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archivio > Archivio sulla sinistra>Torniamo da capo (Il Programma comunista, n. 18, 4 ottobre 1961)

aggiornato al: 26/11/2010

Il Programma comunista, n. 18, 4 ottobre 1961

Riproponiamo oggi un bell'articolo tratto da un numero di Programma Comunista del 1961. Non c'è bisogno di commenti particolari; ci verrebbe solo da chiederci cosa sia cambiato rispetto all'epoca della sua stesura e non ci verrebbe da rispondere che come l'articolo: il cambiamento , se c'è stato, è in peggio. Buona lettura!

 

Torniamo da capo

 

E' un anno di celebrazioni, in Italia e nel mondo; tutte intonate alle glorie della civiltà della democrazia e dell'immancabile trionfo del progresso. Ma, dietro le cortine fumogene della propaganda e della sua regia hollywoodiana, è difficile che il proletario non riesca a tirare le somme, e a chiedersi che cosa mai sia cambiato (salvo i personaggi) rispetto al 1938 o, se ha i capelli grigi, rispetto al 1913. Il cambiamento, se c'è stato, è in peggio - che è, del resto, l'unico progresso di cui la società borghese sia capace.

La prima guerra mondiale, immancabilmente combattuta per la civiltà e la democrazia, fu vinta dai rappresentanti di quest'ultima. Il «nemico», incarnazione dell'anti-civiltà e dell'anti-democrazia, cadde non tanto sotto i colpi di ariete degli eserciti, quanto sotto i colpi di mazza dei proletari, vestiti da marinai e   soldati o da lavoratori civili, interessati a ben altro che agli «scopi di pace» dell' Intesa: e la «civiltà» trionfante non avendo del tutto schiacciato il vinto, e non desiderando che il mal seme rivoluzionario dilagasse, diede all'Europa una pace balorda, truffaldina, cinica, ruffiana come tutte le paci messe insieme da borghesi, ma almeno un simulacro di assetto politico - il famoso pezzo di carta con firme e bolli ufficiali, che serve, se non altro, a salvare la faccia. Nella seconda guerra mondiale, la «civiltà» e la democrazia stravinsero, il proletariato non fece sentire il suo ruggito, non fu necessario tenere in piedi uno stato centrale tedesco in grado di sventare l'assalto di rozze mani incolte ai templi della proprietà e del capitale: a sedici anni e più dalla fine del conflitto, le nazioni portatrici del progresso non hanno neppure regalato all'Europa centrale il pezzo di carta di un trattato di pace.

La prima guerra mondiale promise la fine di tutte le guerre; bastarono pochi anni perché su diversi teatri europei ed extraeuropei, i fatti smentissero l'impegno solenne. Dopo la seconda, che rincarò la dose delle proclamazioni pacifiste per il domani, non è passato anno e, a volte, neppure mese, senza che in Asia o in Africa la guerra si riaccendesse, anche a prescindere dai ponti aerei in Europa e dalla catena di episodi di guerra fredda che la stampa chiama «rivolte», «colpi di stato», o «rivoluzioni», solo per non chiamarli battaglie di Berlino, Praga, Budapest, Suez, Algeri (visto che questi due ultimi focolai si considerano appendici dell'Europa culla della civiltà, dei valori morali, ecc. ecc.).

La prima regalò al mondo quella delizia che fu il corridoio polacco; la seconda, più generosa, gli regalò Berlino divisa in due e sottodivisa in quattro e, diversamente dalla meno sfacciata sorella maggiore, non si curò nemmeno di organizzare la pagliacciata dei plebisciti per decidere della sorte di  milioni di minoranze nazionali, sbattute di qua e di là in nome della democrazia, del rispetto della persona umana, e degli eterni «valori morali».

Il 1918-19 appioppò al mondo la Società delle Nazioni, il covo di briganti della frase leninista; il 1945 gli fece il regalo dell' ONU, un palazzo fatto di vetro non per consentire all'uomo della strada di vedere dietro le quinte della diplomazia segreta, ma per permettere alla prima sassata di spezzarne i cristalli. L'istituto ginevrino comprendeva un numero relativamente piccolo di Stati e nazioni e fece la lamentevole fine che tutti sanno dopo di aver messo lo spolverino a nuovi conflitti; l'istituto nuovayorkese abbraccia quasi tutto il mondo, vede seduti ai suoi tavoli i colossi vincitori della guerra per la civiltà, la democrazia e il progresso; e la sua esistenza, essenziale - dicevano e ripetono loro alla pace, serve unicamente a sanzionare l'inevitabilità delle guerre sotto il segno e l'impero di Sua Maestà il Capitale. A Ginevra si parlò per lunghi anni di disarmo, affannose trattative avvennero, ma, passato un ventennio, i membri della Lega erano più armati di prima e, puntualmente, si saltarono al collo. A New York il disarmo è sempre all'ordine del giorno, ma l'uomo della strada non ha bisogno di una particolare «cultura» e «competenza» per sapere dove stia di casa questo misterioso personaggio. Nel primo caso il «militarismo tedesco» non era stato completamente smantellato e la propaganda poteva sostenere che, appunto per questa fatale debolezza, si era ricaduti nella guerra da cui le candide democrazie occidentali, se fosse dipeso soltanto da loro, si sarebbero tenute pudicamente lontane: nel secondo, la Germania è stata messa (e lo è ancora) sotto il controllo di truppe di occupazione e polizia, ma non è lei che ha combattuto in Corea, in Indocina, a Suez, in Algeria o, periodicamente nelle repubbliche dell'America Latina. Ad assicurare la continuazione con gli «ideali della guerra antifascista» è perfino rimasto in sella un rappresentante fisico di quei «valori», De Gaulle: algerini e francesi sanno molto bene che razza di ... antitotalitarismo egli abbia regalato e regali dall'alto della sua poltrona presidenziale.

Oggi, come nel 1938, malgrado tutto ciò, la retorica pacifista, disarmista, umanitaria batte la grancassa: lo fa, anzi, su scala ancor più clamorosa. Oggi come allora, se si creano armi nuove, se si sperimentano bombe e missili ultrapotenti, è per garantire la pace, per scoraggiare eventuali aggressori (quali se l'organizzazione internazionale comprende tutti; e ognuno di questi tutti è un perfetto campione di civiltà, democrazia e progresso?)e più ancora per approntare alle generazioni che verranno nuove tecniche pacifiche, nuovi strumenti di reciproco affetto ed amore: ovvero si riarma soltanto perché l' ONU eserciti la sua benemerita funzione di soccorritrice delle aree sottosviluppate e di insegnante di democrazia e di autogoverno ai popoli che si sono emancipati troppo in fretta, senza il tempo di frequentare le scuole autorizzate di convivenza civile e di amministrazione pubblica. Una selva di istituzioni internazionali provvede a fornire cibo e medicine ai popoli più tormentati dalla malattia e dalla fame: ma ogni anno un nuovo congresso di esperti ripete che la fame aumenta e le malattie dilagano. Un gigantesco blocco di popoli proclama di aver raggiunto o di star raggiungendo il socialismo: ma all'altro blocco esso non offre nulla di diverso da qualunque consorteria capitalista, il commercio, gli scambi, le trattative diplomatiche, la coesistenza pacifica; insomma, la continuazione dello status quo. Anche da questo lato, le «medicine» lasciano malato l'infermo; anzi gli preparano l'agonia  e, se va bene, il funerale d'ultima classe.

Siamo daccapo. Perché il capitalismo è lì; e democrazia, progresso e civiltà sono, come fascismo e nazismo, nomi diversi per indicare la stessa cosa, quel mostro famelico e sanguinoso. E l'alternativa è ancora, è sempre  più, quella del 1918: o dittatura del proletariato, o dittatura della borghesia; o rivoluzione o guerra.

 

il programma comunista, n. 18, 4 ottobre 1961