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archivio > Archivio sulla sinistra>Rinfrescare la memoria (I parte), (Battaglia comunista, n. 1,2,3 gennaio - febbraio 1950)

aggiornato al: 30/07/2009

Battaglia comunista, n. 1,2,3 1950

Nei primi numeri di Battaglia comunista del 1950 compaiono una serie di scritti intitolati Rinfrescare la memoria  che si soffermano sulla politica controrivoluzionaria condotta dal Pci dopo la fine della guerra. E' un elenco di misfatti ed infamie che già allora, a soli cinque anni di distanza, si tendeva a dimenticare (immaginiamoci oggi che di anni ne sono passati una sessantina).

Ricordare quei fatti serve a... rinfrescare la memoria appunto e a mostrare ancora una volta a chi rimpiange (e ci riferiamo a quel multicolore assembramento che una volta faceva riferimento a rifondazione comunista), in un ricordo disastrato, quel partito, quanto esso fosse anticomunista, nazionalista, antiproletario e servo della borghesia.

La serie di articoli finisce con l'ottava puntata, al termine della quale pur essendo presente un "continua" non c'è  seguito.

Noi dividiamo gli otto articoli in tre parti e iniziamo a riproporli.

 

Rinfrescare la memoria

 

Molte volte, discutendo con proletari iscritti al P.C.I. che da una parte mostrano un aperto risentimento di classe di fronte alla evidenza del servigio reso al capitalismo dalla politica socialcomunista ma dall'altra non riescono a connettere questa loro istintiva reazione a una visione generale dei problemi della lotta proletaria, accade di sentirsi dire:«Il guaio è che fra i proletari manca la coscienza!».

Lasciamo andare l'ingenuità della formulazione: ma, ammesso che una coscienza manchi chiediamoci dunque: che cosa si è fatto, dai famosi partiti del popolo per «formare una coscienza politica di classe?». Vogliamo, in altre parole, rivedere concretamente quella che è stata la propaganda, l'opera di educazione politica, svolta dalla «liberazione» ad oggi dalle forze «democratiche»?

1945-46: periodo della coabitazione e dell'armonia perfetta di tutti i partiti della democrazia italiana: ministro [presidente] Parri,  Nenni socialista e Brosio liberale vicepresidenti, Togliatti e Scoccimarro comunisti alla giustizia e alle finanze, e Gullo all'agricoltura, Romita socialista ai lavoro pubblici e Barbareschi al lavoro, De Gasperi e Gronchi democristiani all'industria e commercio, ecc. Erano gli uomini e le forze politiche che avevano fatta insieme la «guerra di liberazione», e si sentivano e proclamavano tutti antifascisti. Per dirla con Togliatti (Unità del 30.6.1945): «si è gelosi dell'onore della giustizia italiana e si è convinti della necessità che i giudici e le leggi debbano corrispondere a quello che è il senso morale del nostro popolo, perché vediamo solo in questo una garanzia di ordine e di difesa sociale».(Il «capo» comunista diventato difensore dell'ordine sociale: ma che bello! Le leggi e i giudici che «difendono» il popolo; i comunisti che difendono l' «l'onore della giustizia italiana»). «Rispettare la legalità democratica» era la parola d'ordine del momento: in nome di essa si abbandonavano le fabbriche, si cedevano le armi, si ricostruiva «la patria» e via discorrendo. Bisognava anche ricostruire le finanze: ci pensa Scoccimarro. Gli operai che oggi protestano per la tassa di famiglia leggano l' Unità del 1 agosto 1946: «Il regolamento sull'imposta di famiglia approvato all'unanimità dal consiglio comunale» e poco dopo la «esortazione e raccomandazione alla popolazione per la massima disciplina  ed il massimo senso civico nella denuncia dei redditi» (che diamine: bisogna ricostruire il patrimonio «comune» della Nazione!).

Superato il periodo spinoso della saldatura tra reggimento fascista e reggimento democratico, sotto con le elezioni! I comunisti di Togliatti educavano la «coscienza proletaria» alla nozione dell'imbroglio elettorale?  Tutt'altro. Si comincia con le elezioni in 1954 comuni: parola d'ordine dell' Unità 31.3.46: «per la libertà per il progresso per la vittoria del popolo». I nazionalcomunisti parlano di vittoria popolare attraverso le schede; non parlano di proletariato ma di quell'ente generico e comprensivo di tutti  (dagli operai ai bottegai e ai capitalisti «onesti») che si chiama  «popolo». Si prosegue con le elezioni alla  Costituente. Sull' Unità del 27.4.46, con relativa fotografia, Velio Spano scrive: «Alla vigilia della Costituente Gramsci è con noi!» e dall'insegnamento di Gramsci il P.C.I. trae l'insegnamento della «funzione nazionale della classe operaia, la rivendicazione della costituente come base e di un forte Partito Comunista come strumento della rivoluzione democratica in Italia».

Siamo sempre in tema di «educazione delle coscienze»: il comunismo diventa la sentinella della costituente, la classe operaia è una classe nazionale, il partito comunista realizza rivoluzioni democratiche! Si vota per la repubblica. Scrive a caratteri cubitali l' Unità: «La repubblica rinnoverà l'Italia» (infatti!): «essa è stata voluta dalle forze del lavoro dell'intero paese e sorse con saldi vincoli di unità respingendo il veleno della discordia» (6 giugno 1946). I comunisti sono i campioni della concordia nazionale (e vien da ridere a leggere: «La repubblica italiana base di nuova concordia»; «Il discorso di De Gasperi alla radio conferma il proposito di procedere nell'unità e solidarietà nazionale»). Meno male: sul numero del 6.6.46, si legge che il P.C.I. e la Camera del Lavoro di Milano partecipano alla celebrazione del 132 anniversario dell'arma dei carabinieri (non dimentichiamo che nelle elezioni al Comune, la federazione milanese del P.C. è andata con scritte come «Votate per i comunisti che vi ricostruiranno le chiese!»).

Fate un salto e sul «giornale del popolo» del 25.12.49 leggerete uno straziante racconto sui «poveri agenti» (di P.S.) che hanno dovuto sopportare «il grave fatto di pagare i piatti per la loro mensa».

La repubblica borghese è sorta, sentinelle i ... comunisti. Il 23 luglio 1946, dimostrazione di disoccupati a Milano: l' Unità li chiama provocatori ed irresponsabili mentre la polizia  «che è col popolo» si limita a sparare «per intimorire i più violenti tra i dimostranti» (la versione che di ogni scontro fra polizia e operai danno ora i democristiani rimasti soli al governo era la versione ufficiale del governo tripartitico). La CGL riconosce la necessità di «risanare» le aziende, preludio agli accordi capestro e alla tregua salariale.

Unità del 31 ottobre 1946: «Dopo due mesi di lavoro (!) della C.G.I.L. è stato firmato l'accordo per la tregua salariale», che «non si deve (!) risolvere per i lavoratori in un sacrificio». Poco più oltre, in occasione delle elezioni amministrative, ultimo turno: 24 nov., il P.C.I. è per «l'unità delle forze democratiche per la ricostruzione nazionale», mentre il 17 novembre la Unità  inneggia alla grandezza e forza  dell'amatissima Patria: «A tutti bisogna far capire nei termini della più corretta e cordiale amicizia, che vogliamo una Italia democratica e pacifica, ma indipendente e forte, consapevole del fatto che in Europa e nel mondo essa conta e vuole contare qualche cosa» (non sembrano discorsi sui colli fatali?).  Una curiosità: grande successo «comunista», Togliatti e Tito si sono incontrati (Unità del 22.11.1946) per risolvere il problema dei prigionieri italiani.

Così si andava «formando la coscienza di classe» del proletariato italiano.

 

(continua)

 

Battaglia comunista, n. 1, 1950

 

 

 

Rinfrescare la memoria

 

In un precedente articolo, sulla scorta delle dichiarazioni tattiche e programmatiche del P.C.I., si è dimostrato come, dal 1945 al 1946, i nazionalcomunisti abbiano gettato le basi della formazione di una «coscienza politica» patriottica, democratica, anticlassista ed anticomunista. Proseguiamo col 1947.

 

Siamo all'inizio del 1947, nell'età aurea delle «tattiche» a lunga scadenza. La conferenza nazionale di organizzazione del P.C.I. (Unità  del 7 gennaio 1947) parla delle «grandi realizzazioni del P.C.I. strumento al servizio dell'Italia e della democrazia». Secchia sottolinea: «Noi difendiamo gli interessi del paese, perché noi comunisti (?!) non abbiamo stimolato una sola azione, non abbiamo condotto una sola agitazione che non si conciliasse con gli interessi di tutti gli italiani» (compresi, evidentemente, capitalisti,strozzini, preti, ecc.). Naturalmente, quando si è «al servizio della patria» si è contro il pericolo rappresentato da ogni avanguardia rivoluzionaria: «Questi nemici, trotzkisti, pseudo-internazionalisti, pseudomarxisti integralisti, pur nella loro inconsistenza organizzativa, data la critica situazione italiana possono costituire un pericolo come veicolo della provocazione».

Servire la patria, dunque. Sull' Unità dell'8 gennaio, Scoccimarro aveva già scritto: «E' necessario difendere l'indipendenza del Paese. Oggi siamo arrivati al punto che, dopo una lunga lotta, siamo riusciti ad avviare la politica finanziaria del governo italiano per una nuova via. Il prestito chiusosi in questi giorni è stato il primo passo per questa via» (una bella via davvero, a giudicare dai risultati). Il vanto del neo-ministro delle finanze «comunista» è, fra gli applausi dei compagni, di «aver assicurato il pareggio del bilancio ordinario dello Stato italiano» (che vuol dire pompare casse dirette e indirette).

Alla stessa conferenza, terza giornata, Sereni: «La realtà è che, nel campo dell'azione ricostruttiva ed assistenziale, si sta realizzando in Italia, ad opera delle forze democratiche ed in primo luogo del nostro partito un grande fatto storico. Di questo grande fatto storico non è protagonista nessun ministro e nessun onorevole (senti che modestia!); sono protagonisti migliaia e decine di migliaia di uomini e donne, di umili donne del lavoro, di figli del bisogno e della lotta»; il grande fatto storico  è ... l'assistenza a carattere corporativistico. Fra pareggio del bilancio ed elemosina, avanti nella ricostruzione della patria. Conclude la conferenza il «migliore»: «Il P.C.I. non cadrà nella trappola che le manovre anticomuniste tentano di preparare nel suo cammino; il P.C.I. alle manovre di quei gruppi che tendono a spingerlo su posizioni estremiste senza via d'uscita risponderà mantenendosi sempre più fermamente sulla strada della democrazia e battendosi per spezzare le barriere che si vorrebbero porre allo sviluppo democratico del paese».

Sull' Unità del 19.1.47, nell'articolo di fondo: «Dove vai? Porto pesci» Togliatti scrive: «Ho detto ... dobbiamo fare non una politica ristretta di classe ma un'ampia politica nazionale; per il rinnovamento dell'economia italiana è necessario stabilire contatti e alleanze fra la classe operaia e le altre classi lavoratrici e queste alleanze possono e debbono arrivare fino a determinati gruppi delle classi possidenti e operose dell'industria e del commercio». Evidentemente, le «classi possidenti e operose» non avevano molta voglia di alleanze con la classe operaia se nello stesso numero si legge di disoccupati («sobillati da elementi provocatori») che assaltano la prefettura provvidenzialmente contenuti da carabinieri e celere (allora si diceva un gran bene di entrambi le armi). Aveva ragione Mario Montagna di scrivere: «Noi che abbiamo dato troppe prove del nostro patriottismo...» (Unità, 29 gennaio 1947).

Si apriva frattanto la prima crisi della coalizione Togliatti-De Gasperi. Velio Spano, augurandosi che la crisi si risolvesse con un nuovo governo tripartito, preannunciava in caso contrario che «un governo costituito da soli democristiani o dalla D.C. più elementi di destra non potrebbe avere che una vita di pochi mesi o di poche settimane, forse di pochi giorni». Proprio così ... di pochi giorni: come previsione non c'è male, per un santone tipo Spano.

 

(continua)

 

il programma comunista, n. 2, 25 gennaio - 8 febbraio 1950

 

 

Rinfrescare la memoria

III

 

Naturalmente, al governo insieme e insieme alla C.G.L. l'8.2.47 l' Unità stampa un manifesto contro l'iniquo trattato di pace, firmato dalla CGIL e da ... combattenti che dice: «Invitiamo i lavoratori italiani a sospendere ogni lavoro per 10 minuti». Poco dopo, è vero,  De Gasperi, tornato dall'America presenta «scorrettamente» le dimissioni (26 febbraio), ma riprende poco dopo le redini «assumendosi precisi impegni per la difesa della repubblica». E poiché siamo in tema di «difesa» ricordiamo le belle e nobili battaglie condotte in quel tempo per l'esercito («l'onore delle armi italiane difeso alla Costituente» da Longo). Unità del 25.2.47: «Noi siamo contro i responsabili che hanno portato l'esercito italiano non alla guerra ma al massacro». Meno male la guerra, ma il massacro! Le viscere dei «comunisti» di Togliatti sanguinano: «I capi hanno il compito e il dovere di preparare l'esercito per la guerra e per la vittoria, non per la sconfitta»: la distinzione fra guerra e massacro si tramuta in quella fra vittoria (o massacro dell'avversario) e sconfitta (o massacro dei connazionali). «Si dice che noi comunisti, noi partigiani, noi combattenti della guerra di Liberazione nazionale, siamo contro l'esercito. E' una menzogna e una calunnia!». Solo che i comunisti vogliono un esercito rinnovato: «Poniamo una questione molto più grande, la questione dell'avvenire del nostro Paese e del nostro esercito che vogliamo forte, popolare e democratico ... tre aggettivi  coi quali marcia sempre la vittoria... Riorganizzazione e unificazione della Forze armate italiane che devono essere e saranno il baluardo delle sorti della democrazia della repubblica e della Patria» (suona il Piave...).

Come si vede, pareggio del bilancio, concordia governativa nonostante le prime burraschette, disoccupazione in aumento, alleanza con le classi «possidenti operose», lotta contro l' «ingiusta pace», e infine, per chiudere il bilancio: «Necessità di avere un esercito che rappresenti il baluardo della repubblica e della democrazia». Si stava formando così una «coscienza comunista», cioè patriottica, democratica, ricostruttiva, tutto l'opposto di quel che comunista è. Questione di tattica, naturalmente...

Marzo 1947. Mentre già si delineano le posizioni di rottura del fronte democratico, i giri di valzer democristiani-nazionalcomunisti continuano. De Gasperi dichiara il 1.3 (Unità di quella data): «siamo uomini che ci siamo incontrati in un momento difficile ed essi (i comunisti) ci hanno detto: «Da qualunque parte voi siate diretti, in questo difficile momento, in questo periodo di transitorietà dobbiamo essere uniti su questo fronte, cerchiamo di esserlo insieme per salvare il nostro paese, per dare al nostro popolo la possibilità di salvarsi, questo rispettando le regole della democrazia e della libertà! » Tale è il nostro accordo coi comunisti, la volontà che ci unisce». I Frutti di questa «transitoria alleanza» sono noti, oggi, a tutti gli operai italiani.

Ma si sa, stava nascendo la  magna charta della costituzione italiana, e quei mesi sono tutti infiorati di patriottici discorsi, e in nome del nascente capolavoro si fronteggiano con la polizia armata le manifestazioni dei disoccupati e si «lavora insieme... per il bene della patria», con De Gasperi. Parole di Togliatti: «Sovranità popolare, unità della nazione e progresso sociale devono essere i cardini della costituzione italiana» (Unità del 12.3.1947). E avanti: «L'unità nazionale è stata mantenuta, e l'unità nazionale è un bene prezioso, soprattutto per un paese che la possiede da pochi anni. Per conquistare questa unità nazionale il nostro paese ha impiegato secoli di lotta di travaglio e di sofferenze.. Tutti i popoli vicini ci umiliarono perché non eravamo uniti, perché non avevamo un esercito ed uno stato unitario. Dobbiamo dunque stare attenti e non perdere questa unità». I «comunisti» sono diventati le vestali della storia patria, dell'esercito nazionale, del «bene prezioso» della unità nazionale.

E naturalmente di tutto il resto, compresa la Chiesa, Pajetta nell' Unità del 21 marzo: «noi comunisti vogliamo trovare la via perché la conciliazione non sia un nome vano. Noi non possiamo dimenticare la nostra storia, in cui tanta parte ha avuto la Chiesa... Nessuno voterà contro il papa come nessuno voterà per il Papa. Alla costituente si vota solo per o contro l'Italia». E l' Unità del 26 marzo: «Per la pace religiosa e l'unità dei lavoratori i comunisti accettano di votare l'articolo 7», e Togliatti «Non vogliamo che sia turbata la pace religiosa nel nostro paese... Anche nel nostro paese esistono cittadini cattolici e noi ci sentiamo gli ascoltatori della loro coscienza e la difenderemo come partito democratico moderno e progressivo...».

E la più bella: «Non v'è contrasto fra un regime socialista e la coscienza religiosa di un popolo... Non vi è nemmeno contrasto fra un regime socialista e la libertà religiosa della Chiesa cattolica». Per cui, logica conseguenza, votando l'articolo 7, «siamo convinti di compiere un dovere verso la classe operaia, verso la classe lavoratrice, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la repubblica, e verso la nostra patria» (quanti doveri in una volta, povero Palmiro!).

Intanto, di vittoria in vittoria si andava avanti. Forse qualcuno oggi non ricorderà ma il 23 aprile 1947 le elezioni siciliane davano la vittoria al blocco popolare e organi politici e persino sindacali indirizzarono manifesti agli italiani annunciando che nell'isola «si era vinto» e che da questa vittoria «L'Italia aspettava nuove garanzie di libertà e di progresso» (Unità  del 20 e 23 aprile 1947). La vittoria la si vede oggi; ma basterebbe saltare all'aprile dell'anno dopo per convincersi di «come si era vinto»: 35 contadini e dirigenti sindacali assassinati da mafiosi.

 La situazione della classe operaia, nonostante tante vantate «vittorie» peggiora di giorno in giorno: il 30 aprile manifestazione di contadini armati di randelli a potenza.  L'Unità parla di provocazione: 1 morto e 14 feriti. Il 3 maggio, dopo i morti di Piana dei Greci, scrive l' Unità «Abbiamo  la forza per far valere nella legalità il nostro diritto» (ma intanto i morti sono morti).

 

(continua)

 

Battaglia comunista n. 3, 8 - 22 febbraio 1950