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archivio > Archivio sulla sinistra>L'epilogo del processo di Lipsia: Van der Lubbe decapitato (Prometeo, n. 98, 14 gennaio 1934)

aggiornato al: 12/04/2008

Prometeo n. 98, 14 gennaio 1934

All'inizio di quest'anno è uscito presso la casa editrice anarchica «Zero in condotta» un bel piccolo libro di Nico Jassies: "Berlino brucia. Marinus van der Lubbe e l'incendio del Reichstag".

Nella prefazione di Antonio Senta si fa menzione della posizione assunta dalla Frazione italiana della sinistra comunista. La Frazione  difese  Van der Lubbe  di fronte alla canea borghese che andava dai nazisti agli stalinisti e che lo additava o come malato di mente o come strumento del nazismo quando non entrambe le cose.

Il ruolo giocato da Dimitrov e soci fu infame; un ruolo diretto dalla macchina propagandistica messa in moto da Munzenberg che qualche anno dopo comincerà a capire al servizio di quale causa si era messo e finirà per questo liquidato da sicari staliniani.

I compagni della sinistra pubblicarono un articolo sia su Bilan (n. 3 del gennaio 1934) che su Prometeo.

L'articolo su Bilan: «Van der Lubbe. Les fascistes executent. Socialistes et centristes applaudissent» che è in francese, è più conosciuto e più articolato e può essere letto nel sito di «www.collectif-smolny.org»; abbiamo quindi optato, in attesa di presentare una traduzione di quel testo, per proporre l'articolo apparso nel n. 98 del 14 gennaio 1934 di Prometeo. Come altri testi che abbiamo già presentato, in Prometeo è la lingua italiana che fa difetto ma, dato che nessuno di noi si erge a professore di italiano, gli errori grammaticali e una comprensione talvolta difficile ci rimandano solo ai nostri compagni proletari che, nell'emigrazione, stampavano in Belgio un giornale in italiano e nei loro confronti noi proviamo solo rispetto ed ammirazione.

Prima di concludere questa introduzione riportiamo due frasi, presenti nello scritto di Bilan, che inquadrano bene la questione:

«D'altra parte i rari gruppi proletari -tra cui noi- che non avevano unito la loro voce a quella dei socialisti e dei centristi o che avevano preso apertamente la difesa del ragazzo di Leyda rivendicando il suo gesto, non avevano alcuna influenza tra gli operai.

Ma le condizioni nelle quali è caduta la testa di Van der Lubbe non significano che fascisti, democratici, socialisti e centristi avevano già potuto decapitare il proletariato mondiale che, privato del suo partito di classe, si trovava nell'impossibilità di reagire alla tragedia del processo di Lipsia e del contro processo di Londra e di Parigi?».

  

 

 

L'Epilogo del processo di Lipsia:

VAN DER LUBBE DECAPITATO!

 

Eccolo l'epilogo di Lipsia: quattro assoluzioni, una condanna a morte: quella dell'anarchico Van der Lubbe.

L' «Humanité», in perfetto accordo con i Nitti, i Bergery, i Pan Noli e di tutti i boia del proletariato in veste democratica, aveva scritto che il processo di Lipsia era «il più grande scandalo giudiziario dell'epoca», perchè - per essa come per il concerto unanime di tutta la stampa imperialista - si trattava di un incendio preparato dal fascismo e dal suo «provocatore» Van der Lubbe. E l'epilogo è là: i giudici di Lipsia hanno ascoltato le ultime dichiarazioni di Dimitrov che doveva, con esse, spegnere e imbrattare tutto il suo contegno precedente. Dimitrov aveva detto (vedi «Humanitè» del 17 dicembre): «Io non sono d'accordo con le conclusioni del procuratore generale per la nostra assoluzione «per mancanza di prove». Domando in conseguenza che Van der Lubbe sia condannato per aver lavorato contro il proletariato e che i danni-interessi ci siano accordati per il  tempo che abbiamo perduto».

I giudici di Lipsia hanno dunque colpito Van der Lubbe «che aveva lavorato contro il proletariato», giudici senza dubbio che hanno così lavorato negl'interessi del proletariato. Quale materia per la demagogia contro Dimitrov. Ma noi che ci siamo rifiutati alla demagogia «per Dimitrov» durante il primo periodo del processo, non ci assoceremo a nessuna demagogia «contro Dimitrov». Abbiamo messo in evidenza il suo contegno fermo primitivo, mettiamo in evidenza l'altro contegno ripugnante della fine e ci assoceremo ad ogni azione che nel suo nome fosse condotta per strapparlo al boia fascista che ancora lo detiene e combatteremo politicamente contro lui, domani, come combattiamo politicamente contro il centrismo, formazione politica controrivoluzionaria che giudichiamo per la sua funzione reale e non attraverso la piccola campagna personalista come fa il centrismo nei nostri confronti.

Vogliamo solamente mettere in evidenza la significazione reale dell'incendio e del processo del Reichstag per il proletariato tedesco e internazionale. Notiamo innanzi tutto che «Nostra Bandiera» senza dirlo apertamente, non si manifesta d'accordo con Dimitrov. Essa scrive: «La condanna a morte del provocatore cosciente od incosciente è odiosa». Ma non si tratta di un disaccordo che possa determinare dei risultati favorevoli per la lotta del proletariato: giacché nessuna conseguenza ne risulta per la lotta della classe operaia; dalla prima all'ultima linea del giornale centrista italiano si prosegue sulla stessa solfa dell' «Humanité».

«Nostra Bandiera» che precedentemente aveva scritto a proposito degli anarchici: «tenetevi il vostro Van der Lubbe", noi ci teniamo il nostro Dimitrov», deve tener conto dell'ambiente particolare dell'emigrazione italiana e non può prendere una posizione così netta ed aperta come l'«Humanité». Come si potrebbe nei confronti degli operai italiani sostenere che si debba chiedere la testa di Van der Lubbe quando giammai in Italia non si è presa una simile posizione nei confronti degli attentati che si sono verificati dal Diana a Zamboni?

L'«Humanitè» aveva scritto che si trattava del «più grande scandalo giudiziario». L'epilogo di Lipsia è là per provare che si tratta del «più grande scandalo proletario che la storia conosca». La testa di Van der Lubbe  sarà probabilmente stroncata fra l'indifferenza, se non gli applausi, di operai che i boia democratici del controprocesso di Londra e di Parigi hanno potuto orientare verso una direzione opposta a quella degli interessi del proletariato tedesco ed internazionale.

La nostra posizione sul terrorismo è ben nota. Per quanto siamo per un tutt'altro metodo di azione da quello preconizzato dagli anarchici, noi non giungeremo mai ad unire la nostra voce a quella dei nemici che passano al massacro dei terroristi. Di più, persuasi che la lotta del proletariato non si svolge affatto secondo i dettami di una impossibile disciplina militare e di «buona condotta» dei combattenti dell'armata proletaria, noi comprendiamo magnificamente che dei proletari commettano dei gesti non rispondenti agli interessi del movimento proletario. Ma questo disaccordo non può stabilirsi né risolversi sulla base di una sorte di tribunale marxista, ma deve essere stabilito e risoluto in funzione della lotta del proletariato.

Si è detto che il processo del Reichstag era necessario al fascismo per passare allo schiacciamento del proletariato tedesco. Come se il fascismo non fosse di già al potere o come se il fascismo ha avuto bisogno di incendi del Reichstag per assassinare i proletari di Altona o di Colonia per giungere ai risultati del plebiscito del novembre scorso. D'altra parte tutti quelli che parlano di Van der Lubbe strumento di Goering non hanno nulla potuto provare in questa direzione. Ma quello che ci interessa di fronte a questo macabro bilancio di Lipsia è di tirare delle conclusioni per il movimento proletario ed è in questa direzione che noi riteniamo di dovere lavare dall'infamia la memoria di Van der Lubbe se il fascismo dovesse passare domani alla sua esecuzione.

Sul terreno dei fatti è impossibile sostenere che Van der Lubbe sia stato uno strumento anche incosciente di Goering; in effetti se questo fosse vero non si spiegherebbe come mai il fascismo non abbia preparato delle condizioni di fatto favorevoli per dimostrare la complicità del partito con Van der Lubbe invece di preparare così stupidamente le cose avrebbe messo a lato del suo strumento, nel giorno dell'incendio, degli elementi responsabili del partito invece di fare le cose talmente stupidamente da permettere ai complici di cavarsela così a buon mercato come si è verificato durante il processo, attraverso degli alibi inconfutabili.

Il fascismo anche senza l'incendio del Reichstag sarebbe passato all'attacco contro il proletariato; la sua funzione storica non dipende e non può dipendere da fatti occasionali ma - come la esperienza italiana lo arciprova - da necessità insite al capitalismo e a particolari situazioni economiche e politiche che abbiamo più volte esaminato.

Per realizzare la sua funzione il fascismo si servirà di tutto anche di episodi come l'incendio del Reichstag. Se questo fosse mancato  vi sarebbero stati altri motivi per realizzare la mobilitazione contro il proletariato e il partito comunista. Occasioni migliori ancora per il fascismo che, nella circostanza doveva prendere le difese di una istituzione parlamentare e democratica quando ben altro è il suo programma per manovrare le masse piccolo-borghesi ed alcuni strati della stessa classe operaia.

L'incendio del Reichstag prendeva esattamente questa significazione: che sola la violenza poteva essere opposta dal proletariato nella lotta contro il capitalismo. I comunisti vedono evidentemente lo sviluppo di questa lotta in correlazione con il movimento di classe ed è su questa base che essi avrebbero dovuto porre il problema nel febbraio dell'anno scorso. Solo così avrebbero opposto alla politica del terrorismo l'altra politica della classe operaia e della sua lotta. Invece di fare questo i comunisti hanno preso l'altro cammino: un episodio di violenza si verifica e siccome quest'atto è in contraddizione con la politica comunista si tratta immediatamente di provare che ci si trova dinanzi ad una provocazione. Una tale posizione doveva finire per facilitare il piano del nemico.

Nell'ipotesi che una sola possibilità restasse ancora al proletariato tedesco per opporsi al piano nemico questa possibilità risiedeva nella riaffermazione della ineluttabilità della violenza per la lotta,  nella dichiarazione della necessità di passare immediatamente alla difesa contro lo sviluppo dell'azione nemica. Il nemico si apprestava a profittare dell'incendio del Reichstag e poteva profittarne unicamente su questa base: contro ogni manifestazione di violenza e per evitare il ripetersi di violenza l'estirpazione di ogni forma di organizzazione proletaria e sovrattutto del partito comunista. Di fronte a questa tattica nemica occorreva rispondere, come lo abbiamo indicato, inquadrando il gesto di Van der Lubbe nel processo della difesa delle istituzioni e degli organismi di lotta del proletariato.

Dai primi commenti della stampa operaia si doveva poi giungere al controprocesso e al verdetto di Lipsia. Vi è una correlazione strettissima fra i primi commenti e tutta la campagna internazionale condotta in accordo fra la democrazia, la socialdemocrazia ed il centrismo. Van der Lubbe si è trovato solo al processo in faccia ad un mondo che gli era ostile. Solo, nell'impossibilità di rivendicare il suo gesto giacché se egli si fosse fermamente affermato l'autore dell'incendio, avrebbe, nello stesso tempo distrutto la tesi di Parigi e di Londra secondo la quale si dovevano assolvere Dimitrov e gli altri non perchè estranei all'incendio, ma perchè gli autori dell'incendio erano i fascisti. Se Van der Lubbe avesse rivendicato il suo gesto o che avrebbero tardato un solo istante i controgiudici a dire che il «provocatore» continuava la sua provocazione opponendo alla campagna, e nell'interesse dei responsabili fascisti, un'affermazione che metteva fuori causa Goering e compagnia?

Non un gesto di Van der Lubbe poteva suffragare l'ipotesi della sua provocazione cosciente od incosciente. Eppurtanto il «provocatore» è l'unico condannato a morte di Lipsia. Questo vero «scandalo proletario» non è che un'altra conferma della situazione in cui si trova il movimento proletario devastato che dal fascismo attraverso la socialdemocrazia, per finire al centrismo, prepara le condizioni per il massacro proletario in una nuova guerra.. Van der Lubbe resterà per indicare tutta una situazione in cui vive il proletariato; domani quando il proletariato si sarà liberato dei vecchi e dei nuovi traditori, il suo gesto sarà compreso come un gesto di terrorismo che se non poteva condurre il proletariato alla sua liberazione, poteva però permettere che, nella sua difesa e contro il fascismo, si cementasse l'unione dei proletari perchè questi riprendano la loro lotta sulla base dei principi della lotta delle classi. Nessuna delle forze che agiscono nel movimento proletario ha difeso Van der Lubbe: tutte plaudono alla sua condanna; questo non prova nullamente che Van der Lubbe sia un provocatore. Questo prova al contrario che tutte le organizzazioni di massa che agiscono attualmente nel seno del proletariato agiscono contro il proletariato e che si tratta di ricostruire le basi stesse del movimento proletario.

 

* * * * *

 

Il delitto è consumato

 

Lipsia 10 gennaio. - Questa mattina alle sei fu notificato a Van der Lubbe il rifiuto del presidente Hindenburg di accordargli la grazia. Dopo essere stato rasato il condannato fu condotto nella parte della prigione dove si trovavano radunati il Dott. Werner, il pubblico ministero del processo, il presidente del tribunale, tre giudici della corte suprema e i rappresentanti degli Stati.

Van der Lubbe ascoltò la sentenza di morte senza far trasparire alcuna emozione e si limitò a scuotere la testa quando gli fu richiesto se voleva fare qualche dichiarazione. Van der Lubbe seguì impassibile il boia sul patibolo mentre il prete recitava delle preghiere.

L'esecuzione durò trenta secondi. La mannaia cadde alle 7,25 del mattino.

 

PROMETEO n. 98, 14 gennaio 1934