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archivio > Saggi e inediti>Giorgio Galli, prefazione a Russia e rivoluzione nella teoria marxista (Il Formichiere, 1975)

aggiornato al: 10/06/2011

Il Formichiere, 1975

Riproponiamo oggi la prefazione che Giorgio Galli fece nel 1975 allo scritto di Bordiga  Russia e rivoluzione nella teoria marxista che si apprestava ad essere pubblicato dalla casa editrice Il Formichiere.

In passato (e nella stessa sezione) abbiamo proposto altri due scritti che  fungevano da introduzione a questo lavoro di Bordiga. Il primo di Roger Dangeville che doveva proprio apparire come introduzione a quanto proposto da Il Formichiere (e che, alla fine, non apparve mai e rimase  inedito) ed il secondo di Jacques Camatte che con il titolo di La rivoluzione russa e la teoria del proletariato apparve come prefazione all'edizione francese di Russia e rivoluzione nella teoria marxista con la casa editrice Spartacus.

 

 

Prefazione di Giorgio Galli a:

Amadeo Bordiga: Russia e rivoluzione nella teoria marxista

Edizioni il Formichiere  Milano  1975

 

E' difficile presentare l'opera di Amadeo Bordiga. Segretario del Partito comunista d'Italia fondato a Livorno nel 1921, ha avuto una parte rilevante in un momento cruciale della storia italiana; la sua opera di teorico marxista ne fa una delle figure eminenti tra i continuatori di Marx a livello mondiale. Ma di Marx egli si considera un semplice ripetitore. Sostituito da Antonio Gramsci alla direzione del partito, arrestato e confinato durante i primi anni della dittatura fascista, ha lavorato nel secondo dopoguerra con un gruppo di compagni costituitisi in Partito comunista internazionalista. Con loro (ma col suo contributo preminente) elaborò una Storia della sinistra comunista, pubblicata negli Anni Sessanta, nella quale definì il rapporto tra individuo singolo e movimento politico in una frase che vale l'intero saggio di Plechanov (il maestro di Lenin) sul ruolo della personalità nella storia:

«Sia il testo di oggi, che i testi di allora, sono anonimi: gli uni e gli altri perché da noi considerati non già come espressione di idee e di opinioni personali, ma come testi di partito... al quale non si addice nessuna etichetta di persona e che non solo non comporta, ma esclude la borghese e mercantile rivendicazione della peggior forma di proprietà privata, quella intellettuale.» Eppure, quando la seconda metà degli Anni Sessanta ha visto, in Italia, una ripresa di esperienze di lotte, di riflessioni che si riallacciavano alla tradizione del marxismo rivoluzionario, una parte di questa ripresa, una parte dei giovani e dei militanti che l'hanno vissuta, è collegata proprio al nome e alla impostazione di Amadeo Bordiga. Non al movimento nel quale egli ha lavorato nell'ultimo periodo della sua vita dal 1945 al 1970, ma all'uomo, alla battaglia politica, alle convinzioni sulla "invarianza" del marxismo, espressi nell'identità umana e nel cervello pensante  denominati Amadeo Bordiga.

Egli, evidentemente, disprezzava il termine "bordighismo". Eppure in questo modo è stata definita una esperienza "collettiva" maturata negli anni Venti e continuata con rigore e coerenza teorica immutati, sino agli Anni Settanta.

Certamente questo legare una esperienza collettiva al nome di una persona può essere considerato un sintomo di arretratezza da parte di chi si afferma coerentemente sulla linea del marxismo rivoluzionario, del "red terror doctor", per usare la qualificazione di Marx che Bordiga prediligeva su ogni altra. Ma, comunque, va constatato il fatto che una serie di gruppi e di militanti presenti nella sinistra italiana negli ultimi anni riferiscono le loro azioni e il loro pensiero all'uomo che, personalmente, diede il maggior contributo alla fondazione del partito comunista.

Quando, oltre vent'anni fa, scrissi un abbozzo di storia del Pci, Togliatti osservò ironicamente, su Rinascita, che in questa storia veniva fatta una scoperta fossile: si riportava alla luce un iguanodonte a nome Amadeo Bordiga. Dieci anni dopo, ricostruendo la formazione del gruppo dirigente del Pci, lo stesso Togliatti così definiva l' "iguanodonte": «Il vero dirigente di tutto il lavoro fu Amadeo Bordiga. Questi era dotato di una forte personalità politica e di notevoli capacità direttive. Aveva svolto per anni un sistematico lavoro di organizzazione della propria frazione in seno al partito socialista e aveva in questo modo acquistato vaste conoscenze e prestigio tra i quadri della sinistra del movimento. Sapeva comandare e farsi ubbidire. Era energico nella polemica con gli avversari, quantunque per lo più scolastico nell'argomentazione. Tutto ciò ebbe come conseguenza che il gruppo fu centralizzato quasi esclusivamente attorno alla sua persona. Si creò la convinzione che egli fosse il vero 'capo' di cui il partito aveva bisogno e che lo avrebbe guidato bene, anche nelle situazioni più difficili».

Togliatti era stato tra i giovani dirigenti più legati a Bordiga: era stato tra gli ultimi a staccarsi da lui, nel 1923/24, per diventare il luogotenente di Gramsci. Col suo scritto degli anni Sessanta, il segretario del possente Pci restituiva ad Amadeo Bordiga il ruolo e la funzione che erano stati suoi vent'anni prima. L'accurata Storia del partito comunista di Paolo Spriano ha continuato e approfondito questo indirizzo: i giovani militanti della fine degli Anni Sessanta vedono dunque in Bordiga il fondatore ed il capo del primo e rivoluzionario partito comunista.

Il perché Bordiga, che capì per primo, prima di Trockij, le ragioni e la dinamica dell'involuzione della III Internazionale, non abbia voluto continuare la lotta politica fuori d'Italia negli anni del fascismo, rimane per me un problema ancora da chiarire. Ancora nel 1926, Bordiga avrebbe potuto fermarsi a Mosca, avere un posto di rilievo in quella Internazionale nella quale la sinistra manteneva il diritto di esporre le sue ragioni; non accettò. Di passaggio a Berlino, gli fu proposto da compagni della sinistra di alcuni partiti di fermarsi nella capitale tedesca, di guidare una frazione del Comintern che avrebbe potuto costituire una alternativa rivoluzionaria allorché la prevista involuzione della III Internazionale avrebbe assunto caratteristiche irreversibili; Bordiga non accettò; tornò in Italia per farsi arrestare; durante gli anni trenta esercitò la sua professione di ingegnere; il gruppo dirigente comunista nell'emigrazione poté  così sostenere che , mentre Gramsci moriva nelle galere di Mussolini, Bordiga poteva circolare libero in Italia, "come una qualsiasi canaglia fascista".

Ho incontrato poche volte Bordiga. Nella prima di queste, nella sua vecchia casa napoletano, gli chiesi se potesse chiarire le ragioni di quel comportamento. Sorrise e scosse la destra [sic!, probabilmente: la testa]. Disse semplicemente che allora "non c'era niente da fare". Una risposta che non dice nulla, ma potrebbe dire tutto.

A Bordiga è stato attribuito una sorte di fatalismo, di essere un determinista, per usare uno degli aggettivi più comuni nella terminologia marxista. Forse Bordiga era perfettamente conscio del lungo periodo di involuzione che nel 1926 si preparava per il movimento comunista. Forse ha preferito il distacco e la riflessione nell'isolamento in Italia alla estenuante lotta delle sette che ha amareggiato gli anni di Trockij, profeta esiliato.

Anche questo libro ― una raccolta di scritti elaborati a partire dal 1954 ― ha l'obiettivo di tratteggiare l'invarianza del  metodo marxista, (definito una volta per tutte, come Bordiga ebbe a scrivere altrove, nella mezzeria dello scorso secolo) nei confronti di nuove elaborazioni interpretative dalle quali prendevano avvio teorico vari gruppi della sinistra degli Anni Cinquanta.

"Scopo di questo studio" - scrive Bordiga - «è la difesa della spiegazione deterministica delle vicende storiche che hanno avuto per teatro la Russia, allo stesso titolo per cui è valida negli altri paesi. Si tratta di confutare la controtesi che il marxismo sia un metodo applicabile nella Europa di occidente, ma cada in difetto in Russia e in altri paesi europei arretrati o in Asia... Si tratta di confutare... la controtesi che i fatti di Russia abbiano portato alla luce rapporti sociali e dati storici inediti e che quindi, non essendo stati noti a Marx ed ai marxisti di occidente, comportino una revisione...Alla sorpresa storica per gli accadimenti di Russia arrivano tutti, da tutti i lati. I borghesi vi arrivano perché scardina l'arma marxista nelle mani del proletariato di occidente, lo attira ad altre edizioni crociatistiche contro un pericolo slavo o giallo o nero - o dispotico, terroristico, dittatoriale, soffocatore della Persona. Gli stalinisti vi arrivano per sostenere che malgrado le previsioni contrarie di Marx e di Lenin e di tutti i marxisti, senza la rivoluzione d'occidente la Russia è passata al pieno socialismo economico. E perfino gli antistalinisti come i trotzkisti e altri gruppi sparuti e sperduti vi arrivano soltanto fuori dallo "schema" di scuola e dando la colpa della degenerazione rivoluzionaria sovietica a forme che confondono colle classi, coi partiti, collo stato, all'abusi del potere, al privilegio della burocrazia, a complicanze che il ricettista Marx avrebbe avuto il torto di non sognarsi neppure».

Bordiga, dunque, si è vissuto soprattutto come un "ripetitore" di Marx, contro le innovazioni e i revisionismi di "gruppi sparuti e sperduti", conseguenza della situazione oggettiva che egli descrive. Ma come si supera questa situazione oggettiva attraverso l'assorbimento da parte della classe operaia e del partito che la esprime della "invarianza" marxista? Ecco la risposta che dà Bordiga in questo testo:

«Allora non crediamo con fede inconcussa nella immancabile rivoluzione proletaria? Solito modo di porre la cosa! La diciamo a cento passi immancabile, sulla base di una ipotesi comune all'avversario: che continui lo sviluppo delle forze produttive nelle forme e entro l'involucro capitalista, che in tal caso dovrà scoppiare. Ma ogni previsione è condizionata. Tutti gli antichi oracoli si leggevano in due modi: e noi non pretenderemo mai ad oracoli. La profezia non è per il fesso. E per fesso non s'intende chi di cervello ebbe poca razione in retaggio, ma chi è inchiodato al determinismo di interessi di classe, e anche di classe di cui non è membro. Sciogliamo dunque, o Edipo, questo nuovo incapsulato vero!»

E' una frase che appare (l'aggettivo è appropriato) sibillina. Affida al lettore la comprensione di un testo che risulta a due livelli. Il primo livello è una storia russa accompagnata da una tipologia delle rivoluzioni (borghese e proletaria): è una analisi di vigoroso stile marxista. Il secondo livello è quello che tutti i paradigmi della scienza (marxismo compreso) incontrano sul loro cammino: il livello della previsione condizionata.

 

Giorgio Galli