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archivio > Saggi e inediti>Ruggero Grieco, Gramsci, (Prometeo, n. 2, febbraio 1924)

aggiornato al: 28/03/2012

Prometeo, n. 2, febbraio 1924
Proponiamo oggi questo articolo del 1924 di Ruggero Grieco; all'epoca Grieco faceva ancora parte della «sinistra»  e l'articolo apparve infatti su  Prometeo la rivista che uscì a Napoli dal gennaio all'estate del 1924 (e fu poi sospesa su richiesta dell' Internazionale Comunista).
Forse anche per questo l'articolo è vivo, bello ed onesto e lontano dalle adulazioni prezzolate che presto si sentiranno fare su Gramsci.
Ruggero Grieco, elemento della sinistra e facente parte del  primo esecutivo del PCd'I abbandonò la sinistra nei primi mesi del 1925 (all'epoca del V E.A. dell'I.C.) e si allineò alla direzione gramsciana del partito.
 
Gramsci
 
E' venuto al socialismo in un'ora critica del socialismo e della storia.
Chi sia giunto al socialismo convintovi da motivi affatto cerebrali, sa il tormento a cui il pensiero lo ha piegato per deciderlo al volontariato rivoluzionario. Benché lo studioso apprezzi tutto il valore del Dubbio come eccitamento alla ricerca dell'errore, e perciò non si ostina, per pigrizia mentale, su formule o sistemi e schemi fissi e rigidi, pure egli è affezionato al metodo costruitosi lentamente, giorno per giorno che gli ha consentito la gioia di spiegargli tutti i fenomeni del pensiero e i fatti sociali. Tutto ad un tratto un elemento nuovo, o per lo meno ignorato, entra a far parte del suo patrimonio culturale. Ecco l'ospite che farà ruinare decisivamente la vecchia costruzione mentale. Si avvicina poco a poco; e dapprima lo si scaccia; lo si irride, gli si scagliano contro le argomentazioni che dovrebbero stroncare ogni sua velleità di ritorno. Ma l'ospite torna, e si insinua. Gli si domanda ciò che desidera; e dapprima egli desidera soltanto di restare. L'ospite, da piccino ch'era, cresce e si sviluppa, e diventa grande e forte, e si impadronisce della costruzione che distrugge poco a poco mentre ne innalza una propria sulle macerie della antica ruinata.
La distruzione del vecchio e la costruzione del nuovo non sono avvenute senza tormento. Il processo è stato lungo, ed ha lasciato nostalgie e non definibili insofferenze.
Antonio Gramsci, sardo, trapiantatosi a Torino per frequentare la facoltà di lettere e filosofia in quella Università presso cui aveva vinto una «borsa», risaliva a ritroso verso il marxismo muovendo dal neohegelianismo crociano e dall'idealismo di Giovanni Gentile. Dopo la disfatta del positivismo in Italia, l'idealismo neo-hegeliano si affermò senza una cattedra sulle cattedre, ed ebbe tanta fortuna per quanto maggiore fu la reazione alla pacchianeria del positivismo che aveva persino tentato di rivedere il socialismo con Darwin, e creduto di intendere la poesia e l'arte attraverso la fisiologia e la notomia dei poeti e degli artisti. La gioventù italiana succeduta al seppellimento del positivismo, si trovò di fronte al «ritorno» di Hegel, rimesso a nuovo, «aggiornato» o — come si disse e molti di noi ripetono — «superato». Il Gramsci, culture di studi filosofici, fu hegeliano; e poi seguì lo sviluppo filosofico dell'idealismo puro.
Nel rifiorire degli studi hegeliani per l'impulso del Croce, Gramsci ha fatto, di scorcio, la conoscenza con Carlo Marx. Marx  appartenne da giovine, come si sa alla sinistra hegeliana, e da Hegel apprese ed accolse il metodo di indagine storica, metodo di cui si servì sempre.
Ecco il Marx, un grande hegeliano, che si stacca da Hegel, e getta le fondamentali pietre della dottrina del materialismo storico e del determinismo economico, muovendo una critica serrata all'hegelismo e — massime — all'hegelianismo. Questo elemento fu, probabilmente quello su cui si volse l'attenzione particolare del nostro compagno. Chè egli non giunse al marxismo attraverso i premarxisti (cioè seguendo lo svolgersi della storia dei socialismi) né spinto dalle leggi deterministiche che vi trascinano i salariati (la forma scientifica dell'accolitismo comunista), né da moventi sentimentali; egli è giunto a Marx dalla cattedra di Hegel; cioè è giunto al marxismo, in un certo senso, allo stesso modo con cui vi giunse Marx (dato che Marx fosse... un marxista, cosa dal Maestro decisamente esclusa!).
Ciò che importa rilevare è il fatto che nel momento in cui i partiti di Europa (1914-915) prendevano posizione di fronte al grandioso conflitto, e troppe filosofie politiche e scienze economiche facevano bancarotta, il Gramsci risolutamente abbracciò la bandiera della Rivoluzione Proletaria.
Qualche anno fa, allorquando le cattedre di socialismo in Italia erano tenute dai villani e dagli asini, e talvolta potevi sentirti perfino accusato d'aver letto le opere dei marxisti e farti dileggiare dalle assemblee; nell'ora in cui un gruppo di comunisti si gettava contro il numero ebro di frastuono e di bassa ventriloquia, fu accusato il Gramsci di essere stato «interventista». Oggi, che la storia ha generato gravi situazioni sociali e nuovissimi aspetti della guerra di classe, la parola «interventismo» (col suo vecchio significato) è davvero anacronistica. Oggi si domanda ai partiti proletari di «intervenire» nel processo rivoluzionario e facilitarlo; ed è accaduto che taluni interventisti (talvolta non intervenuti) del periodo 1914- 1918 siano anche intervenuti contro la Rivoluzione Proletaria, dopo il '18, e talaltri, come il P.S.I., neutralisti nel 1914 e 1915, siano rimasti tali anche di fronte alla Rivoluzione. Ad ogni modo quella che, nel momento in cui fu lanciata, parve una accusa contro il Gramsci non fu che una delle calunnie gettate sordamente contro la frazione comunista e contro il Gruppo dell' Ordine Nuovo di cui il Gramsci era capo, da quanti vedevano nella «frazione» e nel «gruppo» i nemici dell'opportunismo, dell'asinismo teorizzato, del mercenarismo politico, della Controrivoluzione. Può darsi che in un momento critico come quello vissuto dagli uomini di tutto il mondo specie tra il '14 e '15, il Gramsci abbia avuto un dubbio.
Solo chi sa ha bisogno di dubitare, per un senso di onestà e di probità verso se stesso. Ma nel 1917 il Gramsci rappresentava, per il Piemonte, la frazione dei «rigidi» al convegno illegale di Firenze che questa frazione aveva convocato.
 
* * *
 
Non è possibile disgiungere il nome di Antonio Gramsci dalle fortune e dalle sorti del movimento culturale da lui iniziato in Torino, attorno all' «Ordine Nuovo». Un terreno propizio si presentava alla seminazione del pensiero comunista, nell'ora postbellica dei saturnale ma pure del redde rationem dei sistemi politici ed economici del capitalismo, nelle città italiane ove la proletarizzazione erasi intensificata nello spasimo della produzione di guerra, e dove il proletariato voleva e doveva smobilitarsi per la sua battaglia, in un momento in cui il soffio della Rivoluzione di Russia allargava il respiro dei lavoratori del mondo e gettava al vento (perché fossero raccolte) parole e verità elementari che parevano nuove (e lo erano per chi aveva ignorato; e lo erano per quanti non avevano creduto).
L' Ordine Nuovo (rassegna settimanale di cultura socialista) rappresentò il centro di polarizzazione delle avanguardie proletarie di una vasta zona d'Italia, della più importante zona dal punto di vista dell'addensamento proletario.
Che cosa ha detto alle avanguardie?
Giuseppe Prezzolini, il Gobetti, ed altri studiosi liberali hanno interpretato il movimento dell' Ordine Nuovo come uno sforzo per dare alle masse operaie un moto ed una cultura. Taluno ha scritto che il gruppo dell' «O.N.» ebbe fra gli operai italiani lo stesso compito che nel '13-'14 aveva avuto Lacerba di Papini e Soffici e Palazzeschi fra la piccola borghesia. Agli studiosi indipendenti, o ai teorici puri del liberalismo, piacque la valorizzazione della fabbrica e dello «spirito operaio di fabbrica» compiuta dagli operai, cioè dall'elemento ritenuto nemico (!) della fabbrica; e piacque agli idealisti puri il tentativo di aprire agli operai le porte della cultura. Ma il movimento dell' «O.N.» ebbe moventi e scopi precisi e definiti, e — in certo senso — più ristretti e disciplinati di quanto agli avversari non apparve. Non è difficile, a parer nostro, trovare le traccie dell'idealismo nel fiotto fresco e vivace del movimento torinese del '18-20. E molte ragioni erano allora a solleticare i residui filosofici del compagno Gramsci perché non tornassero a galleggiare sul suo spirito. La guerra degli eserciti delle borghesie taceva tra l'assordante cozzo della guerra sociale che acutizzavasi. La letteratura (il pensiero) di un periodo di guerra è quasi sempre letteratura di impeto e di passione, che trascende la ragione della lotta e diviene la lotta stessa, cioè un elemento della lotta. Si disse, più tardi, che i reduci di guerra portavano nel paese la malattia psichica della guerra; si parlò di un «socialismo di guerra» per deriderlo e schernirlo e gettarlo in quarantena quasi che la adesione di larghe masse di ex combattenti (soldati ed ufficiali) al P.S.I. non fosse dovuta esser prevista dai dirigenti del partito politico proletario e provocata, raccolta, disciplinata per la nuova guerra sul fronte delle classi.!
Cotesto ambiente, cotesto animus collettivo, influì certo sul temperamento sensibilissimo del Gramsci; ma noi non osiamo, per una malintesa ortodossia attenuare il carattere intrinseco comunista ed il valore storico di quel movimento che fu chiamato dell' «Ordine nuovo», e che fu movimento marxista, i cui resultati, nonostante la sconfitta del proletariato italiano, furono immensi, né fu detto che domani essi non saranno riportati alla nostra constatazione. Forse il Gramsci, venendo alla milizia socialista, si attendeva di penetrare in un ambiente di studio, di discussioni e di divulgazione del marxismo, oltreché di lotta. Egli trovò, nei maggiori centri proletari in Italia, presso, cioè, le fonti del movimento socialista italiano, una aridità di pensiero marxista (vorrei dire una assenza) da immelanconire. Le sezioni del partito, all'indomani di Villa Giusti, s'andarono rimpinzando di parolai e di esteti, di vinattieri e di avvocati, di spolianegozi (espropriatori) e di candidati che scossero i piccoli borghesi padroni del partito. La mentalità «intransigente» vittoriosa sulla «riformista» del 1912 ed imperante simulava il rivoluzionarismo. L' Avanti! esaltava Lenin e la rivoluzione di ottobre con la riserva mentale sciolta più tardi, durante gli avvenimenti del '20. I lavoratori erano agitati da mille grosse quistioni che il partito non interpretava. Il partito aveva sempre creduto che la rivoluzione venisse da sé, onde ogni critica alla mancanza di un metodo marxista, di un partito marxista, era mal definita; ed i critici accusati di voler violentare le situazioni, di voler deviare il normale corso degli avvenimenti ecc. Il P.S.I. non ha mai conosciuto il suo compito storico di guida e di comando nella lotta proletaria. Nelle giornate del 20-21 luglio 1919 esso si domandava se la rivoluzione sarebbe allora scoppiata oppure no, concependo la insurrezione come un fatto naturale, spontaneo ed estraneo alla sua competenza, come un fatto che si potesse prevedere e studiare astraendosene, scientificamente, non vivendolo ed indirizzandolo. Era talmente vana, fatua , insulsa la mentalità dei capi socialisti del 1919 che, in una riunione tenutasi a Bologna (credo) in preparazione dello sciopero del 20-21 luglio, alla quale fu invitato Bordiga, alcune osservazioni di questi sulla genesi e la condotta dei movimenti rivoluzionari comunisti dalla quale traeva conclusioni negative sulla possibilità di un moto rivoluzionario vittorioso in occasione di quello sciopero servirono più tardi a dimostrare l'insufficienza di Bordiga alla azione per bocca di alcuni fra quelli che avrebbero dovuto, in omaggio al posto che ricoprivano e alla confessata sufficienza al comando, prepararsi, per lo meno, a ricevere lo spontaneo moto rivoluzionario ancorché questo fosse nato per un curioso fenomeno di partenogenesi.
Una mentalità intransigente, e sezioni senza libri, e giornali senza metodo marxista di interpretazione degli avvenimenti. Una Biblioteca di partito (la Editrice) il cui catalogo non conteneva una edizione organica, commentata, dei classici del marxismo, e privo di letteratura marxista tedesco-russa che (dopo quella francese della I Internazionale) per cinquant'anni alimentò i marxisti del mondo. Di contro all'abbondante ma scadente produzione opuscolare, ed alle dottrinette di Salinzucca e di Masticabrodo ch'eran state il b e a ba dei nostri dirigenti e che per molt'anni furon credute la parcellazione froebeliana del marxismo, una edizione sconcia (oltreché incompleta) delle opere di Marx e Engels che disonora un partito sedicente marxista. Organizzatori ignoranti, più anticlericali che socialisti, più laici che rivoluzionari, infinocchiavano gli operai offrendo loro tutte le soddisfazioni salariali concepibili nei rapporti di forze tra proletariato e padronato, ma non la forma di una educazione marxista che essi non avevano (e non avevano avuta). Molti di noi si stupirono, affacciandosi alla soglia del P.S.I. e oltrepassandola, di cotesta aridità di pensiero marxista.
La secchezza del terreno fu propizia, dunque, al Gramsci e al suo programma di lavoro. Egli chiamò a sé un gruppo di giovani compagni, ed assieme a questi prese contatto con la massa operaia. Il successo fu immediato. E come il successo era inevitabile ne furon turbati i vecchi Booz addormentati e vellicati sotto le piante dalle Ruth vegetariane e pacifiste nel cui intimo sorse un sentimento di difesa sotto la forma del diritto di anzianità. Ma l' «O.N.» era già penetrato nel vivo della folla operaia: era una bandiera della folla. Il programma dell' «O.N.» ebbe aspetti varii:
a) un richiamo alla dottrina;
b) l'applicazione del metodo marxista di interpretazione dei fatti sociali;
c) la discussione comunista dei problemi operai, immediati e massimali con l'intervento degli operai stessi;
d) lo studio della fabbrica nella produzione (capitale, tecnicismo, lavoro) come elemento della economia capitalistica e come punto di partenza per la organizzazione e l'azione rivoluzionaria degli operai attraverso il controllo sulla produzione, la conquista comunista dei Consigli di Fabbrica e d'Azienda, l'inquadramento comunista delle maestranze;
e) l'Essenza ed i compiti del partito operaio e del sindacato rivoluzionario e loro rapporti reciproci;
f) la divulgazione della albeggiante estetica rivoluzionaria.
La vita operaia torinese che il fervore di tali problemi teneva desta, forse distolse il Gramsci ed il suo gruppo da una più completa visione del problema generale del proletariato italiano e del partito socialista italiano, la cui non risoluzione preparava le disfatte del 1920.
Non è qui, oggi, che si può riacciuffare la importantissima questione dibattuta, nell'assenza dei capi socialisti, dei deputati e dei giornalisti, nel '19-20, tra i gruppi dell' «O.N.» e del Soviet di Napoli sul sistema di organizzazione della fabbrica e su quello del Sindacato, sulle funzioni ed i compiti del sindacato e della fabbrica e loro rapporti, sui consigli di fabbrica, sul controllo operaio, sulla genesi costituzionale dei Soviet, ecc. Ma è certo che l'opera di educazione dell' «O.N.», fermento di lotta ogni giorno ribollente, giunse solo ad una parte del proletariato e fuori dalla organizzazione centrale dirigente di tutta la massa; tantoché — condotti gli operai del Nord, di tappa in tappa, ai bivacchi del settembre 1920 — ci si avvide che l'opera meravigliosa non trovava l'organo di coordinazione, di sintetizzazione, di direzione: il partito rivoluzionario.
E la ritirata fu tragica, e gli operai vinti nell'autunno del 1920 furono inseguiti per due anni dal nemico, organizzatosi ed armatosi al cospetto del pericolo della propria rovina.
 
* * *
 
Antonio Gramsci è un erudito che, mi pare, abbia vinto i pericoli della erudizione.
L'erudito è un temperamento insoddisfatto ed instabile. Ma il Gramsci è un marxista erudito, il che gli offre la solida critica e il possesso di formidabili risorse polemiche.
Ma il processo di generazione della idea-sintesi è, nel Gramsci, lento. Io dissi altrove che il Bordiga è, per temperamento, propenso alle sintesi in confronto del Gramsci, analista. Dirò ora, che il procedimento analitico del Gramsci è lento e laborioso. Talvolta accade ai cerebrali di esprimere una idea-sintesi e, dopo, (quasi a provarne la giustezza) di cercarne gli elementi analitici, confrontandosi nel trovare che da questi si giunga logicamente a quella.. Questo processo mentale anormale mi è occorso di indovinarlo talvolta nel Bordiga. In Gramsci l'idea-sintesi è il resultato di un lungo e spesso tormentoso procedimento. Un fatto che urti contro il suo cervello brilla dei propri mille elementi. Gramsci si innamora di codesti elementi.
Egli li considera, li esamina, li sfaccetta, li calcola, quasi li sente tattilmente. Durante questo processo voi potete sorprendere il Gramsci ora lieto ora affaticato. Vi accorgete che egli indugia sui «frammenti», viziato dal loro fascino. E qualche volta abbandona il compito di sintetizzare degli elementi del fatto stesso o le conseguenze che se ne dovranno trarre; allora il «frammento» è uno di quei vivaci corsivi che sempre noi cercammo aprendo il giornale comunista di Torino; oppure è una interessantissima causerie durante la quale si apprende sempre qualcosa. Ma allorquando si giunge alla formulazione di un giudizio originale, il Gramsci è sempre forte e svela una intellettualità superiore.
La sua prosa lucidissima; il suo caratteristico periodare che dà l'immagine di un nastro che si svolga sopra un rettilineo, si legge oltreché con interesse con vivo diletto.
Nella polemica è tagliente come tutti i marxisti, ed intellettualmente aggressivo come tutti i maestri di marxismo, familiarizzato al metodo ed allo spirito critico del maestro e dei più insigni collaboratori suoi contemporanei.
La raccolta degli scritti del Gramsci sui Consigli di Fabbrica e sul Controllo operaio, apparsi nell' «O.N.» settimanale sarà un documento storico di alto valore, e la «messa agli atti» di un contributo di pensiero e di azione al movimento comunista internazionale che onora tutti i comunisti italiani.
 
RUGGERO GRIECO
 
Prometeo, n. 2, 15 febbraio 1924