essere conosciuto e letto con attenzione. Come "la degringolade" (già presente nel sito)  è una carrellata di rara forza, potenza e poesia sugli anni venti del secolo scorso.  

E' compito del lettore il disporre in modo armonico i tasselli che noi andiamo riproponendo e che compongono  quel puzzle che è la storia nostra, del comunismo rivoluzionario del secolo scorso.

 

 

Riunione di Roma del 3-4 marzo 1961. Storia della Sinistra Comunista.

 

 

Grandezze e miserie del Comintern

 

Finita col 1918 la prima guerra mondiale, nei grandi anni 1919 e 1920 il terrore del grandioso verbo rivoluzionario fece tremare il mondo borghese. Negli anni 1914, 1915, 1916 e parte del 1917 la corrente pubblica opinione, formata allora come oggi dalla pubblicità delle gazzette, poi arricchita di altri mezzi di fabbricazione a bassi costi della Beozia popolare, non si fermava sul risultato che la filantropica civiltà capitalistica avesse generato il massacro generale, quanto sul fatto che lo spettro che si levava dal 1848 su tale miserabile civiltà e cultura, il socialismo rivoluzionario, che aveva affidata la palingenesi alla classe dei senza patria, nelle brevi ore dell'agosto 1914 si era afflosciato su se stesso naufragando nel conformismo sciovinista.

Ma l'inatteso incendiarsi di una nuova striscia di polvere partita dall' Ottobre di Mosca aveva risollevato più tremendo il fantasma che turbava i sogni dei privilegiati, degli ortodossi, dei possidenti. Dopo un periodo di confusione, per capi politici e mestatori gazzettieri, nello sforzo di comprendere la tragedia della storia che aveva per teatro la Russia, e dopo il vano lancio delle spiegazioni più insulse e deformi, che misuravano degnamente il grado di intelligenza e di sapienza della classe dominante,  una luce abbagliante si era riaccesa e faceva tremare le vene e i polsi dei conservatori. Il loro terrore era che alla guerra generale degli stati, che aveva fatto la sua travolgente apparizione spegnendo le fiamme delle lotte tra le classi, non sarebbe succeduta come nuova fase storica la pace tra gli stati, ma un nuovo incendio, di guerra di classe, di guerra civile, che dalla Russia si sarebbe rovesciata sull'Europa e oltre.

Tutti i fatti di quell'epoca  fervida e ardente contenevano questo monito, e vana riusciva la prassi secolare della falsificazione ufficiale delle notizie. I fatti innegabili e ineluttabili portavano con sé la forza del vaticinio, fiamma inestinguibile di tutte le rivoluzioni avanzanti. E per la prima volta nella storia del genere umano, il vaticinio non veniva da un profeta inspirato,  ma dalla dottrina completa e luminosa di un movimento storico che,  - in alto - si era sognato di avere sepolto. Ardua, difficile ed elevata, la teoria del partito rivoluzionario era nell'epoca d'oro, in cui - non per virtù di una banda di profeti in seconda o di sottoprofeti - appare come luce spontanea nella testa «delle masse», ossia di quelli che non sanno, non hanno scuola, non hanno cultura e per questa loro felice condizione non sono appestati dai fumi di civiltà corrotte e in decomposizione.

Il movimento comunista internazionale fu in quella fase al suo vertice. Vittoria nella battaglia insurrezionale in Russia contro tutta la gamma dei partiti piccolo borghesi, avversari classici, e socialdemocratici, traditori classici; poi vittorie militari contro le orde bianche antirivoluzionarie mantenute prima dai tedeschi - sventrati colla supermanovra rivoluzionaria di Brest Litovsk - poi dagli alleati dell'Intesa. E nello stesso tempo levata in alto del sistema della dottrina del partito proletario mondiale, che era servita di vitale ossigeno alla formazione del partito bolscevico e che lo stesso aveva rivendicata nella sua lucente interezza contro le ignominie dei revisionisti e dei patrioti leccapiedi del 1914.

Quanto grande in quel tempo la sicurezza e la convinzione di milioni di proletari in tutto il mondo nell'infallibilità della nostra bussola teorica! Mentre la borghesia aveva visto dilacerati i suoi imbelli ideali e vagolava biascicando coi vari sacrestaneschi Wilson un riordinamento del suo mondo, illimitato era il nostro disprezzo, nel rifulgere delle nostre tesi per tutto il suo bolso bagaglio di ideologia politica fatiscente, per le sue filosofie già disperse dal primo marxismo, per la sua scienza accademica falsa e corrotta, la sua tecnologia ciarlatana e truffatrice del lavoro e del consumo, e soprattutto per la infame ipocrisia dei suoi pacifismi e filantropismi puritani!

La massa proletaria ignorante si levava a guardare con disprezzo tutta la sapienza della borghesia e le sue pose intellettuali. A distanza da quel tempo splendido, ma facendo tesoro di quelle lezioni della storia, abbiamo potuto oggi o da poco rivendicare la tesi che la punta avanzata della conoscenza della specie è data dalla teoria della lotta sociale come la scopre il partito della classe rivoluzionaria; e qui è il primo incontro dell'uomo con la verità.

Allora nella nostra azione di comunisti di tutto il mondo era la intuizione di questa formolazione del problema della conoscenza, contenuto in una delle soluzioni di millenari enigmi che il marxismo dette un secolo addietro.

 

La grande luce si offuscò

 

Questo il senso della teoria che trova le masse e delle masse che fanno con la loro lotta pratica nascere la teoria nuova, originale, prima nella storia.

Ma oggi, o vergogna immensa, andare alle masse e con le masse si dice per giustificare ben altro; il ricalcare vie putride, corteggiando masse non rivoluzionarie, non di senza riserva, di senza dio e di senza patria, ma cosiddette masse di piccoli borghesi e piccoli padroni, filistei, dal gruzzoletto nella calza di lana e dall'intrallazzo di piccolo cabotaggio, per prostituire la immensità di quella nostra dottrina alla superstizione dell'uomo medio, al bigottismo del prete e a quello molto peggiore della cattedra ufficiale e delle agenzie di pubblicità commerciale, al timore reverenziale verso una pretesa progrediente scienza che poggia le sue efflorescenze putrescenti sulla forma mercantilistica e sul generale venalismo monetario di tutte le umane funzioni.

La fede ardente di quegli anni fecondi poté far ritenere che uno slancio così potente non potesse essere seguito da una rivincita storica delle forze opportuniste e di corruzione. La sinistra comunista in Italia e altrove ebbe la prima coscienza di questo pericolo, e non qui intendiamo dare tutta la analisi storica, della quale abbiamo già stabilito varie fasi di fatto.

Più volte abbiamo spiegato - non si tratta di giustificare o giudicare colpe -  le ragioni per cui la sommità del partito russo credette forse più facile guadagnare le masse europee, non valutando bene le speciali condizioni favorevoli avute storicamente in Russia, che pure Lenin mise molte volte al fuoco.

E' da allora che in cento occasioni il partito italiano, fin che ebbe l'indirizzo di sinistra illustrò il confronto tra il decorso russo e quello europee, e non vi si tornerà mai abbastanza. I grandi rivoluzionari russi mancavano della esperienza funesta del parlamentarismo nei paesi di democrazia sviluppata.

Ma qui ci teniamo a tema più modesto, se si vuole. Speciale concorso di cause storiche favorevoli avevano portato il proletariato europeo molto vicino alla entrata in azione. Una condizione era data da quella generale accesa certezza nelle nostre tesi e consegne centrali: la dittatura - l'insurrezione - il terrore rivoluzionario e statale. Ma quella condizione felice non è di tutti i tempi. Non basta la solidità teorica del partito - che del resto le tattiche troppo sciolte misero presto a dura prova - a portare al massimo il legame tra la dottrina e l'azione della classe. Vi può essere nei militanti del partito sicurezza ed entusiasmo, ma essi non lo possono comunque e sempre generare nelle masse per la loro attività di oratori, agitatori, scrittori. Non è un processo retorico che chiama le masse attorno al partito, né il possedere una rosa di uomini eletti, i famosi «capi», che hanno lasciato una storia anzi cronaca pietosa. Il processo è di fisica sociale, si constata, non si provoca.

Una tesi che ci preme enormemente è che non si tratta di scegliere un gruppo di uomini che formi lo «stato maggiore» del partito, e come si dice con la parola di moda lo «staff» o il «cast». Non si tratta di fabbricare con scoperte di persone quello che oggi dicono un trust di cervelli. Questa è una posizione pettegola e spregevole da cui è bene stare lontani. Questa illusione non è mai nutrita in buona fede, ma manifesta all'esterno il banale carrierismo, peste delle democrazie politiche, per cui si fanno avanti a spintoni elementi che non hanno qualità spiccate se non quella di furbi servitori di una ambizione morbosa, e in ogni caso di quanto sia più forte di loro. Ogni vanesio è un vile.

Perchè la storia della miseria del Comintern che seguì quella troppo breve della indimenticabile sua grandezza, fu quella che ci si mise a cercare gli uomini adatti. In tempo denunziammo senza reticenze questa che era una selezione alla rovescia. Forse i compagni russi in dati casi pensarono che questi pezzi della macchina di partito avrebbero potuto in breve tempo essere messi da lato nel caso già scontato di un rapido logorio. Ma noi accusammo questo criterio di evidente eccesso del più artificioso volontarismo.

Le conseguenze di questo metodo penoso sono sopravissute anche fuori del campo che ci interessa, ossia da quando dei principi e della dottrina  è stato fatto cinico gettito. Abbiamo una collezione di omuncoli politici il cui maggior vanto è di aver riconosciuto i propri errori. In che differiscono dal modello di opportunista Saragat, che grida: la politica è la scienza del possibile?

Per noi, con Marx, la politica è la scienza dell' impossibile comunismo (appello 1871 per la Comune di Parigi). Se mi accorgessi che davvero il comunismo  è divenuto impossibile, penserei di fare una nuova carriera ammettendolo? Questo lo fanno i saragattini e i krusciovini. Vi è un solo modo di rimediare  ad un errore simile; ficcare nella melma per sempre la testa con cui si era pensato finora.

Ad un congresso di Mosca dicemmo: tutta la maggioranza che vota per il Comitato Esecutivo è di antichi oppositori pentiti. Mosca diviene una Canossa? E tra questi prendete quelli a cui consegnare i partiti? Non vedete che si va alla rovina? Che si fa del parlamentarismo, e della diplomazia come a Ginevra (sede allora della Lega delle nazioni, da noi boicottata)?

Dopo alcuni decenni si fa la politica della Ginevra di questa generazione al Palazzo di cristallo. Previsione facile.

 

Le mode ondeggianti

 

Dopo il 1920 gli anni cominciarono a scorrere presto. Di congresso in congresso si cominciò a soppesare la situazione, ma non nel senso di una constatazione realistica per scegliere decisioni che il partito mondiale doveva già avere nelle sue regole e nelle sue carte, bensì colla pericolosa maniera di imprimere al movimento svolte brusche e sempre inattese e disorientanti, per fare una abile contromossa, per incrociare ad angolo opportuno le vele col vento che tirava. Si prese la mania di giudicare di mese in mese se la Signora Situazione era più o meno rivoluzionaria. Se lo era se ne deduceva molto vanamente che «si andava a sinistra» e che si dovevano, partito per partito, mettere in auge gli elementi di «sinistra». Ma se la situazione si giudicava raffreddata, allora si traevano le conclusioni opposte e si decideva di andare a destra. In tali casi quando il congresso mondiale discuteva la questione, poniamo, polacca, allora era il momento di portare alla direzione i compagni polacchi un poco più molli, come si dice oggi, al posto di quelli troppo duri.

Nella nostra critica dell'Internazionale spesso colpimmo gruppi detti di sinistra per questa loro artificiosa e sospetta messa avanti, negammo che in questo modo Mosca e i partiti nazionali «andassero a sinistra», e denunziammo la marcia generale verso il neo-opportunismo, verso cui con queste oscillazioni poco sincere si metteva in moto il Comintern, di cui prevedemmo la tendenza liquidatrice, che molti e molti anni dopo la ebbe vinta.

Vi furono episodi, che non importano perchè legati a nomi di persone, sia pure di buon merito rivoluzionario, in cui «difendemmo la destra». Scandalo!

Alla fine dell'anno 1926 in Italia, giusta gli eventi in questi ultimi tempi ricordati coi famosi volumi di documenti, la destra ebbe la piena consegna del partito da cui, dal 1923 in poi, era stata estromessa la vecchia direzione di Livorno. La nuova politica del partito era quella del blocco di tutti i partiti antifascisti, anche borghesi, che gettava le basi di tutta un'epoca di «nuovo corso» ossia di un corso che la massa di militanti da cui era nato il partito non sentiva e non voleva.

Nello stesso tempo in Russia in una sessione dell'Esecutivo allargato, in cui la opposizione italiana non era più rappresentata, veniva con analoghi sistemi battuta la opposizione russa di sinistra (Trotsky, Kameneff e Zionovieff) da Stalin appoggiato ancora da Bucharin che poi doveva fare la fine degli altri.

Si rovinava dunque senza possibilità di dubbi verso la peggiore destra, in quanto il tema era la rinunzia alla rivoluzione europea, e si gettavano le basi storiche della alleanza russo-democratica contro il nazi-fascismo.

Ma le strade e le fasi di questa balancoire delle mode di tendenza non sono mai chiare e semplici. Occorreva una mascheratura che facesse intendere alle ingenue masse che si era sempre a «sinistra». Al 1928 circa prevalse quella che si chiamò tattica del socialfascismo. Che cosa era? Proprio l'opposto di quella teoria in nome della quale i centristi gramsciani in Italia avevano «debellata» la nostra sinistra facendosi un merito di servire fedelmente l'Internazionale. Noi infatti sostenevamo che la borghesia alterna a suo favore e nel suo interesse di classe il metodo fascista e quello democratico. Era dunque una nostra bestemmia. Ma quando dopo averci rimossi Mosca lanciò la parola del socialfascismo, non disse forse lo stesso,  ossia che si dovessero combattere i socialisti quanto i fascisti, perchè non vi era da fare preferenze?

In questo svolto si poté vedere la linea della sinistra italiana. Trotsky oramai esule fuori Russia combatte fieramente la formula staliniana, indicando il pericolo fascista che in Germania avanzava senza che i comunisti stalinisti nulla facessero per combatterlo, e sostenne una tattica tipo fronte unico 1922 per cui si dovesse fare il blocco antinazista. Ma noi, che sulla tattica «leninista» abbiamo sempre avuto dissensi con ... Trotsky, che troppo tardi vide l'abuso fattone dallo stalinismo, da noi subito segnalato, noi senza avallare come un successo di sinistra la tattica di Mosca, e confermando la linea non breve della nostra critica, mantenemmo ferma, su ben altre basi, la nostra avversione  al blocco fronte popolare, ben sicuri che gli stalinisti sarebbero tornati a una tale formula, specie in Italia ove mai l'avevano smentita, e soprattutto in Francia ove si favoleggiò che «le masse» volevano l'unità socialcomunista quando i due famosi cortei si fusero in uno solo. Quanta corte alle masse, e quanto comodo fare ad esse portare la responsabilità di infami colpe dei capi politici!

Tutto questo ondeggiare, che abbiamo appena tratteggiato, è la ricetta per un inganno al proletariato più schifoso di quello del 1914: sfruttare il ricordo della rivoluzione di Ottobre e degli anni gloriosi da cui siamo partiti, per arrivare alla genuflessione alla politica opportunista e agli interessi della conservazione capitalistica.

Per giustificare questo deplorevole metodo per la «selezione dei quadri» in effetto del quale l'ambiente dei congressi internazionali di anno in anno peggiorava, man mano che si allontanava il tempo di Lenin, si invocò a gran voce la solita esigenza della unità monopolitica; della disciplina ferma; della repressione dello spirito di frazione.

Invece di svolgere nel senso della dialettica marxista il giusto confronto tra lo sviluppo russo e quello occidentale (trattato tante volte da Lenin in modo assai suggestivo) si esagerò sul tema del «ricettismo», secondo il quale per ripetere il successo russo si doveva imitare da vicino la formazione del partito bolscevico. Ma non solo il metodo era sbagliato e non concludente allo scopo, quanto lo scopo stesso era stato rinnegato. Allora non fu facile dirlo e sostenerlo ma ora la cosa è evidente: da quando lo stalinismo decise che la Russia doveva restare il solo paese della dittatura del proletariato e del socialismo, rinunziando, come sempre più nettamente si è fatto nel seguito, a lavorare per lo scoppio della rivoluzione in Europa.

 

La «bolscevizzazione»

 

Bolscevizzare dunque i partiti comunisti, perchè ... si fosse certi che non avrebbero fatto quello che il grande partito bolscevico aveva fatto?

La verità era che si volevano soffocare fino a distruggerle quelle opposizioni, che in Russia e altrove intendevano decisamente opporsi alla rinunzia alla lotta per la dittatura del proletariato in tutti i paesi, sola via per cui la rivoluzione socialista russa poteva essere salvata dalla rovina. Si disse allora che nella Internazionale comunista non si poteva permettere il frazionismo. La nostra risposta fu che il frazionismo è la febbre che reagisce alla malattia opportunista: se questa incombe non vi è altra via che la costituzione di una frazione.

Nel 1924 Zinovieff rispose abilmente ed esattamente che se vi fosse stato nella Internazionale il pericolo opportunista, allora lui stesso sarebbe venuto con noi nel formare la frazione.

Purtroppo gli eventi mostrarono che il pericolo esisteva, nell'Internazionale e nello stesso partito bolscevico, e Zinovieff lottò invano fino a cadere sotto i proiettili del plotone di esecuzione!

Ma per conseguire la disciplina bolscevica e centrale la formula di organizzazione prescelta fu quella che determinò una nostra vivace opposizione, che non si inspirava alla intenzione di formare la frazione internazionale di sinistra, ma a valide ragioni di principio. Si avanzò infatti la famosa formola che dovevano essere base della organizzazione del partito le «cellule di fabbrica». Questa questione fu discussa a fondo al Congresso di Lione e al successivo Esecutivo Allargato di Mosca della primavera 1926, importante quanto un congresso. Che noi non lo facessimo per poter fondare una frazione fu mostrato da varii episodi: nel 1925-26 in preparazione del congresso illegale a Lione accettammo di sciogliere il «Comitato d'Intesa» che si era costituito in Italia. E facemmo molto di più in seguito, dopo la grave rottura a cui Lione condusse.

Dopo il congresso di Lione del principio del 1926 (di esso si racconta oggi senza produrre alcun documento che il partito italiano si schierò al novanta per cento per la centrale destro-centrista, e la sinistra fu battuta definitivamente; ma si tratta di un falso. Le forze dei delegati erano pressoché equivalenti, e quanto alla famosa base malamente si poté in Italia consultarla per la nota situazione di dominio del fascismo: quindi le riunioni di sezioni malamente si potettero fare, e ancora meno i congressi di federazioni provinciali, tutta la attività dovendo essere clandestina; ebbene, molto elegante fu la trovata dei dirigenti centristi del partito: si stabilì che tutte le tessere di iscritti per cui non risultava il voto né per la centrale né per la opposizione di sinistra si sarebbero calcolate come a favore della tesi della centrale; dato che la consultazione si fece cominciando alla fine del 1925 le tessere teoricamente considerate erano quelle 1925; se i votanti effettivi furono il dieci per cento di quella cifra di un anno prima, fu facile far dare al centro il novanta per cento oggi vantato; probabilmente i verbali di Lione non esistono più; ma a Mosca esistevano nel 1926 quando si discusse il nostro reclamo alla commissione di controllo; il nostro rappresentante che fu invitato a baciare Palmiro rise sopra la cosa, eseguendo l'amplesso e disse che i sinistri sapevano bene di aver trovato nei centristi i professori di democrazia, cosa di cui si fottevano del tutto. Rise anche il vecchio formidabile bolscevico Piatnisky, capo del servizio illegali, che conosceva tutti i suoi polli, e del reclamo burocratico nulla si seppe più; come dal gergo sempre valido fu archiviato; se si è maniaci di storia si vada a riesumarlo laggiù)...orbene da Lione che si chiuse con una dichiarazione della sinistra che sarebbe bene pubblicare perchè mise in mora i traditori in marcia, non per la pastetta dei voti, ma per la pretesa ipocrita e pretesca di mettere due di sinistra nella nuova centrale, da Lione si andò a Mosca per il citato Esecutivo allargato (sesta sessione) di marzo 1926.

Nelle vive lotte di questa sessione che segnò il trionfo dello stalinismo fu in evidenza la gravissima questione tedesca. In Germania vi era un centro, una pretesa sinistra di indirizzo non soddisfacente per noi italiani che con essa ci scontrammo duramente, pur resistendo non meno aspramente alle posizioni tattiche di Stalin-Bucharin (fu allora che Zinovieff ebbe l'ostracismo) ed infine una estrema sinistra che a parere dei soliti superficiali si affiancava a noi sinistra italiana. Ma tale estrema sinistra risentiva delle sue origini K-A-P. diste, ossia del partito comunista operaio del 1920, di tendenza sindacalista e - per chi sappia guardare a fondo - più affine agli «aziendisti» italiani che a noi. Nella fine del 1926 il capo teorico di questa corrente, il compagno prof. Korsch di Berlino, invitò i sinistri italiani a prendere con loro l'iniziativa di fondare una frazione internazionale di sinistra. Dall'Italia si rispose con un rifiuto, basato sul fatto che, mentre era chiaro che a Mosca si andava del tutto alla deriva verso il nuovo opportunismo, le basi di principio della sinistra in Germania ed in Italia erano troppo poco omogenee per fondarvi una sicura riscossa contro la degenerazione: le rampogne a Mosca ed a Stalin, nelle quali noi non avevamo esitazioni, come formulate nelle tesi di Korsch, sapevano troppo di critica al potere per il potere e di lagnanza in nome della democrazia di base, per essere del tutto conciliabili con la fedeltà alla linea marxista su punti indiscutibili della validità della forma partito, della forma stato e del terrore anche antidemocratico, armi che i rivoluzionari non devono mai correre il rischio di spuntare, perchè vitali.

Nemmeno dunque alla fine del 1926 noi aderimmo alla formazione di una frazione internazionale. E' ben possibile oggi chiedere se facemmo bene a non fondarla noi, e magari a non fondare una nuova internazionale rompendo con Mosca; queste domande sono possibili come tante altre, come quella che nel 1919 la frazione astensionista italiana poteva lasciare il partito socialista. La storia non può essere trattata come una «caccia agli errori» - questa è proprio la formola contraria alla nostra e degna degli acrobati stalin-kruscioviani - ma la si può fare con intento sperimentale. In tal caso il succo della nostra attuale ricerca è questo, non che fece Pinco e che controfece Ponco, chi dei due vinse e chi era dei due il più bel moschettiere della rivoluzione, ma a che ha condotto, in un lungo ciclo, la prova di un metodo che tutte le convenienze della congiuntura del momento mette indietro  in confronto al rispetto dei principi e quindi, come Engels dettò, non ha mai voluto per un successo di oggi sacrificare l'interesse futuro e generale del movimento.

A questa stregua deve essere studiata la storia della sinistra. Se la prova dei fatti storici fosse che si è fatto sempre male per troppi scrupoli, allora la conclusione sarà semplice e sarà l' opposta di quella, per cui noi spariamo le cartucce che ci siano rimaste: una buona dinamica per la rivoluzione è il portare avanti uomini brillanti che in ogni momento si atteggiano come meglio conviene per avere le masse, e la consegna del movimento sarà di seguire i grandi nomi e coltivare gli uomini politici, quelli che noi sciocchi avevamo teorizzato come le puttane della storia.

 

[Omettiamo, a questo punto, il paragrafo «le cellule di fabbrica» per motivi di tipo "tecnico" (lunghezza del file); quando aumenteremo la ... potenza del "sito" il paragrafo ritroverà il suo posto]

 

Il ponte sul tempo

 

La storia come noi la intendiamo svolgere , ossia non per un medagliere imbecille di onorificenze al merito ma per la lezione della dinamica delle lotte proletarie fitte di alti e bassi  da tragedia, ha questo scopo, ossia leggere a distanza di decenni quale sia il rapporto tra gli ardenti dibattiti di quarant'anni fa e la sciagurata situazione di oggi.

I documenti da trovare non sono di firma e di portata personale ma valgono in quanto argomentarono con previsioni del futuro immediato e lontano, che oggi è possibile riscontrare sui fatti trascorsi.

Solo se si riesce a gettare sul tempo questo ponte efficace si è fatta opera rivoluzionaria. Se questo non fosse possibile tutto cadrebbe, ma sarà facile provare sia pure alla scala modesta della sinistra comunista italiana che un ciclo di questa possibilità si è concluso.

Le macro-carogne e le micro-carogne fanno troppo presto a rallegrarsi  se sperano di provare che solo il loro metodo è attuabile, quello di decidere alla giornata mettendo la vela come tira il vento, e a questa miseria riducono la grande politica, a questo metodo subordinano ogni coerenza con se stessi e ogni carità del partito, il quale si riduce ad una struttura di plastica a cui si danno tutte le forme e gli usi, fino a quello supremo della tecnologia borghese imperante: farne quattrini.

 

il programma comunista, n. 12, 21 giugno 1961