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archivio > Archivio sulla sinistra>Nostri ghetti di emigranti (il programma comunista, n. 13, 27 giugno - 11 luglio 1963)

aggiornato al: 06/02/2009

il programma comunista, n. 13, 27 giugno - 11 luglio 1963

L'articolo che riproponiamo questa volta ci offre una immagine viva e cruda, usando ampi brani del giornale torinese La Stampa, della situazione, negli anni della metà del secolo scorso, degli immigrati dal Sud  in cerca di lavoro nelle grandi città e nelle grandi fabbriche del Nord.

Oggi la situazione, a cinquant'anni di distanza, è peggiorata: l'emigrazione non è più un flusso all'interno delle nostre frontiere, ma la spinta di una marea umana che, dopo viaggi allucinanti, giunge nel nostro territorio. Qui viene trattenuta in campi di concentramento prima di essere rispedita a casa, o, nell' ipotesi migliore, prima di essere immessa in un ciclo di produzione e di sfruttamento forsennato, senza alcuna garanzia e alcun diritto.

Il razzismo, sempre latente o presente, dilaga e si promulgano leggi in stretta continuità con il vituperato fascismo liberticida dei buoni  vecchi tempi ed il razzismo di sempre.

Per ultima cosa, oggi si sta approvando una legge secondo la quale i medici dovrebbero fare anche i  poliziotti e le spie e denunciare ogni malato che risulti clandestino cioè non in regola con il permesso di soggiorno!

Questa è la civiltà che ci offre questo mondo all'inizio del secondo millennio a cui rivolgiamo tutto il nostro schifo e a cui dedichiamo la frase con cui  inizia la nostra "home-page":

Vorremmo che alle porte di questo mondo borghese di profittatori oppressori e sterminatori urgesse poderosa un'onda barbarica capace di travolgerlo....

 

 

Nostri ghetti di emigranti

 

Bisognerà pure, un giorno, prendere in esame dal nostro punto di vista e coi nostri occhi  il problema delle condizioni di vita create dal miracolo economico alla manodopera meridionale emigrata nel Nord per sfuggire alla miseria e trovatasi quassù a gustare le delizie del grande capitalismo industriale; manodopera ultra sfruttata sul luogo di lavoro, ultra sfruttata dai proprietari di  «case» o di autentiche baracche (le bidonvilles non sono un fenomeno soltanto francese, né abitate soltanto da manovali algerini),  e per soprammercato circondata da uno stato d'animo tendenzialmente razzista germogliante nelle «civilissime» popolazioni nordiche e serpeggiante, ahinoi, perfino in ambienti proletari e, di certo, almeno nell' «aristocrazia operaia».

Per ora, limitiamoci a qualche documentazione di fonte borghese «benintenzionata» di quelle cioè che si sono accorte dell'esistenza di un «ghetto degli immigrati» e se ne scandalizzano per via del prestigio cittadino o della morale. La Stampa del 2 giugno getta un'occhiata sugli aspetti meno clamorosi del fenomeno parlando  di una «locanda» nel centro di Torino:

«Vi dormono ogni notte almeno 150 uomini, quasi tutti immigrati, gente che è venuta a Torino spinta dalla miseria, e che qui sta lottando per conquistare un posto di lavoro e un pezzo di pane per i figli rimasti al paese. Ma quanta fatica e quanti sacrifici. Certi manovali non prendono più di 230 lire all'ora. A sera, stanchi, sudati, sporchi rientrano in questa specie di abituro dove pagano per una notte, 210 lire. Le stanze più piccole contengono tre letti, le più grandi quindici o venti. In un locale può starci, oltre i letti, al massimo un comò o un armadio, tutti mobili di 30-40 anni fa, sgangherati, sfondati,inservibili.

«Se uno dovesse descrivere con accuratezza e verismo le condizioni igieniche di questi locali, turberebbe troppo il lettore [non, non «turbatelo», per carità!]. Bisogna limitarsi a qualche accenno: le lenzuola e le federe vengono cambiate una volta ogni trenta giorni; la stoffa dei materassi e dei cuscini è nera della sporcizia di chissà quanta gente; di notte, quando le luci sono spente, c'è ovunque l'assalto delle cimici: escono dagli interstizi delle reti, dalle fessure dei muri e del pavimento, diventano la dannazione di chi vorrebbe dormire. Una decina di giorni fa il titolare della licenza ha acquistato, in blocco, una partita di materassi dei quali un'altra locanda di questo tipo aveva voluto disfarsi: sono ancora più carichi di cimici di quelli che hanno sostituito.

«In tutte le stanze, ma specialmente nelle camerate, il tanfo è insopportabile, viene dai letti, dai muri, dal pavimento, dagli abiti sporchi. Questa gente  che può soltanto lavarsi la faccia, nei quattro o cinque rubinetti che devono servire per tutti.

«Otto giorni fa le camere sono state disinfestate: una spruzzata che ha lasciato le cose esattamente come prima. E può darsi che sia l'unica operazione igienica dell'anno: nel 1962, infatti, le stanze furono disinfestate una volta sola. C'è un uomo che vive in questa locanda da 36 anni. Adesso ne ha 72 ed è mutilato di una gamba dal 1911. Riceve un po' di assistenza dall'Eca, tanto per pagare il dormire, per il resto si arrangia, mangia come può, quando ne trova. A parlare della sua vita passata fra queste mura si mette a piangere: «Che tristezza - dice -sapete!». E' facile capire che ha ragione.

«La locanda di cui parliamo non è l'unica, a Torino: ce ne sono in Borgo Po, in San Donato, in Barriera di Milano, tutte su questo piano di miseria, di squallore e di assenza completa di igiene. E' quasi [!!!] incredibile che tanti immigrati debbano sottostare a queste situazioni così degradanti, per trapiantarsi dal Sud al Nord, per inserirsi nel lavoro delle nostre fabbriche».

E, dei lettori avendo espresso la speranza che si trattasse di un'eccezione, ancora la Stampa dell'11 giugno:

«Dobbiamo deluderli. Locande come quella ce ne sono altre. Abbiamo fatto un giro per visitarne alcune. La prima che abbiamo visto, nell'Oltrepò, può stare alla pari con quella descritta: «oggi non si fa credito, il letto viene pagato in anticipo» c'è scritto sulla porta della custode.

«La casa è vecchissima, forse una volta era una cascina, le 20 camere sono sparse un po' dappertutto, nei tre piani e nelle soffitte, al di qua e al di là del cortile. I letti sono un centinaio,  sgangherati, sporchi; per rimetterli in ordine, al mattino, ci pensa una donna sola; è facile intuire con quale cura potrà dedicarsi alle pulizie. La tariffa è di 230 lire per notte e dà diritto al cambio delle lenzuola una volta al mese. «Cimici?» «Non me ne parli - dice uno degli ospiti -;certe notti non si dorme, sembrano più accanite del solito, bisogna camminare avanti e indietro per la camera perché a letto non si può stare. Verrebbe voglia di dar fuoco a tutto.» Ma la donna della pulizia ci rassicura premurosa: «Tutto in ordine, parassiti in casa nostra, nient'affatto».

«In Borgo san Donato c'è una locanda con una ventina di camere, 60 letti: la casa è a due piani, vecchia, ma compatta, forse i parassiti non ci sono. I servizi igienici sono scarsi per tanta gente e non sempre sono usati come l'educazione insegnerebbe [!!!]. La tariffa per notte varia dalle 250 alle 275 e 300 lire a seconda del numero dei letti riuniti nella stessa camera.

«Nel centro della vecchia Torino, in un palazzo settecentesco che fu di nobile fattura, c'è una di queste «case d'alloggio». Le camere sono 14, i letti 52. Gli ospiti dicono che ai parassiti soliti che abitano nei letti e nelle crepe dei muri si aggiungono, di notte, grossi topi che entrano per i buchi delle porte. La tariffa si aggira sulle 400-450 lire per notte: siamo in pieno centro e le comodità  [un po' di ironia ci vuole, per non «turbare» il lettore] bisogna pagarla.

«Nello stesso quartiere c'è una locanda che ha 16 letti, due per camera, e la tariffa di 350 lire, ma questo, rispetto all'altro, è già un ambiente diverso, dà l'idea di un appartamento: nell'ingresso c'è anche la specchiera dorata, che vuol conferire un tono dignitoso all'abitazione...».

E così via La Stampa, che sembra ignorare le baracche di periferia e pensa solo al «decoro» del centro urbano, spera («sarebbe augurabile») che l'autorità intervenga. Gli emigranti lo sperano sotto tutti i cieli da oltre un secolo: campa cavallo...

Tutto questo, poi, avveniva in forme ancor più «scandalose» nell'anno centenario della famosa unità italiana. Senza dubbio, i lavoratori meridionali, capitati a Torino in quei giorni di grancassa avranno potuto farsi un'idea concreta delle delizie e della generosità della patria «conquistata» cento anni fa!

 

il programma comunista, n. 13, 27 giugno - 11 luglio 1963