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archivio > Archivio sulla sinistra>L'opposizione di sinistra nella Terza Internazionale, (il programma comunista, n. 1, gennaio 1956)

aggiornato al: 26/12/2008

il programma comunista, n. 1, 7-20 gennaio 1956

Quanto riproponiamo oggi è una limpida e appassionata esposizione sulla opposizione di sinistra nei primi anni dell'Internazionale Comunista.

E' il resoconto di  una riunione di Partito tenuta a Milano nel dicembre 1955; ad essa parteciparono, come è detto nella introduzione, oltre ai compagni lombardi, compagni di Trieste, Treviso, Vicenza, Ravenna, Forlì, Torino, Asti, Casale, Genova, Carrara, Firenze, Portoferraio, Roma, Napoli, Cosenza, Messina; con quattro compagni dalla Svizzera e due dalla Francia, le forze che in pratica componevano il Partito.

Senza fronzoli e con chiarezza vengono ribadite le posizioni della sinistra, i dissensi già presenti con l'Internazionale Comunista al II Congresso nel 1920, e la situazione poi, alla redazione di questo scritto, nel 1956, non diversa da quella di oggi: non abbiamo oggi proletari rivoluzionari sconfitti ma fermi nella loro teoria, nel loro programma e nel loro partito ... ma una classe che ha perduto il suo orizzonte.., un orizzonte che anche la riproposizione di scritti come questo, nello scolpire in modo netto  posizioni programmatiche e di principio,  può aiutare a rendere più chiaro e visibile.

 

L'opposizione di sinistra nella terza internazionale comunista

 

Riassunto dell'esposizione

Esiste in un certo senso una contrapposizione tra lo studio da noi fin qui affrontato della Rivoluzione in Russia, e quello che ora intraprendiamo dell'azione per la rivoluzione europea e mondiale condotta dall'Internazionale Comunista, fondata in seguito alla rivoluzione russa sulle rovine opportunistiche dell'Internazionale socialista.

Nel primo campo noi, con piena coerenza a quanto ha nel lungo periodo relativo sempre sostenuto la nostra corrente, la sinistra comunista in Italia, abbiamo solidarizzato illimitatamente con la valutazione storica e con la lotta rivoluzionaria dei marxisti russi, e quindi dei bolscevichi e dei leninisti, per esprimersi concretamente. Abbiamo difeso l'interpretazione che collega la loro lotta al traguardo della rivoluzione proletaria in occidente, e perfettamente spiegato sul piano marxista che nella situazione odierna, nel mezzo di tutto il mondo borghese che ha resistito alla rivoluzione, nella società russa non si è avuto socialismo, come ben si sapeva di non poterlo in tale situazione avere.

Nel campo invece della lotta in Europa e della sua strategia dissentimmo e dissentiamo dai metodi seguiti dall'Internazionale comunista fin dal 1920, e muoviamo critica, come muovemmo, anche a quanto fu sostenuto e fatto dai vittoriosi rivoluzionari di Russia, fin dal tempo in cui l'indirizzo era quello dato da Lenin, da Trotzky e dagli altri. La contrapposizione tra la nostra critica nei due campi non sta dunque nel fatto che la rivoluzione europea non si sarebbe saputa fare, e quella russa invece sì. In effetti non vi è oggi la vittoria rivoluzionaria comunista in Europa, e nemmeno vi è in Russia, ove la struttura sociale e il potere sono capitalisti. Ma mentre noi condividiamo la visione del cammino storico futuro (spesso diciamo per farci intendere, come oggi usa, la prospettiva) che per la Russia i marxisti perseguirono dal 1900 al 1924, non condividiamo quella che si ebbe per l'Europa e l'Occidente in genere dalla fine della guerra mondiale in poi, e la conseguente tattica. Tale concezione non rettilinea, indiretta, contorta, posa la vittoria rivoluzionaria nei ben maturi paesi borghesi al termine di una serie di tappe spurie ed equivoche, che la storia non realizzò come vantaggi per la classe rivoluzionaria, e nella cui attesa vana e manovra sterile, si raddoppiò il male della mancata rivoluzione con quello della distruzione totale dell'organizzazione rivoluzionaria di classe del partito comunista.

Nella nostra trattazione si sostiene e si dimostra che questo sbocco pericoloso fu preveduto perfettamente e senza posa denunziato, così come oggi dopo più di trenta anni da quella polemica si vede verificato. Non nel senso che si previde la rivoluzione e questa non è venuta (documenteremo che non fu questo) ma dell'altro di netto sapore marxista che non si seppe evitare che al prevalere delle forze di classe conservatrici nel grande scontro, si associasse la totale degenerazione del moto della classe rivoluzionaria, come dottrina e come organizzazione. Non abbiamo oggi proletari rivoluzionari sconfitti ma fermi nella loro teoria, nel loro programma e nel loro partito, sia pure minoritario, ma abbiamo una classe che ha perduto il suo orizzonte e partiti che soprattutto dove sono rimasti pletorici, sono al servizio dell'ideologia e della forza di classe nemica. Colleghiamo questo risultato disastroso, assai più della  semplice sopravvivenza storica della forma sociale che combattiamo agli errori di metodo e di indirizzo dell'Internazionale Comunista, negli anni di cui si tratta.

 

Le sette fasi trattate

Il relatore avvertì che non si intendeva dare la storia delle vicende di formazione dei partiti comunisti in tutti i paesi, tema che avrebbe condotto troppo lontano. Ricordò d'altra parte che di tutte le lotte contro l'opportunismo e dei nefasti di questo prima della guerra del 1914 e nel corso di essa, altre nostre trattazioni analoghe, si erano ampiamente occupate e che per questa parte il materiale critico della Terza Internazionale è totalmente valido.

Precisò pure che nel trattare dello storico dissenso tra i comunisti italiani negli anni dal 1920 al 1926 ed oltre, non ci si vuole riferire alla politica dell'Internazionale di Mosca in Italia, alla questione italiana, ma proprio alle questioni generali del metodo internazionale. Il nostro partito di allora  si distinse appunto nel lavoro dell'Internazionale perché non si batté tanto sulla questione dell'azione da svolgere nel proprio paese ma su quelle degli altri paesi e soprattutto dei più importanti: Germania, Francia, ed anche Russia.

Solo per comodo e chiarezza di esposizione annunciò che si sarebbe partiti dalla formazione, nel corso della guerra, della corrente socialista che in Italia mirò e pervenne alla costituzione di partito sulla base della teoria rivoluzionaria marxista, sulla linea storica della rivoluzione russa perché tali dati storici sono indispensabili a comprendere il compito di tale movimento come opposizione nel seno dell'Internazionale di Mosca, e la via traverso alla quale quel partito cominciò a degenerare fino alle attuali forme e attitudini, deteriori anche rispetto a quelle del vecchio partito socialista e della lotta proletaria di classe del tempo di anteguerra.

Prima fase. Il socialismo italiano e la guerra del 1914. Le tendenze che si manifestarono durante la guerra. Il movimento per formare il partito comunista dopo la fine della guerra e la vittoria rivoluzionaria in Russia. La frazione comunista astensionista e il Congresso di Bologna nel 1919: la falsa adesione del partito socialista alla terza Internazionale  e la negata rottura col riformismo parlamentare e sindacale. La corrente torinese dell'Ordine Nuovo e le sue origini che  malgrado la viva critica alla Confederazione sindacale riformista e alla direzione massimalista del partito politico, erano affette da scarsa ortodossia marxista, come fu dai primissimi tempi avvertito.

Seconda fase. La costituzione della Internazionale Comunista nel 1919. Il secondo congresso di Mosca nel 1920. La questione del parlamentarismo, risolta nel senso della partecipazione dei partiti comunisti ai parlamenti come mezzo migliore per distruggere l'istituzione borghese parlamentare: sviluppo ulteriore e totale degenerazione del parlamentarismo comunista nella peggiore apologia dell'istituzione. La questione delle condizioni di ammissione e le modifiche ed aggiunte ottenute dalla sinistra, che determinarono le drastiche rotture dei massimalisti italiani e degli indipendenti tedeschi. Questione dei comunisti nel Labor Party inglese.

Terza fase. Formazione del partito comunista in Italia. La frazione di Imola con partecipazione degli astensionisti, degli ordinovisti e di altri elementi massimalisti. Scissione al congresso di Livorno 21 gennaio 1921. Successivo congresso internazionale di Mosca (III), giugno 1921: la questione della tattica e la prima impostazione della esigenza di conquistare la maggioranza della massa (o della classe?). Opposizione di una diversa teoria da parte del partito italiano colle sue Tesi di Roma al congresso del marzo 1922.

Quarta fase. Il IV congresso di Mosca nel dicembre 1922. Questione italiana della fusione con l'estrema ala socialista (terzinternazionalisti) opposta in principio dal partito, ma eseguita dopo la decisione internazionale. Questione della tattica internazionale. La sinistra si oppone al metodo del fronte unico tra i partiti politici, ossia di una proposta di alleanza dei comunisti ai socialisti di destra da poco eliminati dal movimento. Questione della tattica in Germania, e condanna dell'I.C. all'azione ritenuta troppo rigida del marzo 1921, finita nella sconfitta del partito, che si imputò al suo isolamento e settarismo. Presa di posizione della sinistra italiana: metodo seguito verso le masse in Italia fino all'avvento del fascismo: fronte sindacale, Alleanza del lavoro, lotta spietata ai partiti opportunisti e piccolo borghesi.

Quarta fase. Dopo la fusione la maggioranza della Centrale Italiana abbandona la posizione di sinistra e accetta la tattica dell'I.C., applicata nell'Aventino antifascista, con subito ripiegamento imposto dal partito e separazione dagli oppositori borghesi a Mussolini. Rientro in Parlamento e dichiarazione Repossi dopo il fatto Matteotti: i comunisti buttati fuori. In vista del congresso di Mosca del 24 (V°) il partito è consultato nella discussione sulla azione prima del fascismo e dopo la sua vittoria: conferenza illegale presso Como, schiacciante vittoria della sinistra e sconfitta della Centrale. Al V congresso la delegazione italiana è divisa in due ali e viene affrontata la questione tattica generale. Il metodo del fronte unico viene esteso alla formola del governo operaio, ossia alleanza tra partiti politici non solo per azioni delle masse ma anche per manovra parlamentare. La sinistra denunzia in questo un grave pericolo di principio per l'abbandono della teoria della dittatura sola espressione programmatica del partito nel problema centrale del potere. Tuttavia la maggioranza condanna come destra l'azione Ottobre 1923 della centrale tedesca, che non avrebbe saputo a tempo rompere con gli alleati di destra. La sinistra italiana svolge critica molto più a fondo e dissente dal metodo di consegnare i partiti a questo o quel gruppo dirigente con criteri interni e di manovra, denunziando l'aggravarsi della minaccia opportunista, anche laddove si vanta di essere passati «più a sinistra».   

Sesta fase. Il III congresso del partito comunista d'Italia si tiene in gennaio 1926 a Lione, dopo altra discussione interna. Organico testo di tesi della sinistra a Lione che stabilisce le ininterrotte posizioni su tutti i problemi della azione comunista e proletaria, sui fatti nazionali e internazionali. Le manovre della centrale falsano la maggioranza della sinistra, sempre dominante nel partito, sfruttando la difficoltà di molte organizzazioni a far pervenire, in clima poliziesco, i voti. Alla imposizione alla sinistra di entrare con due membri coattivamente nella centrale, segue una grave dichiarazione di rottura, che constata che l'opportunismo controrivoluzionario ha ancora una volta vinto.

Le opposte tesi pervengono all'Esecutivo allargato di Mosca nel marzo del 1926. la sinistra oltre al ribadire le sue critiche al fronte unico e al governo operaio, e alla maniera di direzione interna della Internazionale Comunista, si oppone anche a fondo alla nuova organizzazione per cellule presentata come «bolscevizzazione» dei partiti, mentre invece corrisponde allo smarrimento della linea politica e storica di classe nell'ambito particolaristico di gruppi della stessa professione e azienda. Inoltre si oppone alle decisioni sindacali, allo scioglimento della Internazionale di Mosca dei sindacati rossi. Dissente radicalmente dalle risoluzioni sulla questione tedesca, che indeboliscono sempre più quel partito, e prevede l'insuccesso e il cedimento su tutti quei fronti.

 

Crisi finale del partito russo e dell'Internazionale

Mentre dal 1926 la sinistra italiana, sempre presente nelle file di movimenti esteri e nelle stesse colonia di confino, non ha più avuto possibilità di parlare nelle assemblee di Mosca, ilo centro della lotta si sposta sulla opposizione sorta vigorosamente in successive ondate nel partito russo. Questo ci riporta all'altro tema della involuzione della rivoluzione russa. Va notato che la opposizione, che suol dirsi della sinistra italiana, si delineò fin da quando i futuri oppositori russi (Trotzky 1924, Zinovief e Kamenef 1926, Bucharin e Radek ancora più tardi) erano solidali colla maggioranza del Comintern nella difesa di quelle tattiche contro cui la sinistra «italiana» (con molti compagni di altri paesi) fortemente si batteva.

Tuttavia in tutte le discussioni di partito in Italia e all'estero i compagni italiani della sinistra difesero sempre gli oppositori russi contro gli attacchi e i metodi repressivi della maggioranza staliniana, e considerarono quei valorosi compagni come tardivi associati alla tempestiva denunzia del pericolo di degenerazione ormai travolgente, che culminò nella materiale distruzione della efficiente sinistra proletaria russa, lasciando il campo libero ai successivi eventi della guerra mondiale 1939 e del tempo seguente, in cui i sedicenti comunisti russi e di altri paesi si smascherarono nella pratica di quella stessa collaborazione di classe contro la quale la Internazionale comunista erasi all'inizio levata e che abbiamo in altri lavori ampiamente prospettata. Nello svolgimento per esteso del nostro tema di oggi ci fermeremo quindi alle questioni di indirizzo della Internazionale fino al 1926, rimandando per gli anni seguenti alle altre fonti e alle altre nostre pubblicazioni (Prometeo e Fili del Tempo dal 1947 al 1951, Programma Comunista etc.).

In questa sintesi non possiamo ripetere quanto fu dal relatore detto nella seconda delle tre sedute, quando lasciando il mezzo della semplice cronologia furono trattate in principio le varie questioni «strategiche» che nelle varie esposte fasi si sono andate ripetendo in sempre nuovi aspetti.

In sostanza il profondo dissidio si risolve in opposte posizioni di principio, nel gioco di tutto il metodo dialettico marxista.

Ci si diceva che un solido partito, colato in un certo modello, reso a furia di prediche enfatiche «leninista» e «bolscevico», può senza dubbio esplicare tutte le tattiche, osare qualunque manovra, e ad un certo richiamo si riporterà integro e immutato sulle posizioni rivoluzionarie e lotterà per le conquiste supreme. sarebbe un fatto di volontà, di energia, di eroismo rivoluzionario (ed eravamo noi gli accusati di volontarismo, di eroicismo, e così via!...) quello di uscire incolumi dalle sedute dei parlamenti borghesi e dalle manovre di corridoio, dal bazzicare con riformisti, pacifisti, piccoli borghesi, dal fare con loro dimostrazioni, agitazioni e combinazioni politiche e perfino elettorali. Ritornati noi coi nostri partiti sul tagliente del rigore rivoluzionario, la massa intera ci avrebbe seguito sul terreno della insurrezione e quei partiti opportunisti sarebbero stati ridotti al lumicino e spazzati via.

Rispondemmo che il partito è a sua volta un effetto delle situazioni storiche e dei fatti sociali, che la sua stessa azione lo influenza e deforma, e che in un solo senso in esso si «rovescia» la praxis, conservandogli una costante volontà e scienza programmatica, ad un patto solo: che in ogni momento, senza la minima parentesi, alla luce del sole e senza eclisse alcuno, esso difenda la rigorosa incolumità della sua teoria, che si tutela non dai suoi archivi segreti ma dalle sue attitudini e comportamenti visibili a tutti, e quella della sua organizzazione gelosamente continua che lo tiene inconfondibile con ogni altro aggruppamento e soprattutto coi famigeratismi affini.

Confrontando tale teorica prova coi fatti che accadevano attorno a noi in quelle fervide fasi, dicemmo che il baratto dei principi e l'ibridismo dei confini avrebbero sortito gli opposti effetti: prevalere dei partiti opportunisti e decadere del partito tra le masse, in primo tempo, degenerazione in un secondo tempo del partito stesso al livello di quelli opportunisti e controrivoluzionari. Si parlò allora di pedanteria e dogmatismo. oggi la questione si pone come sperimentale e concreta: a chi ha la storia dato ragione?

Un altro contrasto tra le due posizioni sta nella questione del giudicare le situazioni. Si parlò sempre di nostra impazienza e di ottimismo sulla vicinanza della rivoluzione. In qual misura questi siano «errori» più volte si è discusso. Ma in effetti noi dicemmo soltanto che il partito non aveva motivo di escogitare espedienti e trucchi nuovi, solo perché la rivoluzione sembrava allontanarsi. I documenti mostrarono alla riunione che fin dal 1920 noi non avevamo dichiarata sicura la vittoria dell'onda rivoluzionaria  nel primo dopoguerra. Noi ci preoccupammo, è certo, del fatto storico, che giudicammo tra i primi ineluttabile, che nel 1914-18 la rivoluzione aveva sbagliato un grande appuntamento con la storia, come lo aveva per Marx sbagliato nel 1848. In effetti questa partita la perdemmo nel 1914 quando la classe proletaria affogò nel nazionalismo con la maggioranza dei suoi partiti. Catastrofe lunga a riscattare.

Ma prendemmo soprattutto a preoccuparci che in un tale insuccesso, lungi dal guadagnare nuova esperienza e forza futura, perdessimo anche il nerbo del partito rivoluzionario e del suo metodo.

E' facile e anche troppo trovare nuovi rivoluzionari quando la rivoluzione avanza.

Il problema era invece allora quello di non perderli, oltre che quantitativamente, anche qualitativamente, quando la rivoluzione si allontana. E' questo che può forse giungere ad evitare la volontà di un partito: ché capovolgere le forze storiche, da cui è fatto vivo, non può, per noi marxisti, assolutamente.

Questo fu cercato allora di salvare. ma anche questo, vergognosamente, e non riparabilmente che in tempo vieppiù lontano, fu allora perduto.

E ciò non viene riesaminato per accusare, ma per preparare. Meno che mai, infine, per menarne vanti di vivi e di morti: nella sbornia di questi sciocchi mezzi, sta in buona parte l'effetto disfattista che rovinò sulla rivoluzione.

 

il programma comunista, n. 1, 7-20 gennaio 1956