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archivio > Lettere di Bordiga>19. Prometeo. La discussione in seno alla Frazione (Prometeo, n. 140, 20 dicembre 1936)

aggiornato al: 02/11/2009

Prometeo n. 140, 20 dicembre 1936

Concludiamo con questa puntata quanto apparso sulla guerra di Spagna nel n. 140 di Prometeo del 20 dicembre 1936.

«L’o.d.g. della C.E», con cui inizia l'articolo qui riprodotto, è riportato nella puntata precedente.

Altri articoli in numeri successivi prenderanno ancora in considerazione le posizioni della minoranza che è comunque ormai espulsa e fuori dall'organizzazione.

 

 

19

 

 

LA DISCUSSIONE IN SENO ALLA FRAZIONE

 

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L’EPILOGO

 

L’o.d.g. della C.E., che pubblichiamo qui appresso, rappresenta l’ultimo momento di un tentativo che noi abbiamo perseguito con ostinazione, ma che si è concluso con risultati che rappresentano esattamente l’opposto delle intenzioni che ci eravamo prefisse. Il momento è ora venuto di ricapitolare per meglio comprendere.

Gli avvenimenti spagnoli avrebbero dovuto trovare, nei proletari della frazione, una risposta ferma, inequivocabile sin dal primo momento. Era previsto: quando l’ora sarebbe scoccata in cui il capitalismo di alcuni paesi avrebbe levato la bandiera della crociata “antifascista” per battere con le armi le “orde fasciste” sovvenzionate ed armate dal capitalismo di altri paesi, i grugni dei traditori del 1914 sarebbero risorti e, con le nuove formulazioni imposte dal cambiamento sopravvenuto nelle situazioni, si sarebbero gettati nelle fila della masse per ubriacarle e farne carne da cannone, per immolarle sull’altare del regime capitalista.

Ma per i proletari della frazione, noi lo confessiamo nettamente, questo sbaragliamento era inconcepibile. Anni ed anni di comune lavoro ci avevano preparato per la scadenza inevitabile cui doveva giungere il corso della manovra dei traditori da una parte, delle situazioni in cui è costretto a muoversi il regime capitalista dall’altra parte: mistificazione suprema quella del dilemma “fascismo-antifascismo”, ad essa non poteva essere opposta che l’antagonismo della lotta di classe: capitalismo contro proletariato. E lo sapevamo di già: al momento culminante saremmo restati più che soli, la liquidazione del bilancio degli avvenimenti avrebbe portato tutte le forze agenti nel movimento proletario per il conto del nemico, tutte, - anche quelle che più gridavano alla rivoluzione – a santificare nel nome del “socialismo” il massacro del proletariato, mentre noi saremmo restati soli. La lezione del 1914 era viva in noi e per questo il penoso isolamento non ci scoraggiava: sapevamo che, come i bolscevichi erano restati soli il giorno in cui i primi dissensi con la tendenza dirigente la Seconda Internazionale conducevano all’opposizione finale delle due barricate di classe, così la nostra frazione non poteva restare che sola il giorno in cui le prime riserve di Bordiga nel 1920, sulla questione della tattica, arrivavano nuovamente al loro punto estremo: “manovrare” nel recinto della sinistra borghese ha condotto ad intruppare il proletariato sul fronte imperialista.

Dal punto di vista ideologico e dell’esperienza, la nostra frazione era armata per prendere, sin dal primo momento, una posizione intransigente in difesa del proletariato spagnolo ed internazionale. Le “Tesi di Roma” sono un documento che non consente il minimo equivoco: esse parlano di “divisione di compiti fra destra e sinistra borghese”, (checché ne dica Tre su questa impossibilità), esse indicano come arena per la formazione del partito di classe quella unica delle rivendicazioni elementari e finali del proletariato contro tutte le altre formazioni politiche; esse prescrivono che solo sul terreno sindacale è concepibile il fronte unico con altre formazioni politiche perché solo su questo terreno è possibile stabilire una comunanza di classe dei lavoratori delle differenti tendenze. E dal punto di vista dell’esperienza noi eravamo ancora meglio armati. Espressione del proletariato italiano eravamo stati filtrati da questi avvenimenti: nel 1921, quando si costituivano gli Arditi del Popolo, la Centrale di sinistra aveva ESPULSO dal partito quelli dei suoi membri che non obbedivano all’ordine di uscire da queste formazioni che non potevano che offrire vite di proletari al nemico e nel 1924, al periodo Matteotti, contro la canea aventiniana, noi soli e contro tutti avevamo determinato il partito a rientrare nel parlamento per spezzare l’inganno della “questione morale”. Alleati del fascismo, ci si diceva nel 1921 come nel ’24; a che noi opponevamo fermamente la bandiera di classe del proletariato: non si lotta per il socialismo che su una base socialista, combattere in nome del socialismo in un terreno nemico è ingannare i proletari, consegnarli al cannone capitalista.

Gli avvenimenti spagnoli arrivano e, nella frazione, un certo numero di elementi sorpreso dalla violenza della situazioni, dimentica tutto il passato della organizzazione e, dopo aver giudicato gli avvenimenti secondo criteri che erano stati sempre combattuti, prende una posizione che doveva inevitabilmente condurre ad una scissione politica. Nel primo momento è indubitabile: si trattava di un impeto sentimentale in elementi che si gettavano nella mischia sicuri che il momento era infine venuto per il rendimento dei conti con il nemico. “Dovunque il proletariato è in lotta” dicono le “Tesi di Roma”, ed un gruppo di elementi partì con il proposito deliberato di mettere l’organizzazione in una tale situazione politica che tutti avrebbero dovuto seguire il loro slancio entusiasta: “sconfessare chi rischia la sua vita” è operazione impossibile, e si trattava di uscire dal terreno di “elucubrazioni teoriche” per passare all’azione.

Giunti in Ispagna questi compagni, in un primo momento sono trasportati dal vortice degli avvenimenti, in un secondo si riprendono. Le “Tesi di Roma” dicono non solamente “dove il proletariato è in lotta” ma “come” si lotta per il proletariato. Non vi è partito di classe: le “Tesi di Roma” dicono “come” si costruisce questo partito; attraverso la lotta senza quartiere contro tutte le altre formazioni politiche, e l’adesione individuale sulla base del programma che esse espongono. Queste Tesi dicono che la lotta armata è la fase superlativa della lotta politica, esse sono non solamente contro la partecipazione ad una organizzazione politica inter-partito, ma anche contro la presenza ad un comitato di questa specie, esse interdicono quindi a più forte ragione la partecipazione ad un’organizzazione militare mista. L’impeto entusiasta è irresistibile e questi compagni entrano in una colonna militare che dipende dal POUM, da un partito il cui confratello italiano, il partito massimalista, l’erede legittimo del grande glorioso partito, porta sulle sue spalle la responsabilità politica di quindici anni di fascismo. Entrano in comitati politici di direzione della colonna, ed invece di prendere contatto con i soli proletari che si drizzano  contro l’organizzazione intiera del POUM, si dirigono – come Zinovief lo aveva fatto contro di noi nel 1921-’22 nel partito socialista – verso l’appoggio ad una scissione di questo partito.

In conseguenza di questo, che cosa fa la C.E.? Prende in mano le regole politiche guidanti la frazione per passare a delle misure disciplinari? No; essa, dopo aver constatato l’inevitabile rottura politica che si era manifestata, afferma che tutta la questione non può essere esaminata che da un Congresso.

La discussione inizia. La minoranza, secondo l’affermazione stessa di Maremmano, è un aggregato di opinioni differenti: nulla di male, e concordemente si arriva alla conclusione che è necessaria un’organizzazione particolare per meglio “coordinare” in vista della preparazione del Congresso. Delle condizioni anormali vengono poste in seguito dalla minoranza; tutto le è concesso dal punto di vista organizzativo; rifiutano di diffondere una stampa sulla quale scrivono; la C.E. passa loro la rete organizzativa della frazione: la documentazione completa della vita dell’organizzazione, ed essi rifiutano di fare altrettanto.

Frattanto, un mese dopo la partenza per il fronte, i compagni riesaminano la loro posizione e gli avvenimenti fanno loro comprendere che non basta l’indicazione “dove il proletariato è in lotta”, ma è necessario un campo di classe di lotta, e scrivono un documento giustificante la loro uscita dal fronte. Se questo documento fosse stato seguito da un altro riflettente le sorti politiche non del loro gruppo particolare, ma del proletariato spagnolo ed internazionale, l’unanimità si sarebbe ricostruita immediatamente intorno ai testi fondamentali dell’organizzazione.

Invece? Quando Candiani arriva con lo scopo ben definito di regolare la sua posizione con l’organizzazione, la prima, l’essenziale preoccupazione è quella di prendere contatti al di fuori della frazione che sarà relegata all’ultimo piano. L’atteggiamento duplice, i viaggi ripetuti laddove alcuna organizzazione della frazione esiste, le riunioni pubbliche dove si sarà estremamente prudenti (a Parigi) perché membri della frazione esistono, ma dove si sarà molto più espliciti dove non esiste alcun contradditore della frazione (e la riunione è numerosa, benché non vi sia che un solo membro della frazione nella città) e “Giustizia e Libertà” – per intenderci, un movimento che si basa sulla piattaforma delle rivoluzioni borghesi del 1848! – mette in evidenza la giusta insurrezione del “compagno” contro il “settarismo atrofizzatore” della frazione.

Questo obbliga la C.E. ad esigere un controllo reciproco delle due tendenze. Risultato? Nuovo cambiamento di posizione da parte della minoranza: qualche giorno prima si minaccia la scissione se il gruppo di Barcellona non è riconosciuto. Ottenuto questo riconoscimento, si parlerà di “rottura immediata”, il congresso essendo divenuto un “meeting inutile”. La C.E. fa rilevare che il congresso ha per scopo di imporre la verifica delle posizioni politiche con i testi dell’organizzazione. La minoranza, che aveva preso, a questo soggetto, due posizioni (partenza ed uscita dal fronte) non poteva affrontare questa prova, ma parla ancora di “rottura” e “scissione”. Si rompe con una parte dell’organizzazione accusandola di aver abbandonato o tradito i testi su cui si basa la frazione. Questo e non altro significa rottura, altrimenti si rompe con il programma dell’organizzazione per farne un altro che non può essere che l’indegno del precedente.

Due erano le ipotesi da sollevare sulla formazione della minoranza: o si trattava di una tendenza della frazione o di una corrente che evolve al di fuori e contro le basi politiche della frazione. La C.E. ha lasciato i membri della minoranza nella possibilità di evolvere nel modo più completo. Ogni pretesto è stato tolto per impennarsi su questioni procedurali e siamo arrivati all’epilogo: la C.E. ritiene di avere ben agito malgrado i risultati negativi che si presentano oggi. Di fronte ad una divergenza scoppiata nel seno della frazione, lungi dal prendere misure disciplinari, la C.E. ha atteso che l’evoluzione arrivi al suo termine. Di fronte ad una discussione di fondo, la minoranza ha dichiarato apertamente di essere asfissiata dai principi di un’organizzazione che essa abbandona. Non si pongono più quindi i problemi specifici  e politici di una tendenza dell’organizzazione, ma quelli individuali di elementi che rompono il contratto che avevano precedentemente firmato di adesione a dei documenti programmatici che essi abbandonano oggi.

Il rifiuto individuale di affrontare la discussione congressuale non è ancora in nostro possesso. Non appena sarà riempita questa formalità passeremo alla pubblicazione dei nomi che gli interessati ci indicheranno per poter essere pubblicati nella stampa della frazione.

 

 

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Per una diga contro tutti i traditori

 

 

Un nostro maestro scrisse, rispondendo ai filistei socialdemocratici, che la teoria marxista deve essere accettata in blocco, o in blocco rigettata: difatti, la caratteristica dell’opportunista consistette sempre a prendere i punti più confacenti alla propria demagogia per guadagnare la fiducia delle masse e nascondere ad esse il contenuto finalista e rivoluzionario di questa teoria.

La manovra del revisionismo in questo campo, non impedì ai bolscevichi di servirsi del metodo di indagine marxista per arrivare al punto culminante esprimente una graduazione di esperienze storiche passate attraverso la trafila di tradimenti e disfatte: la presa del potere attraverso la distruzione dello Stato capitalista.

L’atmosfera storica in cui vive da più di un decennio il proletariato mondiale pone ai gruppi di sinistra in generale ed alla nostra frazione in particolare, lo stesso compito di restaurazione del metodo marxista per spingerlo alle estreme conseguenze e questo in un percorso molto superiore per rapporto a ciò che oggi può essere giudicata la fase che si concluse con l’ottobre russo.

 

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L’aprirsi della situazione spagnola ed i dibattiti avvenuti nel nostro organismo, dimostrano che il cammino da seguire è alquanto difficile.

Il lato grave della questione non consiste nel fatto che si è manifestato immediatamente una forte corrente sulla base di un livello inferiore. Questa manifestazione, anzi, potrebbe contenere un lato positivo, giudicata nel senso generale dell’atmosfera tragica che il proletariato attraversa: perciò nulla di male il manifestarsi spontaneo di quel senso di solidarietà verso un proletariato che si trova sotto i colpi del nemico. La gravità invece sta nel fatto che il primitivo slancio si trasforma in tendenza e questo malgrado la discussione, malgrado l’esperienza, malgrado l’evolversi rude degli avvenimenti, infine malgrado i principi.

Difatti, quando si dà uno sguardo all’esperienza russa ove la vittoria si realizza in pieno attraverso la distruzione dello Stato, non si può esimersi dal vedere che in Spagna è avvenuto proprio il contrario e questo contrario diviene inequivocabile quando si può constatare l’adesione degli organismi sindacali alla salvaguardia dell’apparato economico dello Stato borghese.

Si parla di conquiste sociali, di collettivizzazione della terra, delle fabbriche, ecc. Ma che razza di teoria è questa? Si vorrebbe far credere al proletariato che la rivoluzione si può incominciarla alla rovescia, ripetendo l’esperienza riformista, con la differenza che questa aveva una base, in quanto essa esprimeva un momento ben definito dell’evoluzione capitalista. Oggi, in Spagna, nell’epoca culminante imperialista, il proletariato viene massacrato attraverso l’idea che gli si inculca facendogli credere che difende le sue conquiste e che, nella misura in cui il suo slancio di eroismo aumenta, aumentano le sue possibilità rivoluzionarie.

I comunisti di sinistra, che conoscono perfettamente l’impossibilità da parte del capitalismo, nella sua fase ultima, di poter dare delle concessioni anche minime al proletariato, devono altresì comprendere che, se questo oggi avviene in Catalogna, non si tratta in definitiva che di una grande turlupinatura necessaria al mantenimento di quell’omogeneità che deve risolversi con il massacro progressivo del proletariato sui fronti militari, in attesa dell’ineluttabile cambio della guardia attraverso quel metodo di governo confacente alle caratteristiche economiche per il mantenimento dell’ordine in Spagna.

Nessuna garanzia esiste per il proletariato nella messa in pratica di metodi di economia collettiva quando questi vengono realizzati nei quadri di uno Stato borghese. La visione storica del proletariato non può in nessun caso assimilarsi al tragitto intrapreso dal capitalismo che potette coabitare in seno alla società feudale e solo in un secondo tempo porre la questione del potere. E qui l’esperienza russa entra in scena in maniera decisiva, la natura proletaria di questo Stato non impedisce che la sua politica sia controrivoluzionaria e questo fatto dimostra la tesi che le nozioni rivoluzionarie del proletariato si condensano in postulati politici che si congiungono nel cammino che porta alla creazione della società senza classi.

La spontaneità del movimento di Luglio, in risposta all’attacco capitalista e la manovra controrivoluzionaria susseguita, ci danno un quadro ben chiaro di ciò che può divenire un movimento percorrendo inizialmente un cammino di classe ma, per la mancanza dell’organo d’avanguardia, il nemico può intervenirvi attraverso quegli stessi organismi nei quali gli operai pongono la loro fiducia, ed operare una trasformazione sostanziale.

Il carattere nuovo della capacità di manovra del capitalismo si manifesta su un piano alquanto inoltrato di una situazione storica che si caratterizza quale ultima fase di una crisi evolvente verso la prospettiva capitalista: la guerra – ma non per questo senza legami con altre situazioni sopravvenute in questi ultimi anni e che possono essere classificate quali anelli  di una lunga parabola evolvente verso il tradimento  degli organi sorti dalla rivoluzione russa.

L’incontrarsi, sul terreno dell’unione sacra, di tutte le ideologie che rappresentano delle fasi sorpassate dell’esperienza del proletariato, porta un bagliore di luce alla tragica situazione del proletariato spagnolo, costretto a farsi guidare verso la sua distruzione da fattori che esprimono dei concetti di lotta ricollegati ad innumerevoli disfatte.

Diviene incomprensibile la posizione della minoranza nella sua adesione ai fronti militari, ove è evidente che esiste una rottura brusca con i concetti di lotta proletaria, i quali non potranno mai basarsi sul terreno militare nel periodo in cui il potere capitalista si trova ancora in piedi. Questo concetto di risolvere la vittoria proletaria attraverso la guerra sorge sulla base della degenerazione dello Stato proletario. Solo il centrismo, attraverso il falso postulato del socialismo in un paese solo, poté creare nelle masse questa tendenza, esprimentesi nella cosiddetta guerra rivoluzionaria. Nessuna meraviglia che il bacillo opportunista abbia fatto breccia anche nel nostro organismo, quando dei proletari vivono nell’atmosfera pestilenziale dell’oggi. La loro fedeltà a dei principi che ispirano le idee finaliste e creano un abisso incolmabile con la demagogia prevalente, non può sussistere che alla condizione di essersi penetrati profondamente delle lezioni dell’esperienza,attraverso anni di martellamenti sulla base di concetti che rappresentano un opposto acutissimo ove in alcun momento potrà avvenire l’incrocio con gli organismi nemici.

I compagni della minoranza in pochi mesi hanno fatto molto cammino e non potranno negare di essersi incontrati sul terreno dell’azione con tutti quegli organismi mentre, per anni ed anni, sono stati d’accordo con noi nel pensare che prima condizione per la vittoria rivoluzionaria era il loro sbaragliamento.

Nella situazione in Spagna noi assistiamo invece ad una valorizzazione di questi organismi e non è per caso che questo avvenga in una situazione ove l’ultima parola è alle armi. La borghesia comprende molto bene che l’armamento delle masse non rappresenta di per sé un fattore rivoluzionario quando queste vengono indirizzate su un terreno interclassista: la lotta armata in se stessa può offuscare le moltitudini che sono incapaci a dirigersi; può offuscare quei militanti dominati dalla confusione ideologica, caratteristica dominante dell’attuale situazione. Non potrà certamente offuscare quei militanti di sinistra che, educati alle situazioni passate, sanno distinguere i diversi metodi di manovra di un nemico che può contare sul disorientamento dei proletari ed il tradimento dei suoi dirigenti.

Dall’altra parte, tenuto conto del dilemma che si presenta in Spagna,  ove non esiste la possibilità di sopravvivenza del metodo democratico, diviene mostruosa la posizione che consiste nel massacro del miglior elemento proletario in difesa di un metodo che la stessa borghesia è costretta a rigettare.

Eppure, i nostri minoritari sono talmente confusi di non voler accettare la distinzione fra armamento spontaneo e primitivo e l’inquadramento statale avvenuto in seguito.

Eppure, la cosa è molto chiara e gli stessi minoritari avevano accettato le posizioni della frazione sulla situazione francese nel giugno cioè si trovavano d'accordo nell’affermare la spontaneità primitiva del movimento e l’intervento in un secondo tempo della burocrazia per deviare dal genuino terreno di classe e portarlo sul terreno della collaborazione, attraverso gli accordi Matignon. In quel periodo, tutti i compagni si legarono al movimento dei primi giorni e non esitarono a denunciare  la manovra sindacale che si risolveva nella legalizzazione del movimento.

In effetti, l’incanalamento degli scioperi di giugno in Francia veniva fatto in direzione della  difesa del regime democratico attraverso l’incorporamento del proletariato nei quadri della legalità; in questa direzione si può fare molto cammino e la dimostrazione viene data dalla situazione spagnola. La frazione, prendendo posizione in favore degli scioperi in Francia e denunciando poi il contratto capestro, rimaneva sul terreno iniziale che avrebbe potuto portare alla lotta armata in direzione della distruzione dello Stato. La via opposta, cioè la rottura brusca avvenuta in pochi giorni, si trovava e si trova tutt’oggi sulla linea che porta alla guerra e questa guerra (oggi si può constatarlo) il capitalismo internazionale può localizzarla, giacché la questione essenziale consiste nella distruzione di quei fattori che mettono in pericolo la società capitalista nel suo insieme, perciò nulla di strano se assistiamo alla distruzione fisica di una massa proletaria su un settore in cui, per delle caratteristiche economiche particolari, questo fattore diviene di capitale importanza nel miscuglio delle contraddizioni del capitalismo.

Certamente, il capitalismo mondiale non potrà risolvere la sua esistenza, neanche con questo metodo (che per il suo complesso prende un carattere machiavellico), bensì malgrado la riuscita della sua manovra (e questo grazie ai traditori di tutte le tendenze), non vi sarà che un palliativo di carattere transitorio, in un percorso che deve concludersi con la guerra imperialista o la rivoluzione. Il criterio enunciato all’inizio di questo articolo può essere trasportato sul terreno dell’interpretazione dei capisaldi della sinistra. Nessuna possibilità esiste di rivendicare una serie di questi postulati e rigettarne un’altra. Gli uni sono legati indissolubilmente agli altri; gli organismi di frazione sorgeranno solo alla condizione di creare una diga d’acciaio contro tutta la pestilenza dei traditori, e questa diga è composta sulla base di una linea di legamento diretto formando un solo blocco indivisibile.

La posizione della minoranza rappresenta un tentativo di demolizione di  questa diga. Oggi più che mai la bandiera della lotta contro corrente deve essere innalzata dalla tendenza maggioritaria della nostra frazione.

 

GIGI

 

 

Prometeo n. 140, 20 dicembre 1936