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archivio > Archivio sulla sinistra>La conferma dell'astensionismo (Il Programma comunista, n. 9, 7 - 21 maggio 1953)

aggiornato al: 06/01/2012

Il Programma comunista, n. 9, 7 - 21 maggio 1953
Questo bell'articolo del 1953 ci introduce nei meccanismi elettorali e nei vari intrallazzi ad essi legati. Nel 1953 si cercò di far passare la "legge maggioritaria" (la famosa "legge truffa") che introduceva un premio di maggioranza secondo cui si sarebbero dati il 65% dei seggi al gruppo di partiti che presentandosi uniti avessero raggiunto il 50% dei voti più uno; nessuno dei gruppi apparentati arrivò a questa percentuale e l'anno dopo questa legge venne abolita.
 
La conferma dell'astensionismo
 
Quando difendiamo la posizione anti-partecipazionista, quando ribadiamo la posizione di rifiuto di accettare e sostenere candidature al Parlamento che fu caratteristica della Sinistra Comunista italiana fin dalle origini, è chiaro che non ci volgiamo a criticare l'operato dei partiti socialista e comunista. Benché costoro pretendano di ispirarsi al principio del disfattismo parlamentare, col quale Lenin giustificava la partecipazione dei comunisti ai parlamenti borghesi, tutta quanta la loro azione dimostra che essi tendono ad utilizzare il Parlamento in vista di instaurare una forma di Stato che parlamentare non è, ma nemmeno socialista. L'esempio del colpo di Stato di Praga che doveva liquidare la democrazia parlamentare e sostituirla con l'odierno Stato a regime totalitario, è quanto mai chiaro. Il partecipazionismo di tipo stalinista, perseguendo finalità antiparlamentari, ma non essendo un mezzo di lotta destinato a distruggere lo Stato borghese, ed instaurare il Governo rivoluzionario operaio, non obbedisce affatto ai criteri del partecipazionismo difesi da Lenin. Esso ha un precedente storico nella tattica del partito nazional-socialista tedesco che pervenne al potere in seguito a vittoria elettorale, ma come primo atto di governo passò al macero la Costituzione demo-parlamentare di Weimar, instaurando lo Stato autoritario, antiparlamentare, monopartitico.
Contingentemente, nella impossibilità di afferrare il controllo del Parlamento, i partiti stalinisti si affannano a procurarsi quanto più grandi pascoli parlamentari sia possibile. Ma ciò non contraddice alle tendenze antiparlamentari in senso conservatore dello stalinismo, in altre parole, noi non contestiamo affatto agli stalinisti la possibilità di prendere il potere con metodi elettorali, appunto perché sappiamo che solo ai partiti borghesi è possibile utilizzare il Parlamento, sia per mantenerlo in efficienza, sia per liquidarlo più o meno ignominiosamente. Anche se in Italia e, in genere nell'Occidente, il parlamentarismo gioca in favore dei partiti anti-stalinisti, in linea di principio non si può escludere che in una situazione internazionale diversa, caratterizzata dalla prevalenza delle innegabili tendenze in seno alla borghesia europea a trovare un'intesa con la Russia, i partiti stalinisti non ripetano l'esperienza del partito nazista del 1933 e del colpo di Stato cecoslovacco del 1948.
Discutere sulla possibilità di utilizzare la partecipazione al Parlamento è possibile, dunque, solo in campo rivoluzionario, cioè nel campo delle correnti politiche che sostengono un programma che va oltre, sia la democrazia parlamentare, sia il regime totalitario. Per il campo borghese, l'abbiamo provato, l'elezionismo favorisce indiscutibilmente l'azione sia dei partiti democratici, sia di quelli di tendenze totalitarie e antiparlamentari. Ne consegue che per trarre un insegnamento proficuo per i rivoluzionari, bisogna giudicare non in base a quanto fanno e potrebbero fare in Parlamento i rappresentanti dei partiti pseudo-proletari, ma cercando di raffigurarsi con realismo quale dovrebbe essere il comportamento e le conseguenze del comportamento, di un deputato rivoluzionario, cioè antidemocratico e antitotalitario ad un tempo, nel gioco parlamentare.
L'unico argomento che i fautori della partecipazione alle elezioni, e quindi al Parlamento, possono sventolare consiste nel decantare il vantaggio che le singolari tenzoni oratorie di un deputato rivoluzionario in Parlamento arrecherebbero alla propaganda delle posizioni rivoluzionarie. Perfino i giornali avversari sarebbero costretti a parlare del deputato rivoluzionario, a pubblicare resoconti (immaginate con quale obiettività) dei suoi interventi, delle sue dichiarazioni di voto, ecc .La radio dovrebbe fare lo stesso, e magari anche il cine-giornale, la televisione, ecc. La tesi degli astensionisti, cioè la nostra, che continua la tradizione della Frazione Comunista Astensionista da cui il comunismo trasse origine in Italia, non si nasconde affatto che sì, inevitabilmente, si farebbe del clamore attorno al partito ma solo del clamore, solo chiasso confuso e diseducante. Ciò perché il deputato o gruppo di deputati rivoluzionari sarebbe con la stessa inevitabilità attratto nel gioco dello schieramento borghese che si presenta in Parlamento nelle forme di maggioranza e minoranza. Ne risulterebbe non una chiarificazione delle posizioni classiste rivoluzionarie, ma una tremenda confusione, per cui non si vede in qual modo la propaganda del partito ne risulterebbe avvantaggiata.
Osserviamo rapidamente quanto è successo recentemente in Parlamento.
E' noto che due alternative si presentavano ai membri del Parlamento in materia di legge elettorale. Se non fosse stata approvata la legge Scelba, che faceva passare in prescrizione la proporzionale, il 7 giugno si voterebbe con lo stesso sistema di assegnazione dei seggi seguito il 18 aprile 1948. In pratica, basandosi sui risultati delle recenti elezioni amministrative, che videro un sensibile regresso delle liste democristiane a vantaggio dei monarco-missini, si può concludere con certezza quasi assoluta che alla futura Camera si sarebbero venuti a creare tre blocchi politici di forze pressoché equivalenti: democrazia cristiana, monarchico-missini, social-comunisti. Per il loro peso specifico, nessuno dei tre avrebbe potuto governare da solo, ma avrebbe dovuto chiedere i voti dei deputati degli altri schieramenti. Ne sarebbe conseguita molto verosimilmente un'alleanza parlamentare, e forse governativa, tra democristiani e monarchici. In altre parole, la prevalenza della proporzionale avrebbe consentito sì ai social-comunisti di avere in parlamento un numero di seggi proporzionali ai voti raccolti, conservando i seggi detenuti nella camera testé sciolta, ma avrebbe anche aperto la via del governo ai monarchici. Non a caso, costoro hanno osteggiato violentemente la legge proposta da Scelba.
Il sistema maggioritario, o della proporzionale corretta col premio di maggioranza, permette invece alla D.C., imparentata con i partiti alleati (P.L.I., P.R.I., P.S.D.I.) di rimediare alla perdita di voti, ad essa strappati dalle destre monarchica e missina. Infatti, la legge prevede che lo schieramento di liste collegate che riesca a raccogliere la metà più uno dei voti validi. si aggiudichi 380 seggi parlamentari. Sopravanzeranno appena 210 seggi da dividere proporzionalmente alle minoranze. L'enorme baccano fatto alla Camera e al Senato dalle opposizioni social-comunista   da un lato, e monarco-fascista dall'altro, sta a dimostrare che né gli uni né gli altri sperano di raggiungere la sospirata quota della metà più uno dei voti validi raccolti da tutte le liste in lizza. Succederà, in altre parole, che il blocco social-comunista, ad esempio, anche se riuscirà a conservare il monte voti racimolato il 18 aprile 1948, si vedrà assegnare molto meno seggi on Parlamento. Lo stesso dicasi per l'opposizione monarco-fascista.
In Conclusione, davanti ai napoleoni della Direzione del PCI si è posto brutalmente il dilemma: o perdere seggi in Parlamento o aprire la via del governo ai monarco-fascisti. Non è da escludere che il brusco concludersi della discussione al Senato e l'improvvisa votazione della legge Scelba siano stati giudicati dalla Direzione del PCI sotto la specie del male minore. Immaginate ora che avessimo avuto anche noi un rappresentante in Parlamento. E' un'ipotesi del tutto gratuita, ma interessante. Egli si sarebbe trovato nella identica situazione dei social-comunisti. Avrebbe sostenuto la proporzionale? In tale caso avrebbe lavorato per gli interessi dei monarchici. Avrebbe appoggiato la maggioritaria? Così facendo, avrebbe secondato il gioco del blocco governativo. In ambo i casi avrebbe svolto un ruolo di agente sia pure passivo, sia pure involontario, in una contesa tra partiti borghesi. Avrebbe funzionato non come forza sovvertitrice del Parlamento, ma come non secondario ingranaggio del meccanismo parlamentare, costruito e sfruttato dal capitalismo per i propri fini, per l'avvicendamento del suo personale di governo. Non sarebbe inevitabilmente successo che, andato in parlamento per sfruttare la famosa «tribuna di propaganda» che tanto seduce gli sgonfioni, miseramente si sarebbe dovuto lasciare afferrare nel meccanismo della lotta tra maggioranza e minoranza? E votare con i social-stalinisti non sarebbe valso a distruggere i non durevoli effetti delle sue dimostrazioni verbali di eguale avversione al governo e alla opposizione pseudo-proletaria?
L'accusa che gli elezionisti muovono di solito agli astensionisti è di non saper giustificare il rifiuto di presentare ed accettare candidature ai seggi in Parlamento. Nella situazione in cui si trova il movimento rivoluzionario la discussione non può uscire dal terreno puramente critico. Ma se fosse possibile disporre dei mezzi organizzativi e materiali che le accese lotte schedaiole richiedono, non avremmo argomenti di fatto a sostegno del rifiuto di imbrancare il movimento dietro le bandiere della corruzione elettorale e del personalismo politicante desideroso di fare, o ripetere, la ingloriosa esperienza parlamentare? Si provi allora a contestarci quanto abbiamo detto.
 
il programma comunista, n. 9, 7 - 21 maggio 1953