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archivio > Archivio sulla sinistra>Stalin era solo il marchio di fabbrica... (il programma comunista, n. 7, 31 marzo - 13 aprile 1956)

aggiornato al: 16/09/2008

il programma comunista, n. 7, 31 marzo - 13 aprile 1956

Ripubblichiamo un bell' articolo del 1956 dedicato alla destalinizzazione lanciata da Krusciov con il chino ossequio ad essa di tutti i leaders del P.C.I. con  Togliatti che , tre anni prima, alla morte di Stalin, aveva dichiarato alla Camera  «l'animo è oppresso dall'angoscia per la scomparsa dell'uomo più che tutti gli altri venerato ed amato, per la perdita del maestro, del compagno, dell'amico.»

Lo scenario di oggi è molto diverso da quello di allora ma le cose, quanto a servilismo verso il potere, non sono molto cambiate.

 

 

Stalin era solo il marchio di fabbrica della controrivoluzione internazionale

 

«Affare interno» del P. Comunista dell'unione Sovietica: così il corrispondente da Mosca dell' Unità definiva il «rapporto segreto» tenuto da Krusciov sul «culto della personalità e delle sue conseguenze». Il rapporto ormai famoso, ma tuttora inedito,  che suonava  aperta condanna degli «errori» e dei «crimini» di Stalin (o se preferite, delle «violazioni della legalità socialista» come si espresse Togliatti nella sua relazione al C.C. del P.C.I.) fu letto da Nikita Krusciov, il 25 febbraio, ultimo giorno del «Congressissimo», in una seduta a porte chiuse, davanti ad un uditorio composto esclusivamente di delegati del P. Comunista russo.

«Affare interno» del P.C.U.S.  ribadiva Mikoyan in una conferenza-stampa in India! In un articolo di fondo dell' Unità il 23 marzo, Ingrao tornava sull'argomento: «Si ha notizia di un rapporto del compagno Krusciov ad una seduta speciale del Congresso, di cui non è stato pubblicato il testo e che viene oggi discusso in assemblee di comunisti e di senza partito in tutta la Unione Sovietica». Oramai siamo abituati da decenni allo spettacolo di servilismo ottuso dei dirigenti e pennivendoli del P.C.I.., ma la odierna affermazione del direttore dell' Unità supera ogni aspettativa. Avete capito? In Russia, gli iscritti al P.C.U.S hanno avuto in pasto la bolla di scomunica postuma contro il defunto Stalin, ma agli iscritti dei partiti comunisti all'estero si nega il diritto di cacciarvi il naso. E magari bastasse! Si concede, invece, non ai comunisti soltanto, ma anche ai senza partito, sudditi dello Stato russo di prendere visione del rapporto segreto, e tale diritto viene negato a coloro che da dieci, da venti, da trent'anni servono, con fedeltà ignota persino ai cani, i padroni del partito di Mosca.

Che dedurne? Che un senza-partito di nazionalità russa vale dieci comunisti di nazionalità straniera? Fino ad ieri, era il partito russo che esercitava una funzione di «guida» sulla ramazzatura dei partiti aderenti al Cominform. E fu tale aberrante pratica che portò alla dissoluzione della Internazionale Comunista, ridotta dallo stalinismo ad un passivo organismo burocratico con la sola funzione di trasmettere agli asserviti partiti membri le direttive di politica estera del governo di Mosca. Ora siamo arrivati ad una fase ancor peggiore dell'involuzione nazionalista cominciata sotto Stalin, con l'assenso incondizionato dei Togliatti, dei Thorez, ecc. Oggi siamo alla prassi del «civis sovieticus sum»: chiunque possa vantare la cittadinanza sovietica senza essere iscritto al P.C.U.S. può discutere gli «affari interni» del comunismo russo, mentre non lo possono, non diciamo i poveri agit-prop rincretiniti e i funzionarietti con stipendio inferiore alle 30.000 lire mensili, ma agli alti e altissimi papaveri di via Botteghe Oscure.

Palmiro Togliatti, capo del P.C.I., e gli altri suoi colleghi, capi e sottocapi dei partiti comunisti non russi, non furono ammessi nella sala ove, a porte chiuse, Krusciov strappava definitivamente l'aureola di semidio a Stalin e ne denunciava le malefatte, ma, informano le cronache, gli anfitrioni si premurarono di informarli di quanto accadeva nella seduta tabù del Congresso. Giusta punizione a servi incalliti! Chi ha dimenticato che gli attuali capi del P.C.I. furono, all'epoca del VI Esecutivo Allargato della I.C. (marzo 1926) i più accesi fautori, insieme agli stalinisti degli altri partiti, della tesi che la crisi allora esistente in seno al P. Comunista russo fosse appunto un «affare interno» dei bolscevichi? E chi ha dimenticato che furono proprio i rappresentanti della Sinistra Comunista italiana a chiedere, ed ottenere,  che la questione russa fosse posta all'ordine del giorno dei lavori dell'Internazionale? Gli ascari fedeli dello Stato russo sono serviti appuntino: oggi li escludono dalle aule nelle quali i loro padroni pontificavano.

Ma sorge un quesito: il culto della personalità, cioè il culto di Stalin, elevato al rango di semidio, fu proprio un «affare interno» del P. Comunista dell'U.R.S.S.? Libri liturgici della nuova religione di Stato non se ne stamparono anche in Italia? Chi furono, e cosa scrissero, i compilatori del numero speciale che «Vie Nuove» pubblicò nel 1949, all'epoca del 70° compleanno di baffone? Chi inviò vagoni di regali al semidio? Rileggiamo i testi di allora, fermandoci solo a tre per non vomitare.

Palmiro Togliatti: «Il nostro pensiero va pieno di ammirazione e di riconoscenza al più grande, al migliore degli allievi di Lenin, il compagno Stalin, l'uomo che ha saputo portare a termine e avanti l'opera di Lenin, che ha saputo guidare non soltanto la classe operaia, ma tutto il popolo, tutti i popoli dell'Unione Sovietica alla creazione di una nuova società, che ha saputo difendere le conquiste della Rivoluzione d'Ottobre, che ha saputo condurre i popoli dell'Unione Sovietica a dare il loro contributo decisivo alla vittoria sulla barbarie fascista».

Luigi Longo: «Infinita è la riconoscenza che non solo i popoli della Unione Sovietica, ma gli operai, i lavoratori e i democratici di tutto il mondo, devono al compagno Stalin per il contributo immenso ed estremamente prezioso che egli ha dato alla lotta per l'elevazione e la liberazione dell'umanità. Questo contributo egli l'ha dato come ispiratore, guida e capo del Partito bolscevico e del movimento comunista di tutto il mondo, come animatore e costruttore del socialismo nella Unione Sovietica, come comandante in capo delle forze decisive - dell'esercito rosso e di quelle popolari di tutti i paesi - che hanno affrontato, battuto e disperso le orde nazifasciste che volevano soggiogare il mondo».

Pietro Secchia: «Stalin ha settant'anni, non par vero. Stalin è un gigante, non ha età. La sua forza è realtà quotidiana. Nessuno oggi al mondo può ignorare e negare la funzione dell'Unione Sovietica, del partito bolscevico e del grande uomo che è alla sua testa. Non la ignorano e la sentono i reazionari di ogni continente che si scagliano con tutte le energie di cui sono capaci contro il comunismo. Ne hanno coscienza soprattutto le forze socialiste e democratiche di tutto il mondo che nell'Unione Sovietica e in Stalin riconoscono la guida, la direzione ideologica, politica e unitaria dell'umanità progressiva. Centinaia di milioni di uomini sanno che le vittorie del socialismo nella Unione Sovietica e negli altri paesi sono dovute alla genialità politica e alle giuste previsioni del partito bolscevico e del suo capo: Stalin. Stalin ha conquistato la fiducia e l'affetto di centinaia di milioni di uomini che vedono in lui la guida sicura, il difensore intrepido della Pace, il gigante della costruzione del Socialismo».

Giuda Iscariota, dopo aver tradito il Maestro, giudicò se stesso indegno di vivere e si impiccò. Forse conservava la coscienza di essere stato, dopotutto, un allievo e un discepolo dell'uomo che consegnava ai carnefici. La emerita «gang» di avventurieri politici che regge il timone del P.C.I. non si sogna neppure di abbandonare le cariche, conquistate e mantenute per investitura di Stalin. E hanno ragione di farlo, perdio! Dopotutto, essi non sono stati i discepoli, ma soltanto i servi di Stalin, ora passati in eredità ai nuovi padroni.

Nella sua relazione al C.C. sui lavori del Congresso di Mosca, pronunciata il 13 marzo, Togliatti abbatteva da par suo l'idolo osceno che da decenni ha offerto alla adorazione degli ignari. Naturalmente, lo faceva da leguleio, non da iconoclasta. «Nessuno di noi crede che sia possibile cancellare Stalin dalla storia. Stalin è stato e rimane una grande figura di tutto il nostro movimento... Stalin è stato un grande pensatore marxista...» salmodiava l'avvocato Arlecchino Togliatti, ma sotto il variopinto corsetto nascondeva il pugnale avvelenato. L'arte di ammazzare un morto è già di per sé difficile. Ammazzare il padrone defunto lo è, a giudicare dalle contorsioni togliattesche, ancora di più. Ma i funzionari di Mosca sono capaci anche di questo. Infatti, don Palmiro alternava alle stiracchiate lodi (quantum mutatus ab illo!) alla mummia di Stalin, i colpi di stiletto. Abbiamo così dovuto leggere in quel santuario aperto al culto di Stalin, che per trent'anni è stata l' Unità, che «si possono trovare in lui (Stalin) nelle sue opere, nell'azione sua, posizioni che, ad un esame più attento, risultano non giuste, inaccettabili, incomplete». Liquidato dunque, il mito del «grande pensatore marxista».

Più avanti, l'ammazzatore del padrone morto veniva a parlare delle sozze «purghe» ordinate da Stalin e, senza nominarli, degli sciacalleschi  «processi» di Mosca che culminarono nell'infamamento e nel massacro dei rivoluzionari marxisti di Russia, tra il plauso e la gioia di tutto il movimento stalinista internazionale e se la cavava a  buon mercato definendo «repressioni ingiustificate»  le schifose carneficine. Ed ecco liquidato il mito della «grande figura». Ma un capo di Stato che fa assassinare nelle cantine delle caserme di polizia falangi di uomini ora repentinamente sollevati dalle accuse di intelligenza col nemico, non può certamente essere cancellato dalla storia. Vi resta, infatti, come un boia sanguinario della controrivoluzione.

Beninteso, Togliatti e i suoi scagnozzi non arrivano a dire tanto. Forse aspettano che da Mosca giunga telegraficamente il rapporto segreto di Krusciov. Ma, anche se e quando vi arriveranno, non saranno eccessivamente imbarazzati, essi che hanno già immedesimato il campo della rivoluzione  con il partito di Krusciov, Mikoyan e soci.

Il punto in cui Palmiro-Arlecchino dimostra lampantemente di essere un volgarissimo intellettuale liberale, è dove scopre (sempre a trent'anni di distanza) che Stalin s'era messo al di sopra del partito, sostituendo «a una direzione collettiva una direzione personale» e che, quando ciò accadde «si venne creando quel culto della persona che è contrario allo spirito del partito e non poteva arrecare che danni».

Intellettuale liberale, e quel che è peggio, intellettuale liberale incoerente. Se si ammette che un uomo, una persona, possa riassumere in se stesso un partito, uno Stato, una società intera e sottomettere le leggi del divenire sociale alla sua volontà, allora questa persona diventa un Eroe nel senso di Carlyle, per il quale tutta la storia si riduceva alla biografia di personalità di eccezione. Ma se Krusciov e Togliatti riescono a dimostrarci, in barba al materialismo storico, che la Russia nel trentennio trascorso, ha marciato sul filo storico tracciato dalla mente di Stalin, allora debbono riconoscere, contro se stessi, che il «culto della personalità» era giusto, che aveva un fondamento... scientifico. Dimostrateci che, fino al 5 marzo 1953, i 900 milioni di uomini che abitano nel «campo del socialismo e della pace» si sono mossi non sotto la spinta delle impersonali forze storiche ma dietro i comandi personali di Stalin, e allora ci convertiremo, visto che dobbiamo andare sempre controcorrente, al culto della personalità, or ora abolito da voialtri, eredi dello stalinismo.

Bando alle montature idiote, o codardi! Caricare tutte le infamie, le bassezze mentali, le prepotenze sbirraiole, le menzogne, le falsificazioni, gli inganni che il regime che prese nome da Stalin commise a danno non della borghesia ma del proletariato di Russia e di tutti i paesi, caricare tutto questo smisurato fardello sulle spalle del solo Stalin, significa nobilitare il boia, attribuirgli dimensioni super-umane. Stalin fu un nome, un marchio di fabbrica, il marchio di fabbrica della controrivoluzione, come sono nomi i Togliatti e i Thorez usati per indicare le organizzazioni controrivoluzionarie che il fetido mondo borghese alleva per mantenere oppresso il proletariato.

In tali termini, il capo del P.C.I. commemorava alla camera dei deputati Giuseppe Stalin, il 6 marzo 1953: «Questa notte Giuseppe Stalin è morto, e difficile è a me parlare, signor Presidente. L'animo è oppresso dall'angoscia, per la scomparsa dell'uomo più che tutti gli altri venerato e amato, per la perdita del maestro, del compagno, dell'amico. Ma questa stessa angoscia, onorevoli colleghi, stringe oggi il cuore di decine di milioni, anzi di centinaia e centinaia di milioni di uomini, da Oriente ad Occidente. Solo un animo meschino, cattivo, spregevole potrebbe essere capace, in questo momento, di recriminazioni vane. Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, un gigante dell'azione. Col suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi della storia faticosa e gloriosa del genere umano».

Così parlava Palmiro Togliatti degli Arlecchini, mentre la salma del padrone morto attendeva di essere passata agli imbalsamatori. Il secolo non verrà più chiamato col nome suo. Fortuna nostra che i secoli non sono usi a prendere il nome dai codardi. Visto che in fatto di vigliaccheria gli ex-stalinisti non la cedono a nessuno, sarebbe veramente difficile per i posteri scegliere, in così immenso gregge, il primatista mondiale.

 

il programma comunista, n. 7, 31 marzo - 13 aprile 1956