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archivio > Articoli su Bordiga>Ugoberto Alfassio Grimaldi, Un teorico che rifiutò il gradualismo (Il Giorno, 28 - 7 - 1970)

aggiornato al: 20/11/2011

Il Giorno, 28 luglio 1970

Un articolo su Bordiga dopo la sua morte nel luglio 1970. L'articolo si può leggere anche se nella prima riga del titolo ci sono già tre errori: il nome di Bordiga era Amadeo e non Amedeo, Bordiga non fu "primo segretario" del partito (questo "titolo" fu istituito, seguendo l'esempio russo, nel 1924 e quindi il primo segretario fu Gramsci), infine nel 1921 il partito comunista in Italia si chiamava Partito Comunista d'Italia.

L'autore (1915-1986) fu un giornalista e uno storico socialisteggiante di una certa fama, abbastanza conosciuto nel secolo scorso.

 

 

Chi fu Amedeo Bordiga, primo segretario nel 1921 del PCI

Un teorico che rifiutò il gradualismo

 

A parlare di Amedeo Bordiga con coloro che lo hanno conosciuto negli anni lontani del grande contrasto in seno alla Terza Internazionale, e poi con coloro che lo hanno frequentato fino agli ultimi giorni, ci si rende conto dell'isolamento — tutto apparente — di questo uomo che, nato a Resina nel 1889 ha avuto una parte di primissimo piano nella formazione del partito comunista. Il Bordiga di allora era di una intransigenza assoluta, non accettava compromessi né con i compagni né con la realtà; una impressionante, robespierriana coerenza, unita ad una rara lucidità intellettuale, lo ha spinto presto in alto nel partito a livello nazionale, ma lo ha lasciato in balia del primo pasticcione nella sua Napoli, dove fu frequentemente sconfitto. E questo sarà il suo destino di sempre.

«Più leninista di Lenin», come dicevano a Mosca, Bordiga è un teorico puro che non cerca il successo personale o il potere, ed è negato alle manovre. Da giovane fonda il circolo «Karl Marx» per combattere «le degenerazioni del socialismo napoletano». Poi fonda il «Soviet» e manda un «fervido augurio» all' «Ordine Nuovo» di Gramsci, ma con l'ammonimento a non «scivolare verso il riformismo»; gli sembra inutile creare istituzioni proletarie prima della presa di potere rivoluzionaria. Di qui la sua lotta ai gradualisti, al suo «astensionismo» nelle elezioni del 1919-1922, contro «l'ubriacatura elezionistica e parlamentare»; astensionismo che diventa nel partito una tendenza attorno alla quale si raccolgono tutti coloro che si vengono convincendo che il PSI non potrà più essere il partito della rivoluzione. A Livorno nasce il PCI e Bordiga è il primo segretario.

Ma presto i dissensi si rinnovano. Lenin suggerisce il fronte unico con i gradualisti e Bordiga si oppone. Zinoviev, dimostrando di non aver capito niente di quest'uomo, pensa di ammansirlo offrendogli la vice-presidenza dell'Internazionale.

Picchiato dai fascisti e messo in prigione, esce ormai in declino. Gramsci e Togliatti hanno fatto strada, l'esecutivo dell'Internazionale fa un mazzo solo di Bordiga e Trotzky, traditori del leninismo, anche se in realtà tra Bordiga e Trotzky c'erano stati duri contrasti. Bordiga lotta ancora, ma i fascisti lo mandano a Ponza per 8 [probabilmente si voleva scrivere 3] anni. Ritorna a Napoli alla fine del 1930: qualche settimana prima il PCI lo ha espulso.

Fu forse questo, dopo il 1930, il solo periodo di vero distacco dalla politica. Il perdono del Bordiga ingegnere che fa i progetti, calcola i cementi e dirige i lavori. Con la seconda guerra mondiale riprende la lotta, che però conduce su una base tutta diversa da quella degli altri partiti antifascisti, combattendo in egual misura il fascismo e la democrazia: la rivoluzione proletaria dovrà abbattere ad un tempo il fascismo e la società borghese, due facce della stessa realtà. Di qui i suoi appelli al proletariato affinché non si impegni per questo o quel blocco e invece trasformi il conflitto in guerra civile, con la diserzione, il sabotaggio, il disfattismo rivoluzionario ecc.; e poi la sua denuncia di ogni forma di collaborazione di classe e in primo luogo del collaborazionismo dei Comitati di liberazione nazionale che avrebbero permesso al capitalismo internazionale di scrollarsi di dosso l'effimera sovrastruttura fascista per conservare intatta la struttura politica e sociale dello Stato.

Nel 1942 Bordiga fonda il Partito Comunista Internazionalista, col settimanale «Battaglia comunista» (ora «Programma comunista») e l'organo teorico «Prometeo» (ora nelle mani di un gruppo dissidente). Qualche anno fa il partito di Bordiga ha preso il nome di «Internazionale» per meglio significare  che non si tratta di una sezione nazionale autonoma e per sottolineare la necessità di una stretta connessione delle lotte del proletariato italiano con quelle dei proletari degli altri Paesi: si tratta di un deliberato ritorno allo spirito del programma di Livorno del 1921 e della Terza Internazionale del 1920.

Ma è un lavoro che all'estero non appare: Bordiga non crede allo sforzo individuale, bensì solo all'attività collettiva, e perciò non firma gli articoli, non parla in pubblico. Se un giornalista gli cerca un'intervista, s'infuria. Non ha il telefono, non ricerca i contatti. E' facile per gli avversari combattere un uomo di questo genere dicendo che Bordiga non è altro che un ingegnere napoletano (e questo carattere partenopeo era servito a Togliatti per insinuare in un opuscolo come il rivale avesse usato contro Gramsci il metodo della camorra) che dopo l'espulsione dal partito si è ritirato dalla  vita politica ed è vissuto agnostico di fronte al fascismo. Erede delle sue posizioni è, per il PCI, «il gruppetto dei cosiddetti internazionalisti», i quali — si legge nell'ufficiale «Enciclopedia del socialismo e del comunismo» — «favorivano il fascismo: taluni furono addirittura al servizio dell' OVRA». Ed è una grossolana calunnia sol che si pensi che esponente del bordighismo è quel Bruno Maffi che, messo in  prigione dal fascismo, è stato di recente condannato per istigazione all'odio di classe.

Da un po' di tempo si accenna, sui fogli culturali del PCI, a discutere la posizione di Bordiga con uno sforzo di obiettività e considerandola comunque, una componente essenziale per la comprensione dell'origine del movimento comunista in Italia.

 

Ugoberto Alfassio Grimaldi

 

Il Giorno, 28 , 7, 1970