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archivio > Archivio sulla sinistra>Come parlano "loro" (Il Programma comunista, n. 14, 12 - 27 luglio 1963)

aggiornato al: 22/03/2012

Il Programma comunista, n. 14, 12 - 27 luglio 1963
Un simpatico articolo sui vecchi PSI e PCI, sulle critiche che il secondo poteva fare al primo per il suo comportamento di fronte alla prima guerra mondiale e poi su quelle che, allineatosi il PCI alle posizioni riformiste, vennero fatte anche a lui, naturalmente prima della sparizione di entrambi.
Buona lettura!
 
Come parlano "loro"
 
E' spassoso, a volte (o meglio lo sarebbe, se non ci fosse andato di mezzo l'intero movimento proletario su scala internazionale), rileggere gli scritti di trenta o trentacinque anni fa degli opportunisti di oggi. Con quale ardore, con quale arroganza attaccavano l'opportunismo socialdemocratico! Con quale sicumera giuravano che, loro, in simili abissi non sarebbero caduti mai e poi mai! E quale ingenuità nel dipingere, facendo il ritratto dei traditori dell'epoca, o se stessi di dieci anni dopo!
Apriamo «Lo Stato Operaio» del giugno 1929. La vecchia guardia bolscevica era stata dispersa, anche se fisicamente non ancora distrutta, e i suoi liquidatori dovevano rifarsi una verginità posando a terribili rivoluzionari, a conseguenti discepoli di Lenin, contro i socialisti alla Nenni o alla Saragat: sarebbe venuto il giorno in cui avrebbero battuto di molte lunghezze questi messeri e avrebbero sognato soltanto l'ora di riprenderli a braccetto su una strada ancora più schifosamente rinnegatrice; ma quel giorno sembrava ancora lontano, nel giugno 1929!.
Allora, Mario Montagnana, scriveva una violenta (e giusta) critica dell'inconsistenza del P.S. italiano durante la prima guerra mondiale e, commentando il debole argomento allora usato come pezzo forte nelle campagne antibelliche che «l'Italia («l'Italia» tout court e non «il proletariato italiano») aveva, dall'intervento, tutto da perdere e nulla da guadagnare», argomento da lui giustamente messo alla berlina (ma figurarsi se oggi l'autore farebbe dell'ironia sull'uso del vocabolo «Italia»! Oggi, non ci sarebbero caratteri abbastanza capitali per scrivere il sacro nome della sacrosanta patria!), continuava: «Durante la guerra ― come prima e come dopo la guerra ― il compito che il Partito socialista si era fissato ― e adempiva scrupolosamente ― era quello di dare dei «buoni consigli», dei «consigli disinteressati» alla classe borghese. Per un partito operaio, per un partito che si dichiarava rivoluzionario, non c'era male...». Bel ritratto, no? Solo che, adesso, tutto questo dare consigli disinteressati, buoni consigli, alla borghesia nazionale in tempo di guerra e in tempo di pace «sarebbe molto bene», mentre «sarebbe molto male» il non darli.
Che cosa si sarebbe dovuto fare a Caporetto e, prima ancora, a Torino agosto 1917? «Sarebbe bastato che ― seguendo le direttive di un partito rivoluzionario ― una parte dei soldati avesse spiegato agli altri che, per avere la pace, non era sufficiente gettare a terra il fucile, ma bisognava invece tenere ben stretta in pugno quest'arma per servirsene contro coloro che la guerra volevano continuare: sarebbe bastato incanalare verso la guerra civile [orrore!] l'enorme malcontento dei soldati e il loro desiderio di cambiare la situazione, perché in Italia avvenisse quello che pochi giorni prima era avvenuto in Russia...» Ancora una volta il Partito socialista brillò per la sua assenza. I soldati di Caporetto ne ignorarono l'esistenza, come il Partito socialista ― come tale ― ignorò per molte settimane che vi fosse stata Caporetto. I fuggiaschi... stanchi di correre si fermarono al Piave; l'esercito riorganizzò le proprie file e la propria resistenza; i «bandi», i plotoni di esecuzione e qualche decina di grammi di pane di più al giorno fecero il resto: la «patria» era salva, e Turati poteva affermare in Parlamento che «al Grappa era la patria», piangere come un vitello sul pericolo che la «patria» aveva corso e farsi applaudire entusiasticamente dai rappresentanti di tutti gli strati del capitalismo italiano». Egregio signor Montagnana, al posto di Turati ora ci sareste voi, e la patria non la mettereste fra virgolette, ma la scrivereste in tutte maiuscole, e sfoderereste il ritratto del Migliore in divisa grigio-verde a dimostrazione che, voi, dalla parte di Caporetto non c'eravate, e vi sareste fatti ammazzare piuttosto che esserci!
Conclusione: «Nella guerra futura ... i socialisti italiani (o il Partito socialista unificato? [Montagnana 1963 sognerebbe lui il partito unificato Togliatti-Nenni-Saragat]) saranno apertamente al fianco della borghesia imperialistica (è questa l'ipotesi più probabile) oppure scoveranno una nuova formula che, come quella del 1915-1918 (non aderire né sabotare) non ostacolerà in alcun modo l'azione dell'imperialismo. Il Partito comunista da parte sua [udite! udite!], non avrà bisogno di scoprire nessuna formula nuova [ohimé, verrà il «partito nuovo» con le sue «situazioni nuove» e la «democrazia di tipo nuovo», e sarà talmudico chi non li digerirà]. Esso ha di fronte alla guerra una direttiva precisa che consiste nella politica seguita dai bolscevichi per la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile. E per questo scopo esso lavora fin da ora  chiamando i lavoratori italiani a lottare contro la guerra e contro il capitalismo». Poi, a maggior conferma, a piè di pagina, una citazione da Zinoviev: «La lotta di classe durante la guerra civile diventa necessariamente una guerra civile, non può voler dire altra cosa che guerra civile».
Orbene, ve l'immaginate l'illustre articolista, oggi, a scrivere simili bestemmie! E ad illustrare la... ferrea continuità del suo partito nel seguire, senza bisogno di «nessuna formula nuova», la sua «direttiva precisa»? Così dicevano: giudicate voi come abbiano razzolato!
 
Il Programma comunista, n. 14, 12 - 27 luglio 1963