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archivio > Archivio sulla sinistra>Amadeo Bordiga, Humanitas, (L'Avanguardia, 7 luglio 1917)

aggiornato al: 26/09/2009

L'Avanguardia, 7 luglio 1917

Ripubblicando questo bellissimo testo (originariamente apparso in «L'Avanguardia» del 7 luglio 1917) come esso apparve, introduzione compresa, nel primo volume della Storia della sinistra comunista, ritorniamo alla prima guerra mondiale.

Quanto scrive Bordiga si riferisce ad un episodio, allora clamoroso ma oggi completamente dimenticato e cioè all'assassinio di Karl Graf von Sturgkh, Cancelliere austriaco, il 21 ottobre 1916 con tre colpi di pistola nella sala da pranzo dell'hotel  Meisel und Schaden di Vienna ad opera di Friedrich Adler.

Friedrich Adler era già, prima di questo episodio, famoso: figlio di Viktor Adler, nume tutelare dei socialisti austriaci, era segretario del partito socialdemocratico austriaco oltre che un fisico quotato ed amico intimo di Albert Einstein con cui aveva studiato al politecnico di Zurigo (ed Einstein lo difese all'epoca del processo e della susseguente condanna).

Dopo il suo gesto di sfida contro la guerra Adler fu subito arrestato e poco dopo processato. Rifiutò una linea di difesa che si basasse sull'infermità mentale e si batté coraggiosamente su una posizione di rifiuto della guerra. Fu condannato a morte, pena commutata poi a 18 anni di reclusione, ma nel novembre 1918, dopo appena due anni di carcere,  in una Vienna in preda come tutto l'ex impero austro-ungarico e la Germania, a sussulti rivoluzionari, venne liberato. Ritornò ad essere (dal 1918 al 1923) segretario del partito socialdemocratico austriaco e rimase sempre, nelle varie traversie della sua vita, legato alla socialdemocrazia e all'Internazionale socialista.

Dopo la seconda guerra mondiale chiuse con l'attività politica e morì a Zurigo nel 1960.

Un quadro meno striminzito su di lui si può leggere in un capitolo (Un gesto di follia? La trasformazione di Friedrich Adler) del libro di  Paco Ignacio Taibo II, Arcangeli (Il Saggiatore, 1998).

 

 

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Humanitas

 

Era stato celebrato a Vienna il processo contro Federico Adler, figlio del vecchio marxista austriaco, purtroppo capo dell'opportunismo social-patriottico, per avere ucciso a revolverate il primo ministro Sturgkh. Il giovane Adler aveva voluto con quel gesto protestare al tempo stesso contro la guerra, il governo di guerra e il tradimento del suo partito. La sua autodifesa davanti ai giudici potette essere diffusa quasi integralmente in Italia. Federico Adler fu condannato a morte ma poi gli fu convertita la condanna in 18 anni di carcere.

La difesa non fu solo la prova di un raro coraggio davanti alla morte quasi certa, ma offrì occasione opportuna per rivendicare le questioni di principio sulla violenza nella dottrina e nell'azione marxista.

 

Federico Adler, nella sua professione di fede, per dimostrare che il suo atto di violenza non fu in contraddizione con l'aspirazione socialista ad una società basata sulla concordia e l'amore tra gli uomini, ha mirabilmente ricordato alcuni fondamentali concetti di Marx. Ed ha aggiunto: «Non dobbiamo illuderci di vivere nella società a cui soltanto aspiriamo...».

A questo punto la censura austriaca ci tronca l'esposizione del formidabile accusato. Ma la concezione tratteggiata da Adler brilla egualmente di viva luce: essa è quanto può esservi di più "ortodosso" e nello stesso tempo di più adeguato alla realtà, terribile realtà, cementata nel capestro dinanzi al quale egli ha difeso senza tremare le sue opinioni.

La guerra è per noi sub-umana. Ed anche la rivoluzione è sub-umana. Ma, mentre la prima lo è nel fine e nei mezzi, la seconda lo sarà soltanto nei mezzi che dovrà adoperare. Secondo Marx è con la rivoluzione proletaria che si chiude il periodo della preistoria umana, e quindi i proletari comunisti che preparano la rivoluzione sono ancora uomini dell'epoca sub-umana. D'altra parte, tra le classi sociali che si sono avvicendate sul teatro della storia, la classe lavoratrice moderna è la prima che abbia la coscienza delle finalità che vuole raggiungere.

Mentre le classi che l'han preceduta hanno compiuta la propria rivoluzione perseguendo illusorie mete ideologiche, ma senza aver nozione dei rapporti  delle forze produttive che determinano fondamentalmente la crisi sociale e politica, il proletariato possiede invece, nella teoria del determinismo economico, un'esatta diagnosi della società e della storia che vive.

I lavoratori socialisti del mondo intero sanno che lo scopo della loro rivoluzione sarà non solo l'abbattimento della classe oggi dominante, ma la abolizione del principio di proprietà privata dei mezzi di produzione che, nelle sue successive trasformazioni, ha sempre dato luogo al dominio e alla oppressione di una classe di uomini sul resto dell'umanità. Dopo il trionfo del proletariato, l'umanità acquisterà per la prima volta il dominio delle forze produttive, da cui fino ad oggi è stata dominata. La stessa borghesia capitalista onnipotente non può oggi sottrarsi alle ferree leggi economiche che scaturiscono dalla illogica ossatura del regime della produzione e degli scambi, e nell'attuale periodo di guerra i suoi sforzi per intervenire con leggi statali a dirigere i fenomeni economici non si risolvono che in una triste parodia di ciò che sarà il socialismo.

Solo nel regime comunistico le risorse della natura saranno dominate e guidate dall'umanità al raggiungimento di un semplice maggior benessere collettivo. La vittoria del proletariato segnerà non l'epoca di un nuovo dominio di classe, ma l'avvento della solidarietà e della uguaglianza umana. Perciò Carlo Marx poté dire a coronamento della sua gigantesca costruzione dialettica che la causa della classe lavoratrice è la causa dell'intiera umanità, e quindi che la lotta di classe proletaria è l'ultima delle lotte di classe, come la rivoluzione che abbatterà il capitalismo borghese sarà l'ultima rivoluzione.

Allora, ha ricordato Federico Adler, unica politica interna sarà il lavoro, unica politica estera sarà la pace.

Ma Adler è dunque, come tutti i comunisti, un uomo vivente nell'ambiente della «preistoria» pur avendo, come essi, la coscienza e la certezza di una futura società nuova e migliore; egli, che con Carlo Liebknecht può essere ritenuto uno dei migliori rappresentanti del moderno socialismo rivoluzionario marxistico - che non ha rinunziato ai suoi principi di fronte al cataclisma [censura] ma li vede in esso e da esso riconfermati nella loro vigoria magnificamente delucidatrice della complessa, tragica realtà che ci avvolge. Adler ha avuta nel momento supremo chiarissima la percezione del rapporto dialettico che deve correre tra le finalità del socialismo e i mezzi per la sua realizzazione. Uomo di transizione, egli, come noi tutti, aveva il suo compito circoscritto alla preparazione del trionfo proletario. Il trionfo darà pace, benessere e gioia a tutti, la preparazione è una lotta che non ha tregua, è, nei momenti culminanti sacrificio e martirio.

Adler è stato livragato dai codici del capitalismo: Assassino! Ebbene anche il socialismo nega l'assassinio individuale o collettivo. Ma anziché condannarlo in nome del «diritto», che è la vernice di un imperio di classe, o della «morale» impostata su principi metafisici ed irreali, ne rileva e denuncia le cause nel regime della proprietà privata, fonte della criminalità dei singoli e delle moltitudini, e prevede con sicurezza un nuovo assetto sociale in cui la delinquenza sarà eliminata fino a diventare una morbosa eccezione. Noi non possiamo illuderci di vivere nella società a cui soltanto aspiriamo! - ammonisce Adler. Sino allora, come non potremo infierire contro il volgare delinquente, vittima di una società mal costituita, così non negheremo i mezzi e le armi alla riscossa proletaria, in relazione all'ambiente e al momento storico, adeguatamente ai mezzi e alle armi dell'avversario.

Perciò il nostro pacifismo non ha la sua base in una pregiudiziale etica contro la violenza e l'effusione del sangue, né ha nulla in comune con Cristo o Tolstoi. Esso è incardinato sulla dottrina del materialismo storico da cui si enuclea la tattica del proletariato.

Ed il socialismo è necessariamente umano nel fine, ma anti-umano nei mezzi. Esso non può accettare la guerra, perché essa non tende ad avvicinare la fine dell'epoca sub-umana, compito riserbato alle forze ed all'azione del proletariato nel campo della lotta tra le classi. D'altra parte, il socialismo non può concepire l'astratta «humanitas» di Gesù o di Rolland, se prima non sia stata condotta a termine la battaglia contro il principio anti-umano della proprietà individuale degli strumenti produttivi.

Dateci il nuovo ambiente economico comunistico e non avrete più guerre, attentati e rivoluzioni. Ma, fino allora, il ritmo fatale della violenza non avrà conchiuso il suo ciclo storico.

In regime capitalistico e militaristico non vi è ancora l'Uomo, ma il pre-uomo, lo schiavo. Non potete pretendere che lo schiavo divenga uomo per virtù di ascetiche astrazioni, prima che giunga l'avvento storico della prima umanità. In questo periodo di transizione e di convulsioni, lo schiavo farà un solo passo - un passo grandioso e fecondo: si trasformerà in ribelle. In parecchie epoche storiche, il pre-uomo si è dibattuto contro le catene che lo avvincevano. E spesso si è avviato fidente verso le promesse di nuove e grandi idealità. Ma il proletariato socialista, l'ultimo e più grande dei ribelli, riscatterà tutte le delusioni del passato, perché non attende più altro Messia che la propria forza e la propria coscienza del divenire storico, audacemente contrapposta alle teoriche accreditate dalla sociologia ufficiale.

La quale può deridere a sua posta la concezione socialista per guadagnarsi lo stipendio dei suoi padroni, ma pur deve con essi tremare quando un Adler riafferma altamente la sua fede razionale nella concezione rivoluzionaria, mentre già i giudici vergano la sentenza di morte in nome di Dio, dell'Imperatore e del Diritto al servizio del Capitale.

 

L'Avanguardia, n. 497, 7 luglio 1917