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archivio > Archivio sulla sinistra>Di fronte alla repubblica (Battaglia comunista, n. 18, 2 - 15 giugno 1946)

aggiornato al: 20/10/2011

Battaglia comunista, n. 18, 2 - 15 giugno 1946

Abbiamo già riproposto nel sito, per ben due volte, un articolo del 1946 che prendeva in considerazione l'avvicendamento tra monarchia e repubblica nella rappresentanza istituzionale del nostro paese.

Quell'articolo  La monarchia è morta: la repubblica borghese ne continuerà degnamente le tradizioni (che comparve nel n. 19 di Battaglia Comunista del 1946) fu preceduto da questo nel n. 18 del giornale e che ora riproponiamo.

La riproposizione di vecchi articoli è uno dei compiti che ci eravamo prefissi e che, bene o male, stiamo assolvendo.

 

Di fronte alla repubblica

 

L'atteggiamento del nostro partito di fronte a questo aborto istituzionale va precisato senza possibilità di equivoco. Non tanto in sede teorica, dove una lunga e difficile battaglia (che risale al periodo della nostra presa di posizione contro la guerra democratica di liberazione e i C.L.N. di buona memoria) ha largamente e sufficientemente chiarito nelle coscienze delle forze di avanguardia del proletariato, quanto in sede tattica, dove trova tuttora facile presa l'arte di imbrogliare il prossimo con l'esca dell'azione diretta contro il ritornello della reazione, e della organizzazione di forze idonee a questo compito sul piano della difesa repubblicana. Che i partiti a tendenza repubblicana, quelli soprattutto di massa, che sono indiscutibilmente gli arbitri della nuova situazione e a cui spetta la responsabilità di dirigere in concorde discordia il governo,  si pongano questo problema e cerchino di risolverlo, è nel loro diritto; ma che tentino di risolverlo alla loro maniera, facendo cioè leva  sovratutto sul coraggio fisico, sulla onesta credulità e sulla buona fede dei soliti combattenti operai, quelli della resistenza e della montagna, quelli in una parola, che sempre hanno dato (nella speranza, oh!, quanto delusa, di risolvere anche in parte, il loro problema di classe), è cosa che riguarda anche noi, poiché si tratta di operai, molti dei quali vicino al nostro partito, quando non ne sono militi operosi, entusiasti e attenti.

Ed è a questi operai che ci rivolgiamo, e, come nostra abitudine, lo facciamo in termini di classe.

I tre partiti di massa continuano nella tattica fin qui riuscita di realizzare una politica borghese con i metodi e con le forze considerati per tradizione antiborghesi e di dare il massimo contributo alla ricostruzione del capitalismo servendosi delle braccia e del sacrificio degli operai. Siamo così alla terza fase della stessa tattica per cui si chiamano oggi gli operai a difendere con tutti i mezzi le istituzioni repubblicane come se si trattasse di difendere una conquista proletaria e un suo fortilizio di classe. Poi, quando sarà diradata certa spessa fumosità propagandistica che la regia socialcentrista mostra di possedere come sua virtù cardinale, gli operai osserveranno stupiti e rammaricati d'aver servito ancora una volta una causa sbagliata e di aver costruito non per sé ma per l'avversario di classe.

Il compito nostro è pertanto ancora quello di snebbiare a tempo, pazientemente, la vista a questi strati operai per evitare che essi sopportino i danni e le beffe di un ennesimo tradimento ordito in loro  nome e per la vittoria del ... socialismo.

La repubblica italiana è in linea storica la più debole, la più stentata, la più amorfa delle repubbliche sorte nel periodo classico del capitalismo. Nata da un modesto calcolo elettorale e nella pratica del più piatto parlamentarismo, non ha avuto il vigoroso impulso della piazza e delle barricate come la repubblica di febbraio che mise in fuga Luigi Filippo; sembra quasi più affine, per certi caratteri di avventurismo, a quella di Luigi Napoleone e manca assolutamente di quel validi crisma storico dell'insurrezione che ebbe, se non altro la repubblica di Kerensky.

La Repubblica italiana è nata in verità sotto l'impulso delle forze politiche operanti nel quadro della guerra imperialista, sotto l'insegna della democrazia, ed appare quindi in funzione degli interessi della vittoriosa democrazia imperialista. Le grandi masse operaie sono state convogliate in questa esperienza politica, e vi sono tuttora presenti e vi operano per forza d'inerzia senza una coscienza, un metodo e un obiettivo di classe. E' l'esercito del lavoro sconfitto dalla guerra, tutt'ora in stato di prigionia, che il capitalismo vittorioso fa sorvegliare e dirigere dai suoi guardiani socialcomunisti. Ecco i dati somatici e le note caratteristiche della repubblica italiana.

E questa, appena nata, è già forse in pericolo? Chi la minaccia? Chi può oggi seriamente mettere in pericolo una repubblica che più e meglio della monarchia esprime le forze vive e fattive della rinascita capitalista? Se si grida al lupo della reazione e della monarchia, e l'allarme si diffonde in sordina tra gli operai più che nelle alte tribune della propaganda ufficiale, gli è che preme ai nostri nuovi padroni che il proletariato senta come sua la repubblica e si disponga a salvarla nel migliore dei modi, partecipando cioè al suo consolidamento, inconcepibile senza l'apporto del suo lavoro e del suo sfruttamento economico e politico. Dunque, il diversivo tattico della unità di tutte le forze a tendenza repubblicana sul terreno concreto della lotta obbedisce a questa unica preoccupazione, quella di impedire che gli operai disillusi ritrovino se stessi e vadano ad ingrossare le file del loro partito di classe.

Per queste ragioni noi diciamo chiaro che è inesistente per il proletariato il problema della difesa repubblicana, non convergendo su tale esperienza istituzionale alcun serio e fondamentale interesse di classe. Gli istituti della legalità borghese, lo sappiano i ministri socialisti e comunisti di Sua Maestà la Repubblica si difendono coi mezzi che lo stato borghese ha sempre saputo così energicamente adoperare contro il proletariato. E' tempo di far capire a tutti gli opportunisti che un intervento del proletariato, comunque provocato,  non potrebbe oggi essere che intervento armato, e come tale operante sul piano della lotta rivoluzionaria.

Ai comunisti del '46, a questi empirici della "pasta asciutta", qualora tornassero a insultare la memoria di Lenin per ricordarci quello che essi chiamano (a loro giustificazione) la tattica del compromesso di fronte alla sollevazione di Kornilov contro il governo provvisorio di Kerensky, noi questo ricordiamo.

L'insurrezione di febbraio ha dato il potere alla borghesia sol perché il partito bolscevico, inchiodato alle posizioni ideologiche del 1905, era mancato come organo di guida e di realizzazione rivoluzionaria; suo contenuto sociale era  l'organizzazione dei Soviets, che rappresentava di fatto uno stato operaio operante in dualità di potere nell'ambito della stessa esperienza dello stato democratico. E' questo l'aspetto nuovo e caratteristico della rivoluzione di febbraio, chiara e logica premessa a quella di ottobre. E quando, ad un momento dato di questa marea montante della rivoluzione proletaria, Kornilov inserirà il suo attacco contro il governo provvisorio perché incapace di arginare e di strangolare il moto proletario, non cercherà di colpire il regime di Kerensky, ma attraverso Kerensky  mirerà direttamente all'altro potere, quello assai più reale e potente dei Soviets, che costituisce il vero ostacolo al ritorno del vecchio mondo zarista.

La risposta proletaria fu immediata e violenta, e prese concretezza operativa proprio sullo stesso piano tattico offerto dall'avversario.

Bisognava stroncare con le forze operaie dei Soviets il tentativo di Kornilov per essere in grado di colpire attraverso questi lo stesso Kerensky, quanto dire il Governo Provvisorio nel cui seno il complotto zarista aveva trovato i motivi della sua affermazione e del suo sviluppo. Si trattava non di proteggere il governo democratico, ma di difendere la rivoluzione rappresentata dai Soviets; e la rivoluzione non si poteva difendere solidarizzando con Kerensky, ma operando con forze autonome di classe e sul piano di classe. L'azione condotta contro Kornilov si sviluppò perciò su una linea tattica strategica che portò all'insurrezione di Ottobre.

Ma la situazione italiana di oggi non è certo quella russa dopo la rivoluzione di febbraio. La repubblica italiana non è l'espressione di nessun moto ascendente delle masse, come di nessuna insurrezione, in cui il proletariato abbia giocato un ruolo di forza determinante; non ci sono i Soviets in Italia e non vi sarà alcun Kornilov a porre da noi il problema strategico d'arrestare la marcia del proletariato colpendo le repubblichette di Nenni e di Togliatti.

Ecco perché gli operai debbono dissociarsi da ogni politica palese ed occulta che abbia come mira di far pagare ancora al proletariato le spese in uomini e in denaro per il consolidamento e la difesa della repubblica borghese.

 

Battaglia comunista, n. 18, 2 - 15 giugno 1946