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archivio > Gli scheletri nell'armadio>Rapporto della commissione sul "Comitato d'Intesa" al III Congresso (Lione, 1926)

aggiornato al: 02/04/2008

Lione, 1926

Sul  Comitato d'Intesa, tentativo di coordinarsi da parte della Sinistra nella primavera-estate del 1925 per far fronte agli attacchi della centrale del partito e prepararsi per il terzo Congresso, esiste un bel libro: «La Sinistra Comunista e il Comitato d'Intesa»  (Quaderni Internazionalisti - Editing, ora «n+1») lavoro a cui rimandiamo per l'approfondimento.

Sul terzo Congresso del partito Comunista d'Italia, tenuto in clandestinità a Lione nel gennaio del 1926 già abbiamo pubblicato la  "dichiarazione presentata dalla sinistra" (nella sezione "Archivio della sinistra") e poi, tratta dall'Unità del 30 aprile 1926, la risoluzione dell'Ufficio Politico del Partito sul ricorso presentato dalla sinistra (nella sezione "Gli scheletri nell'armadio").

Riproduciamo ora un  documento raro,a quanto ci consta inedito e praticamente sconosciuto:  il rapporto tenuto al Congresso di Lione del P.C.d'I. dalla Centrale del Partito sul "Comitato d'Intesa". Questo scritto  non è contenuto nemmeno nel pur completo volume citato all'inizio.

La macchina dell'obbedienza e della fedeltà cieca comincia a mettersi in moto:non mancherà molto che ogni oppositore sarà un nemico da cui sarà necessario liberarsi e possibilmente eliminare: è sufficiente vedere altri documenti presenti in questa sezione; per il momento sembra ancora un confronto tra compagni, ma solo per poco.

 

 

 

 

Rapporto della commissione sul "Comitato d'Intesa" al

III Congresso

 

GENNARI:

                   A nome della commissione farò una relazione sul disciolto Comitato di Intesa limitandomi ad esporre al Congresso i punti più salienti e le documentazioni più importanti.

Il 7 giugno 1925 appariva sull' UNITA' un comunicato del C.E. che denunciava la costituzione di un Comitato d'Intesa e di una attività frazionistica in seno al Partito, in seguito al quale si prendevano provvedimenti a carico di alcuni compagni.

Successivamente il C.C. approvava i provvedimenti del C.E. estendendoli a tutti i compagni che avevano formato il C.d'I., reclamandone l'immediato scioglimento ed avvertendo che in caso contrario tutti i compagni responsabili saranno espulsi dal Partito.

Il Presidium dell'Internazionale approvava interamente i provvedimenti della Centrale.

Dai documenti pubblicati sull' UNITA' risulta che i compagni DAMEN, REPOSSI, LANFRANCHI, VENEGONI, MANFREDI, FORTICHIARI, in data I° giugno avevano diretto una lettera al C.E. nella quale, in vista del Congresso del partito, annunciato nel numero dell'U. del "26 maggio", "comunicano" l'avvenuta costituzione di un C.d'I. tra gli elementi di sinistra e "chiedono" condizioni secondo le quali si sarebbe avuto evidentemente il "riconoscimento" non di una corrente d'idee, "ma di una organizzazione frazionistica", ponendo parità di condizioni fra la Centrale del Partito e C. di I., delegando cioè a parlare in contraddittorio nel Congressi federali i compagni "riconosciuti" delle diverse correnti, facoltà di scelta di "fiduciari" del C.d'I. in eventuali Comitati, nominando e disciplinando gli oratori al Congresso.

Ciò che è più grave è che l'attività del C.d'I. si era venuta già esercitando prima di tale comunicazione al C.E., prima ancora che fosse pubblicata sull'U. la convocazione del Congresso (26 maggio).

Infatti il 12 maggio si teneva a Napoli una riunione tra compagni della sinistra, ed il lavoro si estendeva anche alla periferia.

E' stata, a riprova di ciò, pubblicata sull'U. una lettera inviata a compagni della periferia, in data "22 maggio", nella quale si afferma che tale lavoro ha carattere "organizzativo" oltre che propagandistico, che cioè "supera il fatto stesso del Congresso", che si invia circolari "personali e segrete", che si deve fare opera di collegamento in tutte le regioni, nei gruppi, cellule, ecc., che dovunque si debba scegliere compagni fidati i quali sono invitati a recarsi a Milano per conoscere le direttive del lavoro da compiersi. Anche in una circolare "personale e segreta (aprile 25)" è detto chiaramente lo scopo ed i limiti del lavoro del  C.d'I.  in essa infatti si dice che il C.d'I. si propone di "tenere informati i compagni della periferia", che si tende ad un collegamento atto a rendere "unitaria e omogenea questa opera" e si consigliano i compagni che "hanno cariche di Partito" e i compagni in genere a mettersi subito in contatto col Comitato.

E che il lavoro sia iniziato lo prova, oltre ai documenti citati, anche l'attività frazionistica spiegata dal compagno GIRONE, ed il seguente documento del compagno DONIZZETI: "...trovandomi nel meridionale a lavorare per gli organi di partito, ricevetti dal disciolto Comitato di Intesa una lettera che tra l'altro era detto chiaro, che in una riunione il Comitato aveva scelto me quale "organizzatore" del medesimo. Di conseguenza "dovevo tenermi a sua completa disposizione per recarmi nel biellese e nel novarese" a compiere un lavoro della sinistra..."

Il dì 8 giugno il compagno Bordiga dà la sua solidarietà al C.d'I. e dichiara che la sua firma non figura nel documento pubblicato per sole ragioni di indole pratica.

Nuova conferma della mentalità e propositi del C.d'I. si fa anche nelle loro dichiarazioni in una riunione tenuta tra i compagni REPOSSI, DAMEN. FORTICHIARI, VENEGONI, GROSSI del C.d'I., un rappresentante del C.C. ed il rappresentante dell'Internazionale.

Il verbale di tale riunione "stenografato" non è stato pubblicato e di esso dovrò quindi leggere i punti più essenziali.

Il rappresentante dell'I. pone nettamente il quesito: dopo le decisioni del C.C. e dell'I. "intendete voi di fare una pubblica dichiarazione nella quale il C.d'I. è sciolto, ponendo quindi la Centrale in condizione di reintegrarvi nei diritti dei militanti?".

Il comp. F. dichiara che non può rispondere, giacché dichiara: "qui non vi sono infatti che singoli componenti del C.d'I. il quale non ha potuto convocarsi prima d'ora".

Richiesto del suo pensiero personale F. dichiara: "Personalmente posso dire questo: che ciò che è stato deciso dal C.E. del Partito e ciò che ha comunicato l'I. non può modificare in nulla l'atteggiamento del C.d'I.. Certamente non modifica il mio personale atteggiamento nel Comitato. Se anche restassi solo proseguirei questa linea di condotta."

Alla richiesta del rappresentante dell'I. se dopo la decisione del C.C. e del Presidium dell'I. il Comitato debba sciogliersi, F. aggiunge: "Penso che il Presidium dell'I. avrebbe dovuto comprendere che per risolvere la crisi in cui il partito si trova da tanto tempo, si doveva permetterci di giungere al Congresso nell' "attuale situazione". I "gruppi esistono" ed essi si sono costituiti non in dipendenza di un nostro atteggiamento personale, ma per le direttive della centrale".

Il rappresentante dell'I. precisa ciò che è legittimo da parte di correnti nel periodo precongressuale e ciò che è considerato opera frazionistica.

Damen in risposta dichiara: "Io mi pongo sulla stesso terreno pregiudiziale di Fortichiari che cioè, fino a quando esso non è sciolto, il C.d'I. possa e debba "esprimere il proprio pensiero rispondendo come tale ai comunicati del C.C."."

Aggiunge: "Nella eventualità di un Congresso del Partito a breve scadenza è sorta nei compagni della sinistra la necessità di "collegarsi nazionalmente per una presa di posizione"."

E dopo ciò si può ancora dubitare che si trattasse di frazione?

Ma non basta. Damen aggiunge tra l'altro: "Per ciò che si riferisce alla rappresentanza nel partito della sinistra le nostre idee sono vecchie e note. Se noi saremo maggioranza al Congresso, se il programma della sinistra avrà la maggioranza al Congresso, la sinistra è anche disposta ad assumere la direzione del Partito "sempre che l'I. permetta" che la sinistra assuma questa dirigenza e "consenta la sviluppo logico del suo programma". Nel caso contrario, se l'I. non permetterà alla maggioranza del Partito di avere in "tali forme" i propri dirigenti e quindi una corrente minoritaria assuma la direzione del movimento politico solo perchè accetta di seguire in modo pedissequo l'indirizzo dell'I., la sinistra "non intenderà di avallare con la propria partecipazione" il lavoro di questa direzione."

Tali dichiarazioni mostrano come è intesa dalla sinistra la disciplina internazionale.

Sempre Damen fa poi una affermazione che mostra la speranza da parte del C.d'I. di estendere internazionalmente il lavoro frazionistico iniziato nel Partito. Egli infatti dice: "Possiamo infine affermare che lo stato di disagio del nostro Partito è contemporaneo ad un uguale stato di disagio che si riscontra in altre sezioni e non delle minori dell'I. "Non possiamo quindi sapere oggi quale sarà lo sviluppo di questa nostra attività"."

Tra gli altri rappresentanti del C.d'I., VENEGONI è d'accordo con F. sul "diritto di prendere "collegialmente" le deliberazioni che il Comitato reputerà più opportune."

Ed aggiunge: "Per me l'azione del C.d'I. si ferma al congresso. A tale momento ciascuno di noi rivedrà la propria posizione, " ma noi non abbiamo preso nessun impegno per il dopo"."

Su ciò Damen dichiara: " "Soltanto il Congresso dimostrerà la vera importanza politica del nostro movimento. Non possiamo fin da ora dire se dopo" il Congresso scioglieremo o meno il Cd'I., a meno che non vediamo la cosa come fa il C.E. come una "questione puramente formale". Il C.d'I. ha valore politico...".

Infine su richiesta di F. e di D. i quali insistono perchè il C.d'I. si riunisca e deliberi, la riunione è rimandata.

Dopo qualche giorno con un comunicato del C.d'I questi annuncia il proprio scioglimento.

Il documento di scioglimento del C.d'I. contiene però attacchi così violenti contro l'I. e la Centrale da far ritenere che lo scioglimento del Comitato e della sua organizzazione periferica fosse soltanto "formale" o per lo meno "temporanea".

Infatti in detto documento pubblicato per intero sull'U. si "attaccano violentemente i metodi di dirigenza dell'I., si afferma che ogni errore ed ogni deficienza più scandalosa si trasforma in un brevetto "di puro rivoluzionarismo "bolscevico e leninista" quando si sia disposti a sostenere il punto di vista e l'operato dei dirigenti l'I.; si afferma che i sinistri potrebbero, ma disdegnano, "negoziare e patteggiare col Centro dirigente, porre delle condizioni, far pesare la minaccia di una scissione"; che essi sono forse i soli per i quali la disciplina è "cosa seria e non commerciabile"; che il vantato stroncamento del Cd'I. non farà che fomentare nel Partito il frazionismo "da essi non voluto" (?) e che potrà prendersi loro malgrado le sue vendette", accusano la Centrale di metodi che hanno "dovuto definire di giolittismo tendenti a falsare i risultati della consultazione" e si termina dicendo che "se si vuole continuare ad organizzare il confusionismo" e lo smarrimento lo si faccia,... ma non si salverà la posizione di "gruppi e gruppetti artefici" di un metodo così "politicantesco, scenario volgare destinato a cadere ben presto" lasciando vedere i pericoli dell' "opportunismo e della degenerazione del Partito."

Secondo noi, malgrado la dichiarazione di scioglimento formale del C.d'I. tale documento ha questo scopo preciso: "fomentare il frazionismo nel Partito e sperare che esso prenda le sue vendette."

Di fronte alle accuse d'indole morale contenute nel Comunicato di scioglimento del C.d'I. e ad altre che circolavano qua e là alla base del partito, l'E. troncò nettamente la polemica rinviando la decisione alla "Commissione Internazionale di Controllo".

Ma i compagni dirigenti del disciolto Comitato d'Intesa, prendendo a pretesto la mancata pubblicazione di una dichiarazione Bordiga, (della quale parleremo oltre) rispondeva che il rinvio alla C.I. di C. era un "comodo diversivo" e che perciò si rifiutavano di trasmettere i documenti comprovanti le loro accuse, (V. dichiarazione di BORDIGA, LANFRANCHI, DAMEN, GROSSI, FORTICHIARI) e che avrebbe risposto solo al Congresso. Altri compagni, come CINTI e BRUSCHI dichiaravano invece che condividevano soltanto la parte ideologica della sinistra e che nulla hanno a dire sulle questioni morali.

Il rifiuto di lasciare il giudizio alla C.I. di C. su accuse di indole morale rinviando invece al Congresso che si accusa di esser "manipolato" dal C.C. con metodi di "giolittismo", salvo poi, appunto in base a ciò, infirmare il giudizio del Congresso stesso, non può apparire che un diversivo troppo comodo per evitare la prova delle accuse lanciate ai compagni della Centrale.

 

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La mancata pubblicazione della questione Bordiga è stata presa a pretesto del rifiuto di sottostare al giudizio della C.I. di C.

Cosa conteneva questa dichiarazione? Ha fatto bene il C.C. a negare la pubblicazione?

La dichiarazione di Bordiga che egli chiedeva fosse pubblicata sull'U. protestava contro il commento apparso sull' U. alla dichiarazione di scioglimento del C.d'I., ma poi continuava parlando di "marchandage" apposta per gettare nel Partito i germi della disgregazione.

Per questo appunto riteniamo che la centrale non poteva consentire alla pubblicazione di detto documento che veniva inviato alla C.I. di C.

Un'altra richiesta dei compagni della sinistra non è stata, e non poteva essere accolta dal C.C.

In data 18 settembre il compagno PERRONE chiedeva l'autorizzazione ad una riunione (per la compilazione delle tesi della sinistra) di una quindicina di compagni alla quale avrebbe dovuto partecipare un rappresentante della Centrale. Inoltre si chiedeva se per tre di essi non residenti a Milano il Partito era disposto a sostenere le spese da essi incontrate.

Il C.E. rispondeva che per l'opera di redazione delle tesi i compagni avrebbero potuto incontrarsi, rimanere in corrispondenza, ecc. e tutto ciò in via straordinaria data la situazione straordinaria del Partito. Anzi aggiungeva il C.E. che per corrispondere con alcuni compagni, per la preparazione delle tesi, avrebbero potuto servirsi dell'organizzazione di Partito, dell'U. e degli altri mezzi a disposizione del Partito.

Ma non accedeva alla richiesta nei termini contenuti nella lettera del compagno Perrone giacché si avrebbe  avuto sostanzialmente il riconoscimento del regime dei gruppi e delle frazioni, o farebbe quanto meno presumere una situazione frazionistica nel partito.

Ciò che la Commissione riconosce pienamente fondato e giusto.

 

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PERSISTENZA DI ATTIVITA'  FRAZIONISTICA DOPO LO SCIOGLIMENTO DEL C. DI I.?

 

Dai documenti sottoposti all'esame della Commissione non appare la prova di una attività organizzata in senso frazionista da parte dei compagni della sinistra dopo lo scioglimento del C. di I. Non vi è, infatti, nessun elemento dal quale si possa dedurre la persistenza di una organizzazione di frazione nel Partito.

Si può solo notare in alcuni compagni isolati la persistenza di una mentalità frazionista.

Ad es. il comp. LANFRANCHI, invitato ad un lavoro di partito, per accettarlo, pone condizioni (5 ottobre 1925) e precisamente le seguenti:

I°. Dare atto sull'U. che i "sinistri" invitati dal C.E. sono ben lieti di assumere cariche e lavorare nel Partito.

2°. Dichiarare che egli è degno di lavorare e che nulla ha da attendere dalla C.I. di C. giacché il fatto che sono affidate delle cariche "fa cadere il castello delle "calunnie grottesche contro la sinistra e sgonfia il pallone diversivo della C.I. di C."."

3°. La responsabilità della situazione nella quale si trova il Partito è tutta degli attuali dirigenti del Partito. Egli scrive: "Noi vogliamo lavorare e risollevare il Partito, ma non intendiamo fare "con voi" la fine tipo Fischer che  vi attende."

4°. Riconoscere il diritto di indire riunioni di compagni per spiegare la natura del lavoro (Org. dei Com. Agit. oper. e contadini) e "possibilità di dire" ai compagni  - "in casi di dissenso" su questioni importanti e pur applicando per disciplina le istruzioni del Partito - il pensiero della sinistra.

Aggiunge: "Va da sé che richiamerete al lavoro tutti gli ex-componenti l'Intesa da voi destituiti (DAMEN, VERCESI, FUGAZZA, ecc.)".

E' evidentemente questa una concezione del dovere dei militanti che non può essere assolutamente accettata nel nostro Partito e che dimostra come persista in alcuni compagni della sinistra un tale spirito frazionista da far dimenticare i doveri più elementari del comunista.

Tale mentalità frazionista conduce ad atti ancora più gravi da parte del compagno Repossi.

Egli infatti in una circolare dattilografata inviata a molti compagni per posta e in busta aperta, dichiara di essersi rifiutato di firmare la mozione di sinistra, protesta contro i metodi scorretti adoperati dalla Centrale nella preparazione del Congresso, e "ritiene la consultazione tale truffa alla buonafede dei compagni che non devesi partecipare in modo assoluto."

In tal modo egli propone il sabotaggio del Congresso del Partito.

Dall'esame di tutti i documenti a voi esposti la commissione giunge alle seguenti conclusioni:

I°. Il Comitato d'Intesa compiva opera di vero frazionismo. Esso Comitato rappresentava cioè "il nucleo costitutivo di una vera e propria frazione, le cui file organizzative avrebbero dovuto estendersi ed irretire tutto il Partito." Per dichiarazione di alcuni membri del C.d'I. non era escluso che tale organizzazione non dovesse permanere anche dopo il Congresso. Noi siamo convinti anzi che si sarebbe fatalmente giunti alle estreme conseguenze sino alla preparazione della scissione. Il C.C. e l'I. hanno perciò assolto ad un preciso dovere intervenendo prontamente, informando il Partito del pericolo che si andava creando e troncando sul nascere la costituzione di una frazione nell'interno del Partito.

2°. La Commissione riconosce pienamente ingiustificata, anche agli effetti della preparazione del Congresso, la richiesta di parità di condizioni degli organi centrali del Partito nel regolare la discussione precongressuale con gruppi organizzati di compagni che si presentano dinanzi alla massa del partito non come correnti di idee, ma come esponenti di frazioni nel partito. Al solo C.C. spetta cioè il compito di regolare la discussione preparatoria del Congresso.

3°. Ritiene assolutamente infondata l'accusa di frazionismo fatta al C.C. Questa, compiendo opera di formazione ideologica fra le masse del Partito secondo i principi leninisti, propagando i principi della bolscevizzazione e combattendo ogni deviazione di destra o di sinistra, seguendo cioè le direttive tattiche stabilite dai Congressi Internazionali, non faceva altro che assolvere al dovere di ogni organismo dirigente di un partito Comunista, sezione della III Internazionale.

4°. E' convinta della necessità di vigilare perchè per l'avvenire non si ripetano tentativi di attività frazionistica e che ogni iscritto al Partito comprenda il dovere di una disciplina, non soltanto formale, ai deliberati dei Congressi ed agli organi responsabili del Partito e dell'Internazionale Comunista.

A conclusione dei suoi lavori la Commissione sottopone al Congresso il seguente ordine del giorno:

-La Commissione, presa visione dei documenti inerenti al Comitato di Intesa, constata come questi dimostrino in modo incontestabile l'inizio di un lavoro svolto dai compagni del disciolto Comitato di Intesa, tendente ad organizzare nel nostro partito una frazione avente scopi ben determinati e che avrebbe portato ineluttabilmente alla disgregazione interna del Partito;

--riconosce alla centrale il diritto e anche il dovere di non pubblicare dichiarazioni ed articoli tendenti a trasportare la polemica sui fatti personali ed a portare la disgregazione nelle file del partito;

--ravvisa in taluni si essi gli elementi che comprovano come i compatgni del disciolto Comitato d'Intesa tendesse a contrapporre ostinatamente  la loro politica alla politica della Centrale e dell'Internazionale Comunista, sino a fare del Partito comunista italiano uno strumento di lotta e di disgregazione nel seno dell'I.C.;

--ravvisando il tale atteggiamento un pericolo e per il Partito e per la I.C. propone al Congresso quanto segue:

I°. Il III° Congresso del Partito ritiene il disciolto Comitato di Intesa un tentativo di creare una frazione nell'interno del nostro Partito e lo condanna severamente. Giudica la dichiarazione di scioglimento di detto Comitato come atto di adesione formale alla richiesta del Partito e dell'Internazionale, ma nello stesso tempo pervasa da un persistente spirito frazionista,

2°. approva e plaude all'energico attaccamento assunto dalla Centrale del Partito in detta circostanza, atteggiamento che valse a stroncare fin dal suo primo sorgere un tentativo che avrebbe avuto conseguenze disastrose per il nostro Partito e per il proletariato,

3°. invita la nuova Centrale a disporre di tutti i mezzi del Partito per utilizzarli in qualsiasi lavoro che ritenga opportuno affidare ad essi e contemporaneamente ad essere vigile ed impedire, con provvedimenti adeguati, gli eventuali tentativi frazionistici od atti di indisciplina,

4°. richiama tutti i compagni alla gravità della situazione italiana, al compito storico difficilissimo che spetta al partito Comunista condottiero della classe operaia, rammenta che uno dei doveri elementari ed indispensabili per un milite comunista è la disciplina non formale, ma sostanziale, ai deliberati dei Congressi e degli organi responsabili  nazionali e internazionali.