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archivio > Archivio sulla sinistra>Questioni storiche dell'Internazionale Comunista, IV, (il programma comunista, n. 6, marzo 1954)

aggiornato al: 02/12/2008

il programma comunista, n. 6, 19 marzo - 2 aprile 1954

Continuando con la ripresentazione di questa serie di scritti, ecco ora la quarta e penultima parte di Questioni storiche dell'Internazionale Comunista dove è presente la  critica dell'Ordinovismo (che continuerà anche nell'ultima parte) cui abbiamo dedicato anche  il precedente scritto  inserito in questa sezione.

 

Questioni storiche dell'Internazionale Comunista

 

IV

 

L'andamento della trattazione fin qui seguita potrà aver generato l'impressione che non si sia seguito l'ordine cronologico degli avvenimenti. Per gli obiettivi fissati, non si poteva né sistemare gli avvenimenti nel senso orizzontale suddividendo artificialmente il corso storico dell'internazionale in annate, né si poteva disporli nel senso verticale, allineando l'una accanto all'altra le evoluzioni dei singoli partiti membri  dalle origini alla fine. Bisognava invece usare ambo i metodi, considerando i partiti comunisti ora nei loro rapporti reciproci attuali, ora ravvicinando di colpo i termini della loro evoluzione, in maniera da far risaltare il contrasto e la coerenza delle posizioni occupate in successioni più o meno gravi di fasi e di periodi. Tale criterio era l'unico corrispondente al nostro scopo.

Questo scritto non vuole essere una fredda cronologia di fatti e, peggio,  un'esposizione di avvenimenti storici «superiore alle correnti». E' invece un atto di polemica  che si prefigge di difendere posizioni eminentemente di parte e cioè: 1) La Sinistra Comunista italiana di cui il Partito Comunista Internazionalista assicura la continuazione nel tempo, resta alla resa dei conti l'unica corrente teorica e politica marxista, salvatasi dal naufragio della Terza Internazionale; 2) Il Partito Comunista d'Italia, di cui il Partito Comunista italiano è solo un apocrifo doppione, sopportò il massimo urto, nella polemica tattica in seno alla terza Internazionale, da parte del bolscevismo, l'opposizione ordinovista  di Gramsci e Togliatti non avendo posseduto giammai, neppure al Congreso di Lione del 1926, la maggioranza effettiva nell'interno del P.C. d'Italia.

Il metodo seguito nelle precedenti puntate e che osserveremo sino alla fine di queste note, ci ha permesso, benché la sostanza dei contrasti di corrente esistenti tra i gruppi considerati sia stata estremamente sintetizzata, di dimostrare che il comunismo raggiunse la sua espressione più compiuta in Russia e in Italia. Ma un'ulteriore discriminazione si impone. Già abbiamo detto – e ripeterlo fa parte del nostro metodo – che l'enucleazione dei gruppi marxisti in Italia non fu una mera fotografia del bolscevismo russo. La Terza Internazionale rappresentò soltanto il punto di incontro e la tappa comune cui i due movimenti, sorti autonomamente in diverso ambiente storico, confluirono, facendo corpo unico almeno nelle questioni non attinenti strettamente la tattica, che, inasprendosi dovevano poi opporre inconciliabilmente la Sinistra italiana al bolscevismo.

La differenza fondamentale delle origini dei due movimenti fratelli consistette nel fatto che il bolscevismo si sviluppò a cominciare dall'ultimo decennio del secolo scorso, nell'ambiente storico originale dell'incrocio di due rivoluzioni. Nella decrepita società zarista il bolscevismo, benché gli avvenimenti dovevano poi mostrarne la incomparabile potenza rivoluzionaria. si trovò ad operare in condizioni sociali ed intellettuali caratterizzate da profondi sommovimenti rivoluzionari. Questo vuol dire che in Russia il bolscevismo fu il meglio preparato perché fondato sulla dottrina marxista dei partiti rivoluzionari antizaristi, non l'unico partito rivoluzionario lottante contro lo zarismo. La stessa borghesia ed il contadiname povero tendevano potentemente, sebbene con esitazioni gravi ed incertezze programmatiche, a frantumare la roccaforte dello Stato degli zar e le tendenze sociali innovatrici si espressero in un ricco repertorio di correnti ideologiche spesse volte importate di peso dall'Occidente capitalista e di movimenti politici. Di conseguenza, il bolscevismo si trovò a lavorare in circostanze storiche favorevolissime caratterizzate, come abbiamo visto, dalla estrema fluidità delle posizioni ideologiche in lizza, che impedivano l'organizzazione della borghesia capitalista – quantitativamente scarna ma non certo inerte – in solido partito politico. D'altra parte, la tangibile confluenza dei partiti socialdemocratici o populisti con il radicalismo borghese testimoniavano permanentemente del loro carattere di organismi antiproletari.

Diametralmente opposta era la condizione storica presente in Italia, e in generale nell'Europa occidentale. Qui la rivoluzione borghese non solo era pervenuta da tempo al pieno consolidamento della dominazione del capitalismo e dello Stato borghese, ma aveva prodotto – in connessione con lo sviluppo intensivo dell'industria – stabili e tradizionali partiti operai opportunisti a programma riformista. In Italia, le difficoltà erano aggravate dal principio del secolo, dal fatto che il ritardo della formazione dello stato nazionale produceva un conseguente ritardo nella storia politica sicché solo col giolittismo prendeva salda radici la moderna forma demagogica della democrazia parlamentare. Fu gioco facile per il riformismo spacciare le concezioni parlamentari e sindacali della borghesia dominante per altrettante tappe della marcia verso la lontana meta del socialismo. E ciò spiega – sia detto qui per inciso –  l'astensionismo dei marxisti nel primo dopoguerra che i bolscevichi, Lenin in testa, non vollero comprendere, applicando al marcio occidente europeo la tattica usata nei confronti della Duma zarista che fu teatro non delle sporche commedie a cui ci hanno avvezzati i nostri parlamentari, ma dello scontro di tre classi nemiche di tre epoche storiche: zarismo, capitalismo, socialismo. E per ora chiudiamo la parentesi antiparlamentare, riservandoci di riprendere in seguito la questione.

La politica di opposizione alla guerra imperialista condotta dal P.S.I. che in sostanza non andò oltre alla radicalizzazione verbale delle posizioni già conosciute alle correnti neutraliste o austriacanti esistenti nella stessa borghesia, rese estremamente ardua la lotta dei marxisti italiani, ancora inquadrati nella sinistra del P.S.I. Fu facile ai riformisti mascherare la loro politica controrivoluzionaria con equivoche formule di opposizione alla guerra o addirittura con platoniche adesioni al movimento zimmervaldista. Al contrario, in Russia, i bolscevichi poterono addurre prove schiaccianti alle accuse di complicità con l'imperialismo mosse al partito menscevico, fondandosi sulla politica del governo di Kerenski verso la guerra.

Nonostante l'estrema disuguaglianza delle condizioni obiettive – favorevoli al massimo per il bolscevismo, sfavorevoli al massimo per il marxismo italiano – questi doveva arrivare per suo conto a formulare in maniera compiuta il programma della rivoluzione socialista. Che l'insurrezione proletaria e la conquista del potere si verificò in Russia e mancò in Italia, non prova nulla contro la tesi che il bolscevismo andò soggetto a gravissimi errori che la Sinistra Italiana seppe evitare e condannare fin dalle loro origini. La storia della Terza Internazionale sta lì a provare come il bolscevismo, invincibile demiurgo della saldatura della doppia rivoluzione antifeudale ed antiborghese in Russia, fu inferiore al compito di manovrare le forze della rivoluzione proletaria operanti nell'ambiente storico – Europa Occidentale ed America –  a stabile dominazione capitalista. Le aberranti tattiche inaugurate col Fronte unico e conclusesi col Fronte popolare, non dovevano conservare le formazioni rivoluzionarie costrette a segnare il passo per la stabilizzazione del potere borghese, ma, al contrario, dovevano causare la dissoluzione della Terza Internazionale e creare le odierne disastrose condizioni di confusione e di smarrimento che tanto ostinatamente si oppongono allo sviluppo di sane correnti rivoluzionarie.

 

Topografia ideologica dell'Ordinovismo

La Terza Internazionale si era scissa dalla Seconda Internazionale sulla questione della conquista del potere, che i gruppi comunisti negarono potersi effettuare con metodi legalitari, nonostante le lusinghe del riformismo. Ma la comune adesione al principio rivoluzionario non impedì che nella nuova associazione internazionale si riproducessero le vecchie scissioni teoriche che, prima durante e dopo la guerra imperialista, avevano diviso l'ala rivoluzionaria del movimento operaio. Se si trascurano le divergenze di ordine secondario, la materia fondamentale del dissenso fu la questione del compito del partito. Il partito comunista centralizzato era la condizione indispensabile dell'insurrezione e della conquista del potere? Poteva concepirsi la vittoria sulla borghesia senza la direzione del partito di classe e l'esercizio della dittatura rivoluzionaria?

Secondo la risposta a tale cardinale questione possiamo dividere la Terza Internazionale in tre correnti. Esistevano formazioni politiche che rispondevano con un reciso rifiuto, negando la necessità del partito. Erano costoro i sindacalisti della spagnola C.N.T. (Confederacion Nacional del Trabajo) che contava un milione di iscritti, il movimento degli «shop steward committee» in Inghilterra, i sindacalisti americani, i sindacalisti-rivoluzionari di Francia. Tutti costoro, abituati a lavorare nei sindacati e negli organismi aziendali erano apertamente ostili al principio del partito politico centralizzato in cui temevano di vedere riprodursi il burocraticismo conservatore che, per lunghi anni, aveva rinfacciato ai capi socialdemocratici.

La corrente che potremo definire mediana non negava le funzioni del partito politico e respingeva le deviazioni sindacaliste, ma non arrivava a legare il principio del partito alla rivendicazione programmatica della dittatura rivoluzionaria,  attardandosi nel vicolo cieco della cosiddetta «democrazia operaia». Rimanendo all'epoca dei primi due congressi dell'I.C. potremo includere in essa il comunismo tedesco ispirato alle dottrine della K.A.P.D. e la sinistra tribunista di Olanda.

Contro ambo le correnti, si schierava il marxismo conseguente, i partiti che puntavano senza esitazioni sulla instaurazione della dittatura del proletariato e lavoravano per la costituzione in tutti i paesi di combattivi partiti comunisti. A queste forze, nerbo della nuova Internazionale, si debbono le «21 condizioni di ammissione». Vi figuravano in testa il bolscevismo e la Sinistra Comunista Italiana.

Va da sé che non si pretende di incasellare rigidamente in tre scompartimenti tutto il ribollire di indirizzi e di tendenze del movimento internazionale. Ma non è meno vero che le distinzioni che abbiamo schizzate corrispondevano alla realtà. Infatti, le «condizioni di ammissione» obbligavano le formazioni che chiedevano di fare parte dell'Internazionale, non solo a rompere col riformismo ed il socialpatriottismo ma pure a costituirsi in partiti comunisti.

Rimane ora da situare ideologicamente la corrente di Gramsci, Tasca, e, buon ultimo, Togliatti che dal periodico «L'Ordine Nuovo» , apparso a Torino nel maggio del 1919, prese la denominazione di ordinovismo.

L'ordinovismo non rappresentò una corrente del marxismo. Neppure costituì una versione dell'operaismo da cui si originavano i movimenti sindacalisti. Fu un movimento spurio a base interclassista, un'appendice ritardataria della ideologia risorgimentale riscritta in linguaggio marxista che prese le mosse dalla condanna delle stridenti contraddizioni sociali esistenti tra la zona industriale del settentrione d'Italia e quelle agricole del meridione, dovute al particolare corso della rivoluzione industriale nella penisola e pervenne a teorizzare l'industrialismo di fabbrica senza peraltro riuscire a discriminare l'essenziale caratteristica dell'industria capitalista, che non è costituita solo dalla titolarità privata del possesso dei mezzi di produzione e dei prodotti,  ma soprattutto dalla organizzazione aziendista della produzione.

L'impresa industriale e commerciale conserva la sua natura e funzione capitalista, anche se rilevata dallo Stato o da organismi operai, perché perpetua le forme della produzione mercantile volta a realizzare profitto monetario, e quindi conserva il principio del lavoro salariato. Sostituendo all'imprenditore privato l'organismo collegiale del consiglio di fabbrica, Gramsci e Tasca si illudevano, nel 1919, di aver scoperto la via maestra della  rivoluzione proletaria. In realtà, il carattere della rivoluzione borghese non è espressa dal binomio industria - imprenditore privato, ma al contrario, da quello industria - ditta, proprio  cioè della formula che l'ordinovismo idealizzava. Che la ragione sociale dell'impresa risponda al nome di una persona fisica oppure alla sigla anonima del consiglio di fabbrica non cambia la struttura. L'impresa continuerà a funzionare in vista del profitto aziendale.

Fin dalla guerra mondiale e proprio a causa di questa, divenne chiaro che lo sviluppo dell'industria capitalista in Europa e in America aveva raggiunto il culmine del suo ciclo, esaurendo definitivamente la sua funzione progressiva: poteva conservarsi oltre soltanto in forme parassitarie, cioè mantenendosi a costo di sperperare masse enorme di forza di lavoro sociale nella crisi e nei conflitti generali dell'imperialismo. la rivoluzione socialista si poneva allora, e si pone con maggior ragione oggi, non l'indefinito accrescimento della produzione che dovrà venire drasticamente limitata nei rami parassitari e antisociali imposti dagli interessi della conservazione borghese, ma bensì lo spezzamento dei rapporti di produzione capitalistici. Ora, l'azienda è appunto un rapporto di produzione capitalista. Nella radicale trasformazione della produzione operata dalla dittatura del proletariato, gli interessi aziendali lasciati in eredità dal capitalismo, dovranno cedere, volenti o nolenti gli organismi di fabbrica, agli interessi superiori della classe operaia dominante. Ciò perché interi rami della produzione capitalistica verranno soppressi.

L'ordinovismo, fondando l'azione rivoluzionaria del proletariato sugli organismi aziendali, segnava un passo indietro non solo rispetto al marxismo, ma persino allo stesso sindacalismo rivoluzionario che, ripudiando il partito politico, affidava la rottura dei rapporti capitalistici alle grandi organizzazioni sindacali di massa che sono pur sempre un superamento del parcellamento aziendale delle rivendicazioni operaie. Divinizzando l'industrialismo ed affidandone la direzione al movimento dei consigli di fabbrica, l'ordinovismo esprimeva le esigenze della produzione industriale borghese, del rachitico capitalismo italiano. La prova decisiva è data dalla politica del P.C.I. che alle teorizzazioni ordinoviste di Gramsci e Tasca conseguentemente si ispira. Il  partito di Togliatti oggi è alla testa del movimento, più posticcio che effettivo, che pretende di incrementare la produzione industriale e di meccanizzare la agricoltura, gabellando per socialismo un volgare programma di riforme per giunta utopistiche nel quadro dei rapporti capitalistici. La feticistica esaltazione della produzione industriale, la maniaca fissazione della produzione per la produzione che ignora la fondamentale rivendicazione socialista di subordinare la produzione all'allentamento dello sforzo di lavoro sociale, da Gramsci sono passate nella odierna direzione del partito di Togliatti, perdendo per via il brillante involucro intellettuale del pensatore sardo. E come si inneggia alla brutale avanzata dell'industrialismo in Russia, per nulla consapevoli delle forme capitalistiche in cui essa si svolge, così si sogna dai falsi marxisti del P.C.I. un' Italia formicolante di industrie dalle Alpi a Capo Passero, per nulla imbarazzati dal fatto che contemporaneamente si invoca la polverizzazione del possesso terriero, che storicamente costituisce un formidabile ostacolo alla industrializzazione.

Vedremo nella prossima puntata quale sia stata la posizione della Sinistra di fronte all'ordinovismo.

 

il programma comunista, n. 6, 19 marzo - 2 aprile 1954