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archivio > Articoli su Bordiga>Bruno Gravagnuolo, Quando Bordiga attaccò il "capitalismo sovietico", (L'Unità, 26 maggio 2000)

aggiornato al: 01/02/2012

L'Unità, 26 maggio 2000
Riproponiamo oggi un articolo-intervista del 2000, pubblicato in occasione della presentazione a Formia della Fondazione Amadeo Bordiga. L'intervista, che mantiene tutta la sua freschezza, è a Giorgio Galli. Un grosso errore è presente e va corretto. Verso la fine Galli risponde a una domanda, dicendo: Nel 1975 pensò che fosse scattata la famosa "crisi generale". Ora, dato che Bordiga morì nel 1970 è ovvio che la cosa non può essere vera come è chiaro che Giorgio Galli non può aver detto una cosa del genere che può essere riportata a correttezza in questo modo: Bordiga pensava che nel 1975 sarebbe scattata la famosa "crisi generale".
Buona lettura!
 
 
Quando Bordiga attaccò il «capitalismo sovietico»
Galli: un positivista in attesa del Grande Crollo
 
«Perché Bordiga? Mi interessa come figura chiave e rimossa di una vicenda vista solo come folle o criminale. E che invece fu anche una grande stagione intellettuale, ancorché tragica: il comunismo. E può sembrar strano che lo dica proprio io, additato per anni come anticomunista».
L' «anticomunista» è un signore di 72 anni, politologo e docente di Storia delle dottrine politiche a Milano, che quest'anno lascerà l'insegnamento: Giorgio Galli. A lui la storia delle idee politiche italiane deve molto. In particolare una nozione divenuta celebre «bipartitismo imperfetto». Titolo di un antico saggio del Mulino con cui si descriveva l'atipico e bloccato bipolarismo italiano, quello tra Dc e Pci. Oggi Galli, che è anche studioso della destra, torna invece da studioso al comunismo. Analiticamente s'intende, e quasi per bisogno d'equità. E lo fa prendendo parte al lancio di una Fondazione dedicata ad Amadeo Bordiga, intransigente fondatore del Pcd'I. nel 1921, con Gramsci, Togliatti e Terracini. La Fondazione culturale creata dalla seconda moglie di Bordiga - Antonietta - esordirà sabato mattina all'Hotel Ariston di Formia. In quella Formia dove il leader comunista passò i suoi ultimi anni, raccogliendo memorie, scritti, riflessioni su quella che fu una storia inaugurata in prima persona a Livorno. Una storia che poi lo mise ai margini relegandolo a ruolo di testimone che non si arrende ai suoi verdetti e che proprio in virtù di quel destino alimentò la leggenda di se stesso. La leggenda del «bordighismo» nel Pci e dintorni come «forma mentis» ed eresia tenace. Che preoccupava anche il suo grande avversario: Togliatti.
Professor Galli, di Bordiga si tramanda l'immagine di un rivoluzionario comunista tetragono e anche fanatico. Ma l'immagine corrisponde poi alla realtà del personaggio?
«Tetragono sì, fanatico no. Ma per capire Bordiga bisogna partire dalla sua formazione. Il Bordiga giovanile era figlio della Seconda Internazionale, quindi dell'ortodosso Kautsky. Un marxista rigido che credeva nell'insuperabilità delle contraddizioni capitaliste. Si contrapponeva al riformismo italiano senza essere un massimalista. Piuttosto era legato alla indefettibile scientificità del marxismo».
Mentalità da ingegnere?
«Da positivista. E il punto di svolta nelle sue idee fu la prima guerra mondiale. D'accordo con Lenin, la interpretò come implosione del capitalismo e sua fase suprema. Come una conferma della scientificità marxista. Nella mente di Bordiga il proletariato è erede della filosofia classica tedesca ma solo se supera la fase spontanea e corporativa. E se trova il suo Partito.»
E su questo esplode il dissenso con Gramsci.
«Si, nel 1919-20 Gramsci si lega all'esperienza consiliare, ma la colloca ancora nel vecchio partito socialista. Bordiga viceversa, pensa con Lenin che il partito vada costruito dall'alto. In seguito anche Gramsci riterrà che la situazione di movimento di quegli anni richiedessero una nuova forza rivoluzionaria. E a questo punto Gramsci si avvicina al leninismo»
Quello di Gramsci non è però «partito-società» più duttile e manovriero?
«Certo, soprattutto con la successiva teoria delle alleanze e dell'egemonia. Ma nel 1921-22 Gramsci e Bordiga convergono. Solo che il loro partito leninista è minoritario, mentre oltretutto la fase di movimento si arena in Europa. E a questo punto Bordiga è il primo a teorizzare l'esistenza di un'involuzione in Urss. Su questa base: la rivoluzione doveva vincere nei paesi industriali avanzati. Pena la sua sconfitta anche nella Russia arretrata. Un sogno impossibile il suo. E a posteriori, è scontato. E tuttavia Bordiga respingeva la rivoluzione come salvaguardia del baluardo sovietico. La Terza Internazionale, diceva, doveva preparare la rivoluzione in Germania».
Tra il 1925 e il 1926 il realismo di Togliatti e Gramsci mette fuori gioco Bordiga. Comincia di lì la sua leggenda di isolato?
«Si, Bordiga esce di scena allora. Sebbene non del tutto. Sostiene che a guidare il partito debbano essere coloro che aderiscono alla nuova linea dell'Internazionale. Non quelli che la respingono. Bordiga accetta di restare in minoranza. Fino al 1930, anno di svolta staliniana, quando verrà espulso. Ma prima di allora - e c'è il confino di mezzo - teorizzerà da militante che l'involuzione dell' Internazionale era dipesa dal riflusso della rivoluzione in Europa. Di lì in poi penserà che ci sarebbe voluto un altro mezzo secolo prima che nascesse una nuova ondata rivoluzionaria. Perciò rinuncia ad ogni azione politica organizzata».
Come mai Bordiga non capiva che l'attivo «inasprimento delle contraddizioni» poteva favorire il fascismo?
«Nel 1923-24 pensava a un partito d'acciaio anche minoritario. Un partito tenace e teoricamente rigoroso. Capace di trascinare le masse alla vittoria con le sue parole d'ordine coerenti. Si sbagliava, ovviamente».
Stanno lì le radici del «bordighismo», come vena sommersa nel Pci?
«E' una leggenda. A cui credeva anche Togliatti, il quale appena giunto in Italia, chiese: Che fa Bordiga? In realtà Bordiga non faceva niente».
Beh, niente di niente, non proprio...
«Infatti. Oltre a fare l'ingegnere, si dedicava al lavoro teorico. Sui tempi lunghi della rivoluzione. Faceva delle lezioni, anche spinto da Bruno Maffi, dirigente del Partito comunista internazionalista. Io ho conosciuto Bordiga a Milano. In questa veste di conferenziere, e di analista dei cicli lunghi del capitalismo di stato. Un capitalismo di cui l'Urss era l'esempio».
Ma che tipo di società sognava Bordiga?
«Non era certo un libertario. Credeva che la formula della dittatura del proletariato fosse validissima, benché criticasse il collettivismo burocratico. E mi colpiva la sua serenità. La sua fede nel comunismo come destino della specie, e nel marxismo. Rifletteva su tutto questo senza il settarismo tipico di molti suoi seguaci».
Che atteggiamento ebbe Bordiga sul 1968?
«Culturalmente lo riteneva un "epifenomeno borghese". In una prospettiva che, nella sua analisi, si dilatava sempre più. Nel 1975 pensò che fosse scattata la famosa "crisi generale". Ma senza crederci a lungo».
E della Cina che idea aveva?
«Era "capitalismo in sviluppo", anche in quel caso. Nessuna tenerezza».
D'accordo, ma allora qual è il lascito di Bordiga al di là del carattere di "reperto" e degli abbagli politici?
«Resta di lui l'uso delle categorie marxiste per leggere l'evoluzione sociale. Per esempio, l'analisi di certi tratti della globalizzazione capitalistica, svolta sulla falsariga di Marx. Sta qui il tratto stimolante del bordighismo teorico, malgrado gli abbagli politici».
Non vide molto più a fondo, in certe cose, Eduard Bernstein, revisionista socialdemocratico?
«Si, ma la sua diagnosi fu valida solo sino alla prima guerra mondiale. Bordiga certe analisi ha potuto protrarle nel tempo. Anche se sempre nella gabbia del marxismo, come corpus invariabile...»
Ma dov'è l'originalità teorica di Bordiga?  
«Sta nell'idea che la globalizzazione cancella il capitalismo individuale e proprietario. In direzione di un capitalismo impersonale delle multinazionali. Con al vertice una classe generale impersonale».
Oltre alle Br ne hanno parlato in tantissimi. James Burnham, ad esempio. Con la sua «Rivoluzione manageriale»...
«E' vero, e Burnham aveva ereditato il discorso dal comunismo di sinistra. Però la specificità analitica in Bordiga sta nell'intercambiabilità di ruoli nel capitalismo globale. Una rete mobile di interessi governata dalle tecnostrutture. Con il capitale finanziario in posizione dominante».
 
Bruno Gravagnuolo
 
L'Unità, 26 maggio 2000