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archivio > Archivio sulla sinistra>Auschwitz, ovvero il grande alibi (Programme communiste, n. 11, avril - juin 1960)

aggiornato al: 06/05/2010

Programme Communiste, n. 11, 1960

Questo magnifico articolo apparve in francese, nella rivista Programme communiste,  nel 1960.

Esistono diverse traduzioni dell'articolo in italiano. Quella che qui presentiamo è quella fatta dal Gruppo della Sinistra Comunista che presentò lo scritto insieme a Vae victis Germania in un opuscolo che apparve nei primi mesi del 1971. 

Come introduzione ripetiamo solo quanto  venne scritto, presentando il testo, in quella occasione:

Non è nostro compito tentare di contestare la verità circa la pesante situazione delle masse ebraiche dell'Europa centrale fra le due guerre e la tragica conclusione durante l'ultima ecatombe mondiale.

Si tratta di contestualizzare storicamente gli eventi, senza sbavare anatemi moralistici, sia nei confronti dei nazifascisti sia nei confronti degli astuti manovratori del campo opposto. Se il nazionalsocialismo ha raccolto e utilizzato un composito retaggio razzista, il sionismo non resta certo indietro. La sua impostazione della questione ebraica è razzista. La «soluzione democratica» (creazione dello Stato d'Israele) del problema ebraico ha scatenato la «barbarie» su altre genti in quanto si è trattato di un processo imperialista e razzista. Il sionismo del II dopoguerra si pasce con lo slogan «non dimenticare Auschwitz, Treblinka, Maidanek ecc.», mentre le masse proletarie arabe sono gratificate col napalm, i lager, le annessioni, le distruzioni dei «riunificati» di Davide.

 

 

 

 

AUSCHWITZ, OVVERO IL GRANDE ALIBI

 

 

La stampa di sinistra ci mostra nuovamente che il razzismo, ed essenzialmente l'antisemitismo, costituisce in un certo senso il Grande Alibi dell'antifascismo: è la sua bandiera favorita e al tempo stesso il suo ultimo rifugio nella discussione. Chi resiste all'evocazione dei campi di sterminio e dei forni crematori? Chi non si inchina davanti ai sei milioni di ebrei assassinati? Chi non freme davanti al sadismo dei nazisti? Pertanto è questa una delle più scandalose mistificazioni dell'antifascismo, e noi dobbiamo smontarla.

Un recente manifesto del M.R.A.P. (Movimento contro il Razzismo, l'Antisemitismo e per la Pace)

attribuisce al nazismo la responsabilità della morte di cinquanta milioni di esseri umani di cui sei milioni di ebrei. Questa posizione, identica a quella del «fascismo fautore di guerra» dei sedicenti comunisti, è tipicamente borghese.

Rifiutandosi di vedere nel capitalismo stesso la causa delle crisi e dei cataclismi che sconvolgono periodicamente il mondo, gli ideologi borghesi e riformisti hanno sempre preteso spiegare ciò con la malvagità degli uni o degli altri. Si vede qui l'identità fondamentale tra ideologi (se così si può dire) fascisti e antifascisti: tutti e due proclamano che sono i pensieri, le idee, le volontà dei gruppi umani che determinano i fenomeni sociali. Contro queste ideologi, che noi chiamiamo borghesi perché sono gli ideologi di difesa del capitalismo, contro tutti questi «idealisti» passati, presenti e futuri, il marxismo ha dimostrato che sono, al contrario, i rapporti sociali che determinano i movimenti ideologici. È qui la base stessa del marxismo, e per rendersi conto di fino a che punto i nostri pretesi marxisti l'hanno rinnegato, è sufficiente vedere che per loro tutto passa attraverso le idee: il colonialismo, l'imperialismo, il capitalismo stesso, non sono che degli stati mentali.

Cosicché tutti i mali di cui soffre l'umanità sono dovuti a fautori malvagi: fautori di miseria, fautori d'oppressione, fautori di guerra, etc. Il marxismo ha dimostrato che, al contrario, la miseria, l'oppressione, le guerre e le distruzioni, ben lungi dall'essere dovute a delle volontà deliberate e malefiche, fanno parte del funzionamento "normale" del capitalismo. Ciò si applica in particolare alle guerre dell'epoca imperialista. Vi è ora un punto che svilupperemo a causa dell'importanza che presenta per il nostro soggetto: è quello della distruzione. Anche quando i nostri borghesi e riformisti riconoscono che le guerre imperialiste sono dovute a dei conflitti di interessi, essi restano largamente al di qua della comprensione del capitalismo. Si veda la loro incomprensione del senso della distruzione. Per loro il fine della guerra è la Vittoria, e le distruzioni di uomini e di installazioni dell'avversario non sono che dei mezzi per giungere a questo fine. Tanto che degli ingenui prevedono delle guerre fatte a colpi di narcotico! Noi abbiamo dimostrato che, al contrario, la distruzione è il fine principale della guerra. Le rivalità imperialiste che sono la causa diretta delle guerre, non sono esse stesse che la conseguenza della sovrapproduzione sempre crescente. La produzione capitalistica è in effetti costretta a saltare (de s'emballer) a causa della caduta del saggio di profitto e la crisi nasce dalla necessità di accrescere senza posa la produzione e dall'impossibilità di smaltire i prodotti. La guerra è la soluzione capitalistica della crisi; la distruzione massiccia d'installazioni, di mezzi di produzione e di prodotti, permette alla produzione di riprendersi, e la distruzione massiccia di uomini rimedia alla «sovrappopolazione» periodica che va di pari passo con la sovrapproduzione. Bisogna proprio essere un illuminato piccolo borghese per credere che i conflitti imperialistici possano sistemarsi bellamente giocando a carte attorno a una tavola rotonda, e che le enormi distruzioni e la morte di decine di milioni di uomini siano dovute all'ostinazione degli uni, alla malvagità degli altri e alla cupidigia di altri ancora. Già nel 1844, Marx, rimproverava agli economisti borghesi di considerare la cupidigia come innata invece di spiegare e dimostrare perché i cupidi erano costretti ad essere tali. E' dal 1844 che il marxismo ha dimostrato quali sono le cause della "sovrappopolazione": «La domanda di uomini regola necessariamente la produzione di uomini, come di ogni altra merce» (K. Marx, Manoscritti p. 153 ed  ital.).

Se l'offerta supera largamente la domanda, una parte dei lavoratori cade nella mendicità o muore di fame, scrive Marx. Ed Engels: «La popolazione è troppo grande soltanto là dove la forza di produzione in generale è troppo grande ... e  che la proprietà privata ha fatto dell'uomo una merce, la cui produzione e la cui distruzione dipendono pure dalla domanda; come il sistema della concorrenza in questo modo abbia assassinato e quotidianamente assassini milioni di uomini...» (F. Engels, Abbozzo di una critica dell'economia politica).

L'ultima guerra imperialista, lungi da smentire il marxismo e da giustificare la sua «revisione», ha confermato l'esattezza delle nostre analisi. Era necessario ricordare questi punti prima di occuparci dello sterminio degli ebrei. Questo ha avuto luogo non in un periodo qualunque ma in piena crisi e guerra imperialista. È dunque all'interno di questa gigantesca impresa di distruzione che bisogna spiegarlo. In questo modo il problema può essere chiarito; non abbiamo da spiegare il «nichilismo distruttore» dei nazisti, ma perché la distruzione si è concentrata in parte sugli ebrei. Su questo punto nazisti e antifascisti sono d'accordo: è il razzismo, l'odio per gli ebrei, è una «passione», libera e feroce, che ha causato la loro morte. Ma noi marxisti sappiamo che non vi è passione sociale libera, che nulla è più determinato di questi grandi movimenti di odio collettivo. Abbiamo visto che lo studio dell'antisemitismo dell'epoca imperialista non fa che illustrare questa verità. E' in questo senso che noi diciamo: l'antisemitismo dell'epoca imperialista, perché, per quanto gli idealisti di ogni tipo, dai nazisti ai teorici «giudaici», considerino che l'odio per gli ebrei è stato lo stesso in tutti i tempi e in tutti i luoghi, noi sappiamo che ciò non è affatto vero. L'antisemitismo dell'epoca attuale è totalmente differente da quello dell'epoca feudale. Non possiamo sviluppare qui la storia degli ebrei, che il marxismo ha interamente interpretato. Noi sappiamo perché la società feudale ha mantenuto gli ebrei come tali; noi sappiamo che se le borghesie più forti, quelle che hanno potuto fare presto la loro rivoluzione politica (Inghilterra, Stati Uniti, Francia) hanno quasi interamente assimilato i loro ebrei, le borghesie più deboli non hanno potuto farlo. Non si tratta di spiegare la sopravvivenza degli «ebrei», ma l'antisemitismo dell'epoca imperialista. Ciò non sarà difficile se, al posto di occuparci della natura degli ebrei o degli antisemiti, noi considereremo la loro posizione nella società. In seguito alla loro storia gli ebrei si trovano oggi essenzialmente nella media e piccola borghesia. Ora questa classe è condannata dall'avanzata irresistibile della concentrazione del capitale.

È ciò che ci spiega l'origine dell'antisemitismo, il quale non è, come ha detto Engels, «null'altro che una reazione di strati sociali feudali, votati a scomparire, contro la società moderna che si compone essenzialmente di capitalisti e di salariati. Non serve dunque che degli obiettivi reazionari sotto un velo apparentemente socialista». La Germania tra le due guerre ci mostra questa situazione a uno stadio particolarmente acuto. Il capitalismo tedesco, scosso dalla guerra, dalla pressione rivoluzionaria del 1918-1928, sempre minacciato dalla lotta del proletariato, subisce profondamente la crisi mondiale del dopoguerra. Mentre le borghesie vittoriose più forti (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) furono colpite relativamente poco, e superarono facilmente la crisi del «riadattamento dell'economia alla pace», il capitalismo tedesco cadde nel marasma completo. Si può dire che furono la piccola e la media borghesia a patirne maggiormente, come in tutte le crisi che conducono alla proletarizzazione delle classi medie e a una concentrazione del capitale, con l'eliminazione di una parte delle piccole e medie imprese. Ma qui la situazione era tale che i piccolo-borghesi rovinati, falliti, spossessati, liquidati, non potevano finire nel proletariato, in quanto esso stesso era duramente investito dalla disoccupazione (7 milioni di disoccupati al culmine della crisi): essi allora caddero direttamente nella condizione di miserabili, condannati a morire di fame appena esaurite le loro riserve. La reazione a questa terribile minaccia porta la piccola borghesia a «inventare» l'antisemitismo. Non già, come dicono i metafisici, per spiegare le disgrazie che la colpiscono, quanto tentando di salvarsi scaricandole su uno dei suoi gruppi.

All'orribile pressione economica, alla minaccia di distruzione estesa che rende incerta l'esistenza di ogni suo membro, la piccola borghesia reagisce sacrificando una delle sue parti, sperando così di salvare e di assicurare l'esistenza alle altre. L'antisemitismo non deriva  da un «piano machiavellico» o da «idee perverse»: scaturisce precisamente dalla costrizione economica. L'odio per gli ebrei è ben lontano dall'essere la causa prima della loro distruzione, non è che l'espressione del desiderio di delimitare e di concentrare su di loro la distruzione. Si può giungere perfino al fatto che gli operai si inseriscano nell razzismo. Sono le minacce di disoccupazione massiccia che li portano ad attaccare certi gruppi: italiani, polacchi o altri stranieri (méteques), bicots (arabi), negri, etc. Ma nel proletariato queste tendenze hanno luogo solo nei peggiori momenti di demoralizzazione, e non possono durare. Quando lotta egli vede chiaramente e concretamente dove è il suo nemico: il proletariato è una classe omogenea che ha una prospettiva e una missione storiche. La piccola borghesia, al contrario, è una classe condannata. Ed essa non solo non è in grado di comprenderlo, ma neppure è capace di lottare: non può che dibattersi ciecamente nella macchina che la stritola. Il razzismo non è un'aberrazione dello spirito: è e sarà la reazione piccolo-borghese alla pressione del grande capitale. La scelta della «razza», vale a dire del gruppo sul quale svolgere l'opera di distruzione, dipende evidentemente dalle circostanze. In Germania gli ebrei presentavano i «requisiti» del caso ed erano i soli ad averli: essi erano quasi esclusivamente dei piccolo-borghesi, e, in questa piccola borghesia, il solo gruppo sufficientemente identificabile. Solamente su di loro la piccola borghesia poteva concentrare la catastrofe. Era in effetti necessario che l'identificazione non presentasse difficoltà: bisognava potere definire esattamente chi sarebbe stato distrutto e chi risparmiato. D'altra parte, una massa di uomini battezzati, in flagrante contraddizione con le teorie della razza e del sangue, bastava a dimostrare l'incoerenza. Ma non si  trattava di logica!

Il democratico che si accontenta di dimostrare l'assurdità e l'ignominia del razzismo si pone, come d'abitudine, a lato della questione. Tormentata dal capitale, la piccola borghesia tedesca ha dunque gettato gli ebrei ai lupi per alleggerire la propria slitta e così salvarsi. Naturalmente non in maniera cosciente, ma era questo il significato del suo odio per gli ebrei e della sua soddisfazione per la chiusura e il saccheggio delle loro botteghe. Per parte sua il grande capitale era felicissimo di quanto accadeva: egli poteva liquidare una parte della piccola borghesia grazie a essa stessa; inoltre era la stessa piccola borghesia che si incaricava di questa liquidazione. Ma questa maniera «personalizzata» di presentare il capitale non è che una cattiva immagine: come la piccola borghesia, il capitalismo non sa ciò che fa. Egli subisce la stretta economica e segue passivamente le linee di minor resistenza.

Non abbiamo parlato del proletariato tedesco. Ciò perché non è intervenuto direttamente in questa faccenda. Egli era stato sconfitto e, ben inteso, la liquidazione degli ebrei non poteva essere realizzata che dopo la sua sconfitta. Le grandi forze sociali che hanno condotto a questa liquidazione esistevano prima della disfatta del proletariato. E questa disfatta lasciando le mani libere al capitalismo, ha permesso il realizzarsi della liquidazione. Da questo momento inizia la distruzione economica degli ebrei: espropriazione in tutte le forme, interdizione dalle professioni liberali, dall'amministrazione, ecc.

Poco a poco gli ebrei vengono privati di tutti i mezzi di esistenza: essi possono vivere solo con le riserve che hanno potuto salvare. Durante tutto questo periodo, che va fino alla vigilia della guerra, la politica nazista verso gli ebrei si riassume in due parole: Juden raus! Ebrei fuori! Si cerca con tutti i mezzi di favorirne l'emigrazione.

Ma se i nazisti non cercavano che di sbarazzarsi degli ebrei di cui non sapevano che farsene, e se gli ebrei, dal canto loro, non domandavano altro che di andarsene dalla Germania, nessuno altrove li voleva accogliere. Ciò non è sorprendente, perché nessuno poteva accoglierli: non vi era un solo paese capace di assorbire e di mantenere diversi milioni di piccolo-borghesi rovinati. Solo una piccola parte di ebrei poté partire. I più rimasero, loro malgrado e malgrado i nazisti. In un certo senso, sospesi in aria. La guerra imperialista aggravò la situazione sia quantitativamente che qualitativamente. Quantitativamente perché il capitalismo tedesco, obbligato a ridurre la piccola borghesia per accentrare nelle sue mani il capitale europeo, intraprese la liquidazione degli ebrei di tutta l'Europa centrale. L'antisemitismo aveva fatto le sue prove: non c'era che da continuare. Ciò rispondeva, d'altronde, all'antisemitismo indigeno dell'Europa centrale (una orribile mistura di antisemitismo feudale e piccolo-borghese, la cui analisi non possiamo qui svolgere).

Al tempo stesso la situazione si era aggravata qualitativamente. Le condizioni di vita erano rese assai più dure dalla guerra; le riserve degli ebrei si esaurirono; essi erano condannati a morire di fame in breve tempo. In tempi «normali», e quando si tratta di un piccolo numero, il capitalismo lascia crepare da soli gli uomini respinti dal processo di produzione. Ma fare ciò era impossibile in piena guerra e per milioni di uomini: un tale «disordine» avrebbe paralizzato tutto. Bisognava che il capitalismo «organizzasse» la loro morte. D'altronde non li uccise di colpo. Per cominciare furono ritirati dalla circolazione, raggruppati, concentrati. Li fece lavorare sottoalimentandoli,  vale a dire con un sovrasfruttamento mortale. Uccidere l'uomo di lavoro è un vecchio metodo del capitale. Marx scriveva nel 1844: «Per essere condotta con successo, la guerra industriale esige numerose armate che  essa ammassa in un punto e può largamente decimare» («Manoscritti» p. 164 ediz. ital.).

Occorre bene che questa gente sostenga le spese per la propria vita, finché vive, e per quando morirà. E che produca plusvalore fino a che ne è in grado. Perché il capitalismo non può  eliminare gli uomini che ha condannato se non ricava profitto di questa stessa morte. Ma l'uomo è coriaceo. Anche se ridotti allo stato di scheletri non morivano abbastanza in fretta. Bisognava massacrare quelli che non potevano più lavorare, poi quelli di cui non si aveva più bisogno perché gli sviluppi della guerra rendevano la loro capacità di lavoro inutilizzabile. Il capitalismo tedesco si è, d'altra parte, rassegnato a fatica all'assassinio puro e semplice. Non certo per umanitarismo, ma perché non ricavava nulla. È così che è nata la missione di Joël Brand di cui parleremo perché mette bene in luce la responsabilità del capitalismo mondiale. Joël Brand era uno dei dirigenti di un'organizzazione semiclandestina degli ebrei ungheresi. Quest'organizzazione cercava di salvare gli ebrei con tutti i mezzi: nascondigli, emigrazione clandestina, e anche corruzione di SS. Le SS del Juden-Kommando tolleravano queste organizzazioni in quanto tentavano più o meno di utilizzarle come «ausiliarie» per le operazioni di rastrellamento e di smistamento. Nell'aprile del 1944, Joel Brand fu convocato al Juden-Kommando di Budapest per incontrare Eichmann, che era il capo della sezione ebrea delle SS.

Eichmann, con l'accordo di Himmler, l'incaricò di questa missione: andare dagli anglo-americani per negoziare la vendita di un milione di ebrei. Le SS domandavano in cambio 10.000 autocarri, ma erano pronte a tutti i mercanteggiamenti, tanto sul tipo che sulla quantità delle merci. Di più proposero la liberazione immediata di 100.000 ebrei al momento dell'accordo per dimostrare la loro serietà. Era un'affare serio. Disgraziatamente se l'offerta esisteva,  non esisteva la domanda! Non solamente gli ebrei ma anche le SS si erano lasciate prendere dalla propaganda umanitaria degli Alleati. Gli Alleati non volevano questo milione di ebrei. Né per 10.000 camions, né per 5.000, né per nulla. Qui non possiamo entrare nei dettagli delle disavventure di Joël Brand. Egli partì per la Turchia e si trovò nelle prigioni inglesi del vicino Oriente. Gli Alleati rifiutarono di «prendere sul serio quest'affare», facendo di tutto per screditarlo e soffocarlo. Finalmente Joël Brand incontra al Cairo Lord Moyne, ministro di Stato britannico per il vicino Oriente. Egli lo supplica di conseguire almeno un accordo scritto, non per questo impegnativo: ciò avrebbe permesso la salvezza di 100.000 persone.

«Quale sarà il numero totale? -Eichmann ha parlato di un milione.- Come potete immaginare una cosa simile, moster Brand? Che farò di questo milione di ebrei? Dove li metterò? Chi li accoglierà? - Già sulla terra non c'è più posto per noi, non ci resta che lasciarci sterminare», disse Brand disperato.

Le SS furono più lente a capire: esse credevano agli ideali dell'Occidente! Dopo lo scacco della missione di Joël Brand e in mezzo allo sterminio, esse tentarono ancora di vendere degli ebrei all' Joint (organizzazione degli ebrei americani), versando subito un «acconto» di 1.700 ebrei in Svizzera. Ma, a parte loro, nessuno ci teneva a concludere questo affare. Joël Brand aveva compreso, o quasi. Comprese dove portava la situazione, ma non perché. Non era la Terra a respingerli ma la società capitalistica. Non in quanto ebrei, ma perché respinti dal processo di produzione, inutili alla produzione. Lord Moyne fu assassinato da due terroristi ebrei,  Joël Brand apprese più tardi che costui aveva sovente compatito il tragico destino degli ebrei. «La sua politica era dettata dall'amministrazione inumana di Londra». Ma Brand, che noi abbiamo citato per l'ultima volta, non aveva compreso che questa amministrazione inumana non è che l'amministrazione inumana del capitale, e che è il capitale ad essere inumano. Il capitale non sapeva che fare di questa gente. Non sapeva che fare e dove sistemare neppure i rari sopravvissuti e i «rifugiati politici».

Oggi gli ebrei sopravvissuti sono riusciti finalmente a trovarsi un posto. Con la forza, e approfittando della congiuntura internazionale, lo Stato d'Israele è stato costituito. Ma anche ciò è stato possibile solo «spodestando» altre popolazioni: centinaia di migliaia di rifugiati arabi menano la loro inutile esistenza (al capitale!) nei campi di raccolta. Abbiamo visto come il capitalismo ha condannato a morte milioni di uomini respingendoli dalla produzione. Abbiamo visto come li abbia massacrati spremendo loro tutto il plusvalore possibile. Ci resta da vedere come li sfrutta ancora dopo morti, come sfrutti la loro stessa morte. Sono soprattutto gli imperialisti del campo alleato che se ne sono serviti per giustificare la loro guerra e per giustificare dopo la vittoria il trattamento infame inflitto al popolo tedesco. Si sono precipitati sui campi e sui cadaveri diffondendo ovunque orribili fotografie ed esclamando: guardate che porci sono questi Crucchi! Come abbiamo avuto ragione di combatterli! E come abbiamo ora ragione a fargli passare la voglia di ricominciare!

Quando si pensa ai crimini internazionali dell'imperialismo, quando si pensa, ad esempio, che nello stesso momento (1945) in cui i nostri Thorez cantavano vittoria sul fascismo, 45.000 algerini (provocatori fascisti!) cadevano sotto i colpi della repressione; quando si pensa che è il capitalismo mondiale il responsabile di questi massacri, l'ignobile cinismo di questa soddisfazione dà veramente la nausea. Tutti i nostri bravi democratici antifascisti si sono gettati sui cadaveri degli ebrei. E poi li hanno agitati sotto il naso del proletariato. Per fargli sentire l'infamia del capitalismo? No, al contrario: per fargli apprezzare, per contrasto, la vera democrazia, il vero progresso, il benessere di cui egli gode nella società capitalistica! Gli orrori della morte capitalista dovevano far dimenticare gli orrori della vita capitalista e il fatto che entrambi sono indissolubilmente legati! Gli esperimenti dei medici SS dovevano far dimenticare che il capitalismo sperimenta  in grande i prodotti cancerogeni, gli effetti dell'alcolismo, la radioattività delle bombe «democratiche».

Se si mostrarono le «abat-jour» di pelle umana fu per far dimenticare che il capitalismo ha trasformato l'uomo vivente in abat-jour. Le montagne di capelli, i denti d'oro, i cadaveri divenuti merce, dovevano far dimenticare che l'uomo vivente una merce. È il lavoro, la vita stessa dell'uomo, che il capitalismo ha trasformato in merce.

E' questo la fonte di tutti i mali. Utilizzare i cadaveri delle vittime del capitale per tentare di nascondere questa verità, servirsi di questi cadaveri per proteggere il capitale stesso, è il modo più infame di sfruttarli sino alla fine.

 

Programme Communiste, n. 11, avril-juin  1960