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archivio > Articoli su Bordiga>Francesco Romanetti, Bordiga l'eretico (Il Mattino, 25 agosto 1999)

aggiornato al: 30/08/2008

Il Mattino, 25 agosto 1999

Proponiamo questo articolo di Francesco Romanetti, tratto dal Mattino di Napoli, per concludere questo opaco mese di agosto. Buona lettura!

 

 

Bordiga l'eretico

La rivincita di uno sconfitto

 

Due saggi di Cortesi e Franzinelli e la pubblicazione degli «Scritti» riaprono il caso del fondatore del PCd'I. Gettando nuova luce sui suoi dissensi da Stalin e Togliatti.

 

Rare immagini ingiallite ritraggono un faccione dai lineamenti decisi, circoscritto da una capigliatura folta e tenace nel tempo. Il volto che spunta nella foto di gruppo datata 1921 - anno di fondazione del PCd'I, il Partito Comunista d'Italia nato dalla scissione di Livorno - è quasi sovrapponibile a quella che lo mostra ormai avanti negli anni. Stesso sguardo inquieto e vivo, sotto occhialini con la montatura tonda. Amadeo Bordiga, l'intransigente, il comunista  «estremo», il marxista «ortodosso» (come lui stesso si definiva), anche nell'aspetto restò sempre uguale a sé stesso. Quasi che la fisionomia abbia voluto assecondare il senso di una vita. «Invarianza» è il termine che lui - ingegnere «docente» di astrofisica nei corsi auto-organizzati dagli antifascisti durante il confino a Ustica negli anni Venti - prese a prestito dalla matematica per applicarlo ai principi-cardine del marxismo e della «scienza» rivoluzionaria. Eppure, se l'itinerario umano, politico e culturale di Amadeo Bordiga lungo l'arco di un sessantennio è segnato da un'ostinata coerenza dottrinaria - che lo avrebbe portato, di rottura in rottura, all'espulsione nel 1930 da quello stesso partito comunista di cui era stato il primo massimo dirigente, poi all'isolamento e all'ostracismo e infine all'oblio - il suo contributo intellettuale è fatto di intuizioni, arricchimenti ed evoluzioni successive che si diramano da un nucleo teorico applicato al farsi della storia.

A fare i conti con la complessa, straordinaria e controversa esperienza bordighiana  è ora una serie di volumi ora in libreria: I tentacoli dell'Ovra di Mimmo Franzinelli (Bollati Boringhieri), il secondo dei programmati otto volumi degli Scritti di Bordiga, che purtroppo si fermeranno al 1926 (a cura di Luigi Gerosa per le edizioni Graphos di Genova) e soprattutto un corposo testo curato da Luigi Cortesi (con scritti di Michele Fatica, Luigi Gerosa, Alexander Hoebel, Antonio Ca' Zorzi, Arturo Peregalli, Giogio Galli, Liliana Grilli, Nicola Di Matteo), dal titolo programmatico - Amadeo Bordiga nella storia del comunismo (edizioni Esi) - che intende ricollocare l'ingegnere napoletano appunto «dentro» un percorso. Dentro una «storia», rammenta la biografia intellettuale di Bordiga che poteva (forse) essere diversa da come contribuirono a farla le componenti vincenti del comunismo internazionale (lo stalinismo in Urss e il togliattismo in Italia).

A Bordiga - sconfitto due volte: dal nemico di classe e nel partito - fece difetto proprio «l'ottimismo della volontà», fino a far impantanare l'intransigenza teorica in disincantato attesismo, in minoritarismo critico ma contemplativo (il Partito Comunista Internazionale che fondò nel secondo dopoguerra non rappresentò mai un riferimento di massa). Ma oggi a «guerra finita», a «socialismo reale esaurito» - i tempi sono maturi per riesaminare il «caso Bordiga». Non solo per il fascino indiscutibile del personaggio, ma anche - è la tesi - per riverificare la vitalità almeno di certi tratti del pensiero. E il fascino dell' «ortodosso» Bordiga sta proprio nella sua assoluta eterodossia rispetto alla versione imperante del marxismo, nella provocatoria virulenza delle sue tesi, espresse anche formalmente in uno stile originalissimo: colto, elaborato, aggressivo, a tratti sfottitorio, elegantemente plebeo (in certi passaggi ricorreva anche ad espressioni in dialetto napoletano).

Ma chi era Amadeo Bordiga? Se c'è un lato oscuro della storia della sinistra, questo riguarda la «sinistra comunista» e i suoi protagonisti. Il libro curato da Cortesi - offre uno spaccato più che esauriente per capire quale peso decisivo abbia avuto Bordiga nella storia del movimento operaio italiano e internazionale. Gli undici saggi che compongono il volume prendono in esame praticamente tutte le fasi dell'itinerario bordighiano: dalla guerra di Libia alla fine degli anni sessanta. Odiato e temuto da Togliatti, odiato e rispettato da Stalin (che proprio da quel corpulento comunista napoletano era stato apertamente contraddetto durante una tempestosa seduta dell'Internazionale nel febbraio del 1926), stimato dal compagno-nemico Gramsci che fino alla morte continuò, dal carcere e dalla clinica, a tenersi in contatto epistolare con lui. Amadeo Bordiga è decisamente l'uomo dell'intransigenza, dell'opposizione al compromesso, se e quando inteso (ma quasi sempre) come cedimento che snatura il fine della lotta politica: cioè il socialismo e la dittatura del proletariato quale strumento per raggiungerlo. Su una linea diametralmente opposta a quella del Pci - fatta soprattutto di «entrismo», che ha avuto come esito la «normalizzazione» del partito nel sistema dominante - Bordiga negò sempre ogni integrazione.

La memoria perduta di Amadeo Bordiga passa anche da Napoli. Eppure è proprio da qui che il giovane socialista, poi dirigente comunista, cominciò la sua lunga battaglia. «Napoli era la mia fortezza», racconterà nel 1970 a Giuseppe Fiori in una bella intervista pubblicata poco prima della morte. Bordiga era nato a Resina nel 1889, da un professore di economia agraria di Portici e da una nobildonna. A Napoli, nel clima arroventato della violenta polemica contro il riformismo gradualista, Bordiga fondò nel 1918 il Soviet, giornale di quella sezione napoletana del Psi che insieme con il gruppo torinese dell' Ordine Nuovo  avrebbe dato vita al Partito Comunista d'Italia nel 1921. A Napoli era sorto ancor prima il Circolo Karl Marx, che aveva teorizzato l'urgenza della trasformazione del partito in soggetto rivoluzionario. E Napoli, già nel 1914, era stato anche uno dei centri in cui era esplosa la «settimana rossa» vissuta come preparazione alla rivoluzione: il bilancio fu di 200 feriti, arresti e licenziamenti (tra i primi a perdere il posto ci fu ovviamente lui, l'ingegner Amadeo Bordiga, allora dipendente delle Ferrovie dello Stato).

Ma  dalla «fortezza» di Napoli, il pensiero bordighiano si sarebbe spinto ben oltre l'orizzonte nazionale. Se anzi ragioni «oggettive» esistono - al di là cioè delle censure di partito - per spiegare l' «oscuramento» di Bordiga, queste vanno rinvenute nel suo porsi decisamente fuori del filone culturale che conduce, attraverso Gramsci ma non solo, alla «via italiana al socialismo». In realtà, dopo la rottura anti-riformista del '21 e la fondazione del partito comunista, praticamente su nessuna grande questione strategica ci sarebbe stata più convergenza. Atteggiamento nei confronti della democrazia borghese, analisi del fascismo e poi della seconda guerra mondiale e della resistenza, questione meridionale, ruolo dell'URSS: tutti temi centrali della lotta politica sui quali Bordiga elaborò teorie in netta contrapposizione con quelle del Pci. Solitario Bordiga. Quando il partito predicava il «frontismo», lui denunciava il carattere di classe (borghese) del riformismo socialista; durante la seconda guerra mondiale non parteggiò né per l'una né per l'altra parte, ritenendo interesse del proletariato la trasformazione del conflitto imperialista in guerra civile e quindi  augurandosi tutt'al più la sconfitta dell'alleanza imperialista più forte, cosa che avrebbe colpito al cuore il capitalismo mondiale (e che, nel clima di quegli anni, gli sarebbe costata l'accusa di lavorare tout-court per il fascismo). Da queste «estremizzazioni» teoriche derivò pure la sua freddezza verso la Resistenza, in quanto non finalizzata all'abbattimento dello stato capitalista. Coerente nella vita fino all'ostinazione. Uno sconfitto, senza dubbio. Ma anche lucido precursore. Profetico, quando già negli anni Venti aveva denunciato le «degenerazioni» del potere sovietico, che poi gli avrebbero consentito un trentennio dopo di leggere le involuzioni «borghesi» dell'Urss, che ritenne tuttavia processo  «inevitabile», in assenza di quella rivoluzione europea che non c'era stata. Che cosa resta oggi del bordighismo? La questione è tutta aperta. Fastidioso Bordiga.

 

Francesco Romanetti

 

Il Mattino, 25 agosto 1999