Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Sul 25 aprile 1945 (alcuni scritti da "Prometeo", n. 2 e 3, maggio 1945)

aggiornato al: 22/04/2010

Prometeo, maggio 1945

Fra qualche giorno ricorrerà l'anniversario del 25 aprile 1945, data della liberazione di Milano (e quindi simbolicamente di tutta l'Italia) dal nazi-fascismo. La data, almeno fino a poco tempo fa, soprattutto nella mitologia resistenzial-popolare, aveva assunto il significato di rinascita della nazione e di quella che diventerà una repubblica democratica.

Oggi sono passati 65 anni da allora e molte cose sono cambiate. Il PCI, che era ormai un partito borghese e che molto aveva contribuito alla nascita di questa repubblica,  non esiste più e la classe operaia in questi più di 60 anni ha potuto toccare con mano quanto lo sfruttamento e l'infamia del dominio borghese si siano fatti sentire e appesantiti in questi anni.

Riproduciamo, in questa occasione, alcuni testi che la sinistra comunista attraverso il suo partito (allora il Partito Comunista Internazionalista) diffuse in quei giorni in quello che era il suo giornale, già presente nella clandestinità, Prometeo che presto sarà sostituito da  Battaglia comunista.

 

 

 

 

Dopo l'insurrezione, che cosa?

 

La manifestazione insurrezionale organizzata dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, raggiunti gli obiettivi prefissi, sta per esaurirsi in mille disarticolati piccoli episodi di lotta armata, con prevalente carattere di pulizia di case dai residui fisici del fascismo, in quanto violenza e terrore organizzati.

Indubbiamente le masse proletarie hanno dato il loro apporto di forza e i loro figli migliori a questo movimento, nel quale avevano forse intravisto possibilità di sviluppi e di realizzazioni capaci di rompere e superare i limiti imposti dalle ferree necessità della guerra ancora in atto.

Il nostro partito ha detto a tempo, con la massima chiarezza, quel che pensava dell'insurrezione nazionale, ma allorché le masse si sono mosse all'attacco di quel che restava del fascismo dopo il crollo delle forze militari tedesche in Italia, ha operato in esse e con esse tanto sui posti di lavoro come sul fronte della lotta armata, affiancato alle formazioni partigiane. E ora?

Se avessimo avuto preoccupazioni contingenti e mire politiche da raggiungere nell'ambito della prossima esperienza dello stato democratico, non avremmo esitato a dare la nostra solidarietà al Comitato di Liberazione Nazionale. Ma questo non è avvenuto perché a fondamento del nostro pensiero politico c'è il marxismo, che non ha mai insegnato a piegare e ad adattare la teoria della rivoluzione alle necessità del momento e all'opportunità tattica di certi compromessi, che non ha mai insegnato a considerare l'internazionalismo operaio come un lusso da signori a cui il proletariato potrà accedere soltanto dopo essersi dissanguato in tutte le guerre dell'imperialismo che a volta a volta  verranno sapientemente camuffate da guerre nazionali, se non addirittura rivoluzionarie. Ecco perché sentiamo forte in  noi il tormento di questo grave interrogativo, a cui è pur necessario rispondere: E ora?

Si occupino pure i seggi comunali, provinciali, parlamentari, si faccia pure il cambio meramente fisico di persone, al fascista subentri il democratico in ogni posto di comando, si giochi pure forte puntando al problema istituzionale, e poi?

Essi, i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, potranno sentirsi a loro agio, e più o meno soddisfatti, partecipare al banchetto della vittoria: noi no. Noi che siamo rimasti fuori, con le masse, sentiamo quanto grave sia il momento attuale e pregno di sinistre incognite. No, amici: la guerra non è finita, anche quando sia cessato l'urto delle armi, se il capitalismo responsabile di tanti lutti e distruzioni, è arbitro di manipolare la pace e piegarla ai fini della sua conservazione di classe; come non è morto il fascismo, anche quando stia per spegnersi l'eco delle ultime fucilate di repressione, se per mille segni esso è pur sempre vivo ed operante in quei profittatori, non pochi, che han saputo in virtù della loro potenza finanziaria dar vita prima al fascismo e nascondersi ora sotto l'acceso colore dell'uomo che ha sempre «voluto il bene del popolo».

Noi abbiamo il dovere di non fermarci sulla via intrapresa e dire apertamente quanto pensiamo negli sviluppi inevitabili di una situazione che vede, sì, il proletariato armato, se non nella sua interezza, certo nei suoi strati più giovani e volitivi, ma circondato da mille insidie, maggiore fra tutte la ferrea volontà che sorge incoercibile dalla guerra, dai suoi interessi in gioco, dai suoi obiettivi fondamentali, di fronte a cui il proletariato è in realtà disarmato nella sua iniziativa di forza rivoluzionaria, nella sua capacità di azione autonoma e di individuazione precisa, direi quasi fisica, del vero nemico da combattere, anche se armato di tutto punto delle armi tolte ai nazifascisti. L'insurrezione che smantella i fortilizi delle bande nere, ma rimane indecisa e non osa colpire chi in realtà porta la responsabilità prima e più vera di questo bagno di sangue e di quest'immane rovina, e soprattutto non si pone come obiettivo di mandare in frantumi questa vecchia società borghese nella sua organizzazione, nei suoi istituti, nella sua morale. e dare il via al mondo nuovo, consolida obiettivamente questa stessa società, la sua stessa struttura, e sbarra la strada ad ogni possibilità di soluzione rivoluzionaria.

Il nostro partito, in questo 1° maggio che  segna in un cerchio di sangue la fase di chiusura della guerra ed apre al proletariato il periodo classico delle grandi e dure battaglie e delle più audaci conquiste, indica agli operai gli obiettivi immediati della sua lotta:

Unità di classe nei Consigli Operai.

Ogni unità produttiva abbia nel Consiglio il suo organismo di lotta.

Solo un'organizzazione potente di Consigli operai e la sua azione unitaria potranno garantire la difesa completa delle conquiste ottenute in questi giorni della lotta contro il fascismo e fare di esse la premessa per la lotta a fondo contro la borghesia, sicuro centro motore di un'eventuale rinascita fascista, avvenga essa sotto altri colori od emblemi, ma pur sempre fascista.

 

 

 

Cronaca dell' insurrezione

 

Milano è dunque stata liberata. Gran respiro di sollievo: fine - stavolta decisiva - del terrore nazi-fascista, fine della retorica reboante, dell'oscurantismo e dell'arbitrio sanguinoso elevato a sistema. Questo è stato certamente il movente più immediato che ha spinto la popolazione alle dimostrazioni di entusiasmo per le vie cittadine. I partigiani, in un'aura di epopea quarantottesca, hanno fugato, quasi con la loro sola presenza, le già terrificanti brigate nere, dissoltesi come nebbia al sole. Nello sfondo gli echi apocalittici della distruzione della Germania.

La gente è corsa fuori, sventolando bandiere e coccarde. Quanto rosso! Forse anche troppo. Dite: non vi fanno un po' ridere quei bravi signori dalla distinta pancia borghese che applaudono le bandiere rosse issate sui camions di operai o che salutano festosamente - per quanto un po' inesperti - col pugno chiuso? Toh! guarda quello con tanto di cravatta rossa che si sbraccia ad acclamare i partigiani: non era quel fascista noto in tutto il rione per aver denunziato Tizio e Caio?

Tutti in rosso, dunque: alcuni, più riflessivi, aggiungono al rosso anche il bianco e il verde. Ma la cosa, in fondo, non cambia. Perché di tutti questi «rossi» così stranamente affratellati pochi hanno vera coscienza del significato di quell'acceso colore. Pochi rammentano che esso simboleggia una cosa sola: la libertà «vera» della classe sfruttata, la fine di un sistema economico che è per la sua stessa natura fonte di disuguaglianze sociali: la distruzione di un ordine sociale che, mentre riunisce in comunità di interessi i grandi capitalisti di ogni paese, separa ad arte ed oppone gli uni contro gli altri i proletari delle varie nazioni, accecandoli col vuoto e sfruttatissimo concetto di patria.

Quando i proletari inizieranno la «loro» battaglia, quando si metteranno in marcia tenendosi per mano, operai di ogni nazione e di ogni lingua, contro il capitalismo di ogni nazione e di ogni lingua, allora la rossa fiamma della loro bandiera avrà il suo senso vero: allora diremo che sta per sorgere la vera libertà

 

Prometeo, n. 2, Milano, 1° maggio 1945

 

 

   * * * * *

 

 

Una pericolosa illusione

 

Troppa gente vive oggi suggestionata dal fascino della insurrezione a cui attribuisce il potere magico d'aver brutalmente cambiato il corso della storia, indirizzandone gli accadimenti verso una radicale trasformazione della società nei suoi rapporti di forza, nella sua fisionomia sociale per una più giusta distribuzione della ricchezza. Come se l'uso delle armi, anche se fatto da larghi strati di masse proletarie, potesse conferire importanza d'azione rivoluzionaria senza che la presenza di favorevoli condizioni obbiettive e un ben chiaro e determinato piano di realizzazioni concrete ne rappresentino una legittimazione storica.

Tutti han parlato d'insurrezione, ma chi si è chiesto, anche tra quelli che militano nei partiti che l'insurrezione hanno a lungo teorizzato e propugnato e predisposto, se effettivamente può aver senso storico un'insurrezione che non ha posto né risolto alcun problema fondamentale, che non è riuscita, anche perché non ha voluto, a condurre le forze sociali che hanno impugnato le armi sul piano concreto delle realizzazioni rivoluzionarie?

L'esperienza recente ha dato la più eloquente e palmare dimostrazione della incapacità di un moto, sia pur esso proletario, di concretizzare alcunché di fondamentalmente serio e duraturo nel senso della classe se non ha osato spezzare non solo l'impalcatura di una esperienza politica come quella fascista, che è stata di fatto e radicalmente spezzata almeno nelle forme esteriori e più odiosamente appariscenti, ma lo stato nella sua essenza di classe e nella sua funzione di organo oppressivo del proletariato.

Difatti, tolto di mezzo il fascismo, il mazziere per eccellenza largamente foraggiato col sudore e col sangue degli operai, è rimasto in piedi nella sua interezza economica, nel pieno possesso della sua forza e della sua autorità di padrone, il quale da buon amministratore dei suoi interessi, deve aver già provveduto alla sostituzione del mazziere in camicia nera con qualche altro in camicia mimetizzata.

L'operaio che aspira in ogni fase di crisi dell'antagonismo di classe a porre il suo problema di emancipazione, si trova, ad insurrezione conclusa, nelle condizioni di prima colla prospettiva della continuazione della guerra, colla visione di una pace in cui non potrà giocare alcun ruolo e, immediatamente, con l'urgenza, data dalle necessità delle sue tristi condizioni economiche, di rientrare nello stabilimento a testa bassa per la constatazione mortificante di sentirsi ancora non padrone del suo lavoro e del suo destino. L'operaio è tornato praticamente com'era, disarmato nei mezzi materiali della sua lotta, e, quel che è peggio,  nella sua capacità di far sua la teoria della rivoluzione quale scaturisce dalle lunghe e dolorose esperienze avutesi in questi ultimi decenni su scala mondiale.

Se ne conclude che l'insurrezione che non pone all'ordine del giorno il problema fondamentale della conquista rivoluzionaria del potere potrà avere gli effetti che si vuole, ma non certo considerarsi come l'atto di rottura da cui scaturiranno impetuose e incontenibili le forze della rivoluzione.

Tale è la situazione che risulta all'analisi cruda ma vera del marxismo, da cui appare evidente, da una parte l'aspirazione proletaria ad andare oltre, a concludere sulla via della sua liberazione, a puntare decisamente verso il potere e dall'altra l'impaccio in cui sono venuti a trovarsi i partiti del Comitato di Liberazione nazionale, costretti a giocare all'insurrezione mentre la guerra è in atto, nell'ambito dello stato borghese e presi alla gola dal bisogno di esaltare un moto proletario privo in realtà di un avvenire concretamente classista e rivoluzionario, a cui rispondono l'eco del fragore delle armi non ancora del tutto spento e la voce del capitalismo fattasi improvvisamente dura al congresso di S. Francisco, la quale ammonisce che la pace deve in definitiva rinsaldare il suo potere, e quello soltanto, e che la sua organizzazione deve mirare a togliere al suo avversario storico, il proletariato, ogni velleità di conquista rivoluzionaria.

Tutto ciò è politicamente chiaro, ed è istintivamente sentito dalle masse, ma compito delle forze sane della rivoluzione è di tradurre questo stato d'animo generalizzato in convinzione politica e farne un elemento attivo, determinante delle lotte sociali che stanno maturando in una situazione obbiettiva così ricca di promesse.

Altrettanto chiaro appare l'indirizzo che stanno per assumere le forze politiche italiane: i sei partiti, ideologicamente legati alla guerra che dovranno comunque portare a compimento, in senso internazionale, si pongono quale forza essenziale di direzione politica col compito di incanalare la crisi del dopo guerra nell'alveo della legalità borghese che avrà nella costituente la sua più alta, concreta ed espressiva manifestazione. Di fronte ai sei partiti e contro l'eventuale loro dittatura, tutte le formazioni politiche a tradizione proletaria e clandestina, non legate al Comitato di Liberazione Nazionale e quindi alla guerra e alle sue conseguenze, che vedono nell'esperienza democratica l'estremo tentativo borghese di addormentare le masse col narcotico della libertà per guadagnare tempo e sanare così le ferite della guerra e della crisi, porranno risolutamente il problema del potere che va oltre la democrazia tradizionale e la sua Costituente, il problema cioè di tutto il potere al proletariato.

 

Prometeo, n. 3, Milano 6 maggio 1945