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archivio > Archivio sulla sinistra>Fremono le natiche assessoriali, (battaglia comunista, n. 9, 1 -14 maggio 1952)

aggiornato al: 14/02/2009

battaglia comunista, 1 - 14 maggio 1952

Uniamo in questo inserimento due articoli apparsi nello stesso numero del giornale Battaglia comunista del 1952. Entrambi sono dedicati agli "assessori", ai membri delle giunte periferiche: regionali, provinciali e comunali.

L' apparentamento di cui si parla è (come dice il vocabolario): l' accordo fra partiti politici per la presentazione di liste elettorali comuni allo scopo di evitare dispersione di voti. Il metodo, in voga il secolo scorso, è tuttora valido e ampiamente praticato anche oggi, d'altra parte "centri di affarismo" sono anche le periferie...

Non meravigliamoci quindi delle pratiche, nauseabonde e vomitevoli, dei nostri politici di oggi (abbiamo poco spazio per l'elenco dei nomi e delle malefatte): seguono dei già praticati e buoni esempi.

Teniamo presente, mai che questo venga a mente a qualcuno, che, come dicevano i nostri vecchi,  "El defeto xe nel manego", e cioè che tutti i partiti del nostro mondo parlamentare e democratico sono apparentati tra di loro.

 

 

Fremono le natiche assessoriali

 

 

Nessuno più di un candidato alla poltrona assessoriale (non parliamo neppure di quelle fatali di Montecitorio) è suscettibile di morbosa permalosità. La infezione elettorale che assale ambo i sessi, in tutte le età ma specialmente nell'epoca della menopausa, è un male che ama celarsi, come la sifilide o la rogna. Perciò, chi non vuole attirarsi addosso la grossa bava sputata dai candidati, attuali e futuri, alle cariche elettive, deve evitare di parlare di argomenti che non siano quelli impersonali e nobili del progresso civico, dell'incremento del benessere popolare, e soprattutto, del vantaggio procacciato alla diffusione dell'Idea. Esprimendo il parere che il candidato all'assessorato deve essere affetto da varici dei vasi sanguigni dell'encefalo, perché si illude di segnare un fatto storico adagiando le sue determinanti natiche sulla poltrona assessoriale (o parlamentare) significa fare della propria persona bersaglio ai bavosi attacchi. Ma noi corriamo imperterriti questo rischio, dato che siamo difesi dal più impermeabile degli scafandri: il profondo disprezzo.

Perché queste amare considerazioni? Lo spunto ci viene da quanto accade nella punta estrema dell'italica penisola e, ancora più a sud, nell'isola dei picciotti. Qui lo schifo che imperversa in casa nostra è massimo. A parte il fatto isolato di qualche manica di esaltati, cui le emorroidi fanno fare salti, che si presentano al pecorume elettorale gridando: «Siamo contro tutti», e poi abbisognerebbero proprio dei voti di tutti per arraffare la poltrona che alle loro emorroidi si addice, qui, tra il mar Tirreno e il mar Jonio, succedono casi davvero incredibili di elettorali apparentamenti.

Negli scorsi numeri avevamo dato notizia della fondazione avvenuta in una birreria di Palermo dei Gruppi di Azione Monarchici Popolari (G.A.M.P.), che perseguono un programma filostaliniano. Ne demmo anche il nome del massimo esponente: l'avv. Oddo Ancona, ex vice sindaco di Palermo. La notizia era riportata dalla stampa di tutta Italia, tranne che da L'Unità. Allora concludemmo che se il giornale di Togliatti non si peritava di smentire la collusione monarco-stalinista, questa era un fatto reale. Meglio tardi che mai, L'Unità di domenica 20 aprile, pubblicava un articolo in prima pagina, in cui si leggeva della costituzione in Palermo di una lista, capeggiata dall'on. Cipolla, ex procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Veramente il giornale... della Rivoluzione antiborghese metteva in chiaro che si trattava solo di un Comitato di iniziativa, cui, sulla falsariga di Nitti, competeva la compilazione della lista. Accanto a questa lista scenderà in campo (bum!) quella che avrà per contrassegno l'effigie di Garibaldi e raccoglierà, già avete capito, i nomi delle illustri natiche del Blocco del Popolo social-comunista. Ora, nella lista capeggiata dall'esimio magistrato on. Cipolla, entra, come riferiva la citata Unità, insieme al gen. Consorte, al col. Venturi, al rag. De Marines, presidente della libera Associazione dei commercianti e altri illustri nomi, entra dunque anche il  nostro avvocato Oddo Ancona, capo dei Gruppi di Azione Monarchica Popolare. Finalmente una conferma. Ora che L'Unità l'ha detto, possiamo stare sicuri di non aver fatto false illazioni. In Sicilia, stalinismo e monarchismo  si apparentano. I fessi siamo noi che restiamo vecchie zitelle.

Ma il ballo di S.Vito delle natiche assessoriali non è una esclusività di Palermo, come le cassate. Se persino gente che è invecchiata nella lotta alla democrazia borghese è presa dal marasma senile e si illude ad un tratto con dongiovannesca spavalderia di poter conquistare i cuori degli elettori e delle elettrici, racimolando una lista di spostati, ciò vuol dire che l'epidemia è dilagante e incurabile. Potremmo parlare di quel che succede in Calabria, ad es., o in Puglia, o nel Casertano, vedremmo che dappertutto lo spettacolo è identico. Preferiamo indugiare ancora nel lazzaretto elettorale di Sicilia.

«E' tipico il caso del comune di Bagheria, grosso comune del palermitano, al centro degli orti e degli agrumeti, i cosiddetti «giardini». Qui domina una varietà particolare della mafia, la «mafia dell'acqua», che trae il suo potere dal dominio dei pozzi di irrigazione. Questi gruppi di mafiosi, tradizionalmente legati agli uomini del partito liberale, si sono impadroniti della locale sezione democristiana estromettendo, attraverso regolare congresso, i dirigenti cattolici. Così a Bagheria, la D.C. esiste ancora di nome, ma di fatto i democristiani sono stati messi alla porta. Naturalmente ciò ha provocato una violenta reazione in tutti gli strati della popolazione  tanto che si è formata una  Unione Democratica borghese contro le cricche clericali e mafiose  alla quale hanno aderito proprietari di agrumeti, esportatori, professionisti e - fatto particolarissimo - persino la locale sezione del partito Monarchico. Ma la cosa più interessante è che l'Unione ha posto al centro del suo programma la richiesta di riallacciare rapporti commerciali con la Unione Sovietica e la priorità delle spese di pace rispetto al riarmo».

I monarchici di Stalin, o i comunisti di Umberto, se preferite, non se ne stanno con le mani in mano. Il passo è tratto da una corrispondenza sicula di Alfredo Reichlin, pubblicata su L'Unità dell'11 aprile. Se poi avrete letto L'Unità  del 19 aprile, avrete appreso che«un po' dovunque si sono svolti e vanno svolgendosi convegni unitari della gioventù che hanno visto la partecipazione di giovani cattolici, comunisti, socialisti, missini, indipendenti, riuniti per discutere i comuni problemi della gioventù». L'Unità non lo dice, ma noi sappiamo quali problemi questi poveri giovani hanno discusso e discutono, e cioè come soddisfare la irresistibile voglia dei candidati di sedersi alla mangiatoia assessoriale.

Ora lasciateci terminare con una invettiva, sebbene allo scopo servirebbe una sonora pernacchia, come solo si sanno fare a Napoli. E' logico che ci indirizziamo a tutti i candidati all'assessorato, compresi ovviamente gli sciagurati rimbambiti che si presentano nel bordello elettorale con i simboli nostri, vogliamo dire del proletariato rivoluzionario. Diciamo loro: voi non siete gli oppressori del proletariato, siete troppo miserabili per poterlo essere. Siete i pidocchi che strisciano sul Prometeo proletario incatenato. Per disperdevi non occorreranno, quando il tempo verrà, le cannonate. Basteranno poche spruzzate di D.D.T. Per ora ingrassatevi pure con la nettezza urbana e lo spurgo municipalizzato delle cloache, se lo potete.  

 

 

Battaglia comunista, n. 9, 1 - 14 maggio 1952

 

 

 

 

Apparentabili tutti gli aspiranti alla greppia

 

 

La democrazia è una porca prolifica che figlia costantemente il totalitarismo. Chi non è in grado di capirlo, rischia di smarrire il senno nella vana fatica di afferrare il senso del caotico appaiarsi e spaiarsi, degli abbracciamenti e delle scissure, degli apprezzamenti e dei divorzi scandalosi dei partiti impegnati nella cuccagna elettorale.

Che significa l'alleanza palese e sfacciata del P.N.M. e del M.S.I., nonostante il fatto che tra le ideologie monarchiche e le «nostalgie» neofasciste ci siano le ombre del 25 luglio, dell'imprigionamento del duce, della fuga a Pescara, della Repubblica di Salò?. Il povero fesso dell'elettore si domanda se il feroce odio dei littori per la Monarchia traditrice e per i «badogliani» sia anche esso un fantasma o un fatto reale. E si prende sconfortato il capo tra le mani leggendo il nome di Graziani e di Valerio Borghese nel campo degli alleati elettorali di coloro che rivendicando la monarchia dei Savoia, mostrano con ciò di approvare il colpo di Stato antifascista del re ex-fascista e la messa al bando proprio di uomini che, come Graziani e Borghese, rappresentarono il repubblicanesimo dell'ultima ora del Governo di Salò.

Che significato ha il torbido comportamento politico del partito monopolizzatore del potere statale, la Democrazia Cristiana, la quale, mentre recita in parlamento la commedia della repressione del M.S.I., e la spinge fino al punto di rifiutare formalmente l'alleanza elettorale col P.N.M., perché questi rifiuta a sua volta di dissaldarsi dal M.S.I., e sotto sotto poi, secondo la formula gonelliana del «caso per caso», fa blocco coi monarchici, missini, repubblicani, liberali, socialdemocratici, indipendenti di ogni risma, camuffando il minestrone con l'anonimato delle «liste civiche»? Il povero elettore che , autosuggestionandosi, crede davvero che la scelta degli amministratori del Comuni dipenda da lui, cerca invano di sciogliere il rompicapo e non riesce ad escludere nessun partito o lista dalla definizione che gli sale irresistibilmente dal cuore: «Una manica di fetenti». Il povero elettore, più infessito che mai, sente l' «obbligo morale» di eleggere, perché gli hanno fatto ingoiare l'enorme balla che dal suo voto dipenda la salvezza della patria, della «civiltà», della famiglia. Sente l'obbligo di scegliere fra le correnti e i partiti politici in lizza e s'accorge disperato quanto sia arduo lo scegliere tra schieramenti che, ad onta delle reboanti polemiche che sembrano contrapporli come il giorno e la notte, qui si presentano separati, là fanno blocco palese od occulto, a seconda che la mangiatoia comunale da spartire sia Roccacannuccia o Vattelapesca.

L'elettore vorrebbe per caso imbarcarsi nella temeraria impresa di interpretare gli apparentamenti e le tresche in base alle distinzioni ideologiche e, peggio, programmatiche, dei partiti in lizza? Mai più. Se le dottrine e i programmi di azione, cui le direzioni e i gruppi parlamentari assumono di ispirare la loro linea politica, si prendessero a criterio discriminante, lo stesso principio grottesco dell'apparentamento elettorale risulterebbe quella solenne coglionatura che esso è. Osservate il poker elettorale del P.C.I. Lasciamo da parte, per carità, le sue proteste di sudditanza alle dottrine marxiste della lotta di classe, ignoriamo che la  Direzione del P.C.I. si autodefinisce mille volte al giorno lo stato maggiore dell'esercito sociale dei proletari, dei contadini poveri, e anche dei pidocchiosi ceti medi, in lotta senza quartiere con i «gruppi monopolisti»; non teniamo conto, per comodità polemica non nostra ma degli stessi piccì, dell'abissale distanza ideologica e politica tra il fascismo e la democrazia popolare; teniamo presente solo il fatto che il P.C.I. milita nel campo degli avversari dell'America, cui tutte le calamità e le infamie della conservazione borghese vengono attribuite, e osserviamo poi come i candidati  stalinisti cercano affannosamente l'appoggio e l'alleanza proprio degli uomini e delle clientele legate al partito americano. Dopo ciò, ci dica la bestia votante che ne è avvenuto dei principi e delle lotte antiamericane.

Non parliamo neppure degli altri esemplari della fauna elettorale della minutaglia accattona dei repubblicani storici o mazziniani, dei liberali, delle cocottes socialdemocratiche affittantesi al miglior offerente. Respinsero indignate il patto proposto dalla Direzione della D.C. perché, secondo loro, non tagliava netto coi monarchici di Lauro: più precisamente, i repubblicani si lasciarono sedurre non senza rimorso, i liberali pagliaccescamente protestarono e si aggiustarono il reggipetto per farsi pregare, i socialdemocratici rifuggirono decisamente (!!) dall'atto impuro ritenendolo troppo impuro in confronto naturalmente al prezzo offerto da Gonella. Ebbene, tutti costoro, oggi, dopo il gran rifiuto dei monarchici di Lauro di fare le corna ai feroci saladini del M.S.I., ritornano giubilanti e purificati agli amplessi collettivi con i clericali, chiudendo un occhio sul fatto che nell'orgia c'entra un'altra specie di monarchici, quelli cioè che più furbi del velleitario Lauro, sanno che Umberto II potrebbe ritornare al Quirinale senza che ci abbisogni una Waterloo della Repubblica dato che la materna Costituzione prevede il referendum istituzionale...

La conclusione, l'unica possibile, cui si arriva è, ridicolaggine delle sudicerie democratiche, che TUTTI I PARTITI IN LOTTA SONO APPARENTATI TRA DI LORO. Esageriamo? Allora, citate un solo partito che, in almeno una circoscrizione, non abbia bloccato con rappresentanti palesi o monetizzati di partiti proclamati avversari. La Democrazia Cristiana? il P.C.I.? il M.S.I.? il P.N.M.? il P.S.D.I.? il P.L.I.? Ah, non sapevate che a Catanzaro la locale sezione liberale aveva deciso l'apparentamento con le liste del P.C.I., attirandosi le aspre rampogne delle superiori gerarchie e della stampa filogovernativa? E i Gruppi di azione monarchici popolari, cioè i monarchici affittati al P.C.I. dove li mettiamo? L'apparentamento non si realizza solo fra partiti avversari dello stesso blocco imperialista, ma persino fra russisti e americanisti. Le ferree necessità dello schieramento imperialistico impongono il mantenimento della cortina di ferro tra la duplice coalizione operante in Montecitorio, ciò è indubbio. Ma la tendenza generale degli apparentamenti sta a dimostrare che, come la cortina di ferro di ieri fra partigiani dell'Asse e partigiani dell'America-Russia non impedisce le collusioni odierne tra fascisti e antifascisti, così la ignominiosa commedia dell'antirussismo e dell'antiamericanismo non impedisce la confluenza, sia pure potenziale, accennata, a stento repressa o vergognosamente dissimulata, degli opposti campi.

Abbiamo detto che la chiave di tutti gli apparenti rompicapi elettorali deve trovarsi nella evoluzione totalitaria dello Stato. Posto che il totalitarismo realizza l'obiettivo di classe della borghesia di asservire completamente l'apparato statale ai propri interessi e bisogni generali, attribuendogli la funzione non solo di guardiano armato e di carceriere in difesa dell'ordine sociale costituito, ma anche di amministratore e gestore degli affari economici del capitalismo, ne risulta che il partito politico chiamato ad impersonare l'autorità dello Stato penetra in tutti i posti di comando, non solo politici, delle attività sociali, creando una rete di clientele monopolizzatrici, le quali conducono i loro affari, grossi e piccini, inserendosi strettamente nella zona di influenza del partito-Stato. Chi ne rimane fuori, male rosicchia, né ha possibilità di rimediarvi, giacché oggi non si conclude affare in cui non entrino i visti e i benestare, stilati o non su carta bollata, degli organi centrali o periferici dello Stato. E le amministrazioni comunali sono appunto organi periferici dello Stato, e, in quanto tali, centri di affarismo.

Se nessun ragionamento dottrinario, nessuna sottigliezza logica può spiegare gli strani connubi in funzione elettorale di partiti «nemici», e le miscellanee disgustose dei programmi, le necessità degli esclusi dalle succursali della mangiatoia governativa, che sono oggi i Comuni, spiegano tutto. Spiegano perché Graziani e Borghese si apparentino con i monarchici responsabili della destituzione del partito fascista; spiegano perché Togliatti e Nenni portino serenate al M.S.I. e ai monarchici, per non parlare degli altri partiti; spiegano perché si progettino, si minaccino, si realizzino localmente sante alleanze fra tutte le clientele locali contro i clericali. Costoro hanno il monopolio della mangiatoia; è naturale che gli esclusi trovino appunto nella loro situazione di esclusi il tratto comune, superiore ad ogni distinzione ideologica e politica, e il motivo imprescindibile della loro alleanza. Ciò è tanto vero che appena assicuratosi l'impegno del partito dominante di fare un po' di posto a mangiare, le discordie e le minacce cessano d'incanto da parte degli affamati più fortunati, e si sfoderano le «invalicabili frontiere morali e politiche», le «nette discriminazioni», «le insopprimibili delimitazioni di principio», che si riscaraventano addosso a coloro che sono rimasti fuori dal carrozzone. E questi che fin ad un'ora prima avevano sperato di entrarci, non possono fare che lo stesso. Apparentati, o apparentabili, sono tutti gli esclusi dalla mangiatoia governativa.

 

Battaglia comunista, n. 9, 1 - 14 maggio  1952