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archivio > Articoli su Bordiga>Giulio Frisoli: Bordiga, Tito italiano? (Candido, 5 settembre 1954)

aggiornato al: 12/12/2010

Candido, 5 settembre 1954

A  titolo di documentazione offriamo ai nostri lettori questo articolo tratto da un numero di Candido del 1954. Numerosi sono gli errori, ma, tutto sommato, questo vecchio articolo si può leggere. Nulla sappiamo del suo autore, Giulio Frisoli, mentre conosciamo una lettera di Bruno Maffi indirizzata a Bordiga (del 15 settembre 1954) che ne fa cenno: Hai visto che Candido si occupa di noi, con le solite fregnacce? Tu ormai, sei il Tito italiano... io il condottiero!

Ed ora noi riproponiamo... quelle solite fregnacce.

 

 

Bordiga, Tito italiano?

 

Come vive, che fa in realtà oggi l'ingegner Amedeo Bordiga? Non è davvero facile dirlo, dato  che egli considera i giornalisti come il fumo negli occhi. E' inutile tentare di avvicinare, con stratagemmi e trucchi, o prendendolo di fronte, quelli che qualcuno ha definito il "Tito italiano"; Bordiga si rifiuta ostinatamente, da molti anni,  di ricevere i rappresentanti del cosiddetto "quarto potere", ed è uomo che quando non vuol vedere qualcuno non scende a compromessi: basati dire che una volta, a Mosca, si rifiutò di ricevere (e non lo ricevette), nell'albergo dove era alloggiato, un "compagno" che aveva appena il nome di Giuseppe Stalin. Allora, Bordiga era il numero uno del comunismo italiano: oggi pochissimi sono quelli che sanno qualcosa di lui.

Nato a Resina, un piccolo centro vesuviano distante da Napoli un tiro di schioppo, nel 1889, Bordiga, figlio di agiati borghesi, si iscrisse, nel 1912, al partito socialista, schierandosi subito nella frazione di estrema sinistra, vista dagli altri appartenenti al partito (era quella l'epoca del socialismo bonario, alla De Amicis) con un certo sospetto. Era un giovanotto impetuoso: appena poté, dette vita ad un settimanale, "Il proletario", che sosteneva a gran voce le tendenze del suo gruppo. Nel 1918, passò a dirigere "Il Soviet", un altro settimanale di maggior importanza. In quel periodo, Arturo Labriola (il politicante che, dopo essersi mostrato per anni anticomunista, si presentò nelle ultime elezioni amministrative napoletane, nelle liste paracomuniste che avevano come simbolo il celebre pino che si può vedere in tutte le cartoline illustrate riproducenti una veduta del golfo, acquistandosi il soprannome di "Nitti napoletano"), era uno degli uomini più popolari della città, considerato com'era un rivoluzionario arrabbiato.

Bordiga mostrò ben presto di essere ancora più rivoluzionario e barricadero di don Arturo. Qui è il caso di ripetere che il socialismo italiano non aveva allora nei suoi ranghi, come oggi il partito nenniano, molti elementi estremisti, e per questo intransigenti e pericolosi: e che perciò l'attività di Bordiga fu considerata dai capi del partito con una malcelata preoccupazione e diffidenza. Preoccupazione, diffidenza e sospetto ben giustificati: ecco infatti che, nel 1920, Lenin invita a Mosca Bordiga; ed ecco, al suo ritorno in Italia, l'avvocato resinese passare a dirigere l'appena nato partito comunista italiano.

In questa veste di Togliatti di trent'anni fa, Bordiga venne arrestato nel 1924 per complotto contro lo Stato; liberato dopo un lungo processo, partì di nuovo per Mosca, nel 1926.

Le cose, all'interno del partito comunista bolscevico, erano un po' cambiate, negli ultimi sei anni. Morto Lenin, la sua eredità era stata presa da Giuseppe Stalin; al periodo rivoluzionario propriamente detto, era succeduto quello di regime, che aveva sostituito, a dirla in parole povere, al capitalismo privato quello dello stato. Ciò non garbò troppo all'intransigente ingegnere, focoso come il Vesuvio alla cui ombra era nato; e fu proprio in quella occasione che Bordiga, dopo aver chiaramente espresso la sua riprovazione, rifiutò di ricevere Stalin. Il dittatore accusò il colpo; a quanto pare, pensò per qualche giorno di trattenere in Russia Bordiga; se avesse potuto, forse  avrebbe usato con lui la maniera forte. Ma la cosa non parve opportuna, dato che ancora molti erano allora i comunisti russi che la pensavano come Lenin e Bordiga; perciò, Stalin fu costretto a lasciar libero il rivoluzionario napoletano, che anzi, rimase di nome, a capo del partito comunista italiano, fino al 1931, anno in cui, consolidandosi il regime staliniano, giunse da Mosca l'ordine della sua espulsione.

Trascorsero gli anni, Bordiga, che era stato quasi sempre all'estero, tornò a Napoli, e abbandonò, almeno apparentemente, ogni attività politica per dedicarsi alla professione. Anche oggi, egli sostiene di essere ormai solo un ingegnere; ma qualcuno afferma che sarebbe il capo segreto del partito comunista internazionalista, ufficialmente costituito qualche anno fa e di tendenze titine. Questo partito pubblica a Milano un giornaletto, "Battaglia comunista", e non si sa con precisione quanti siano i suoi aderenti, e di quale nazionalità. Di certo sul suo conto si sa che è difficile dargli credito, se si considerano i suoi scopi finali, vale a dire una bella rivoluzione che dovrebbe distruggere del tutto il capitalismo, la Chiesa, e tutti gli altri partiti politici attualmente esistenti.

In un'epoca come l'attuale, in cui la politica non può prescindere da certe realtà, ed è costretta anzi ad orientarsi proprio sulla base dei problemi economici e di quelli militari, i comunisti internazionalisti non possono apparire che come degli utopisti, non si sa fino a qual punto innocui. I pochi che ne conoscono qualcuno, la pensano così; quanto al grosso pubblico, giustamente esso li ignora addirittura.

Forse per questa indifferenza che gli dimostra la massa, il partito comunista internazionalista ha pensato bene di non presentarsi alle elezioni politiche. A quanto pare, però, Bordiga sarebbe convinto lo stesso del grande avvenire del suo partito, tanto di avere in animo di fare stampare, appena il momento gli sembrerà favorevole ad una chiara presa di posizione, dei volantini che dovrebbero essere diffusi in tutta Italia. Si tratta di volantini che, alla maniera dei tests americani, contengono dieci domande: se uno si sente di rispondere affermativamente a tutte, vuol dire che è maturo per la vera e grande rivoluzione comunista.

Gli italiani, però, hanno ben altro da pensare che non alle rivoluzioni e al sangue per le strade; il che ci consente di azzardarci a prevedere sin d'ora  quale sorte toccherà a questi volantini. Essi verranno scambiati per la reclame di qualche nuova autostazione o di qualche ristorante; la gente li appallottolerà , e li getterà via senza leggerli, o li rifiuterà decisamente. E i giovanotti incaricati di diffonderli dovranno finire col buttarli in qualche tombino, se vorranno tornare in sede a mani vuote, e dimostrare così di aver adempiuto coscienziosamente al loro compito di distributori e diffonditori del nuovo decalogo bordighiano.

 

Giulio Frisoli

 

Candido, 5 settembre 1954