Cerca nel sito



 


archivio > Archivio sulla sinistra>Tre medici intorno al cadavere vivente della patria (Battaglia comunista, n. 10, 18-31 maggio 1950)

aggiornato al: 28/06/2012

Battaglia comunista, n. 10, 18-31 maggio 1950
Ancora un bell'articolo di più di sessanta anni fa con gli stessi attori (basta cambiare il nome) e le stesse situazioni.
Buona lettura!
 
Tre medici intorno al cadavere vivente della patria
 
Dopo le strombazzature governative dei primi dell'anno sull'avvio di una politica economica intesa a sollevare dal letargo l'economia italiana, e dopo la constatata e prevedibile fine di tutti i nostri piani - un sonno ancor più profondo - era logico che tutti i medici della patria si rimettessero a vivisezionare il quasi cadavere. La polemica che ne è sorta e che ha trovato la sua arena in «24 Ore», e nei Vangeli abbondantemente citati la fonte essenziale delle teorie e delle critiche economiche, è spassosa perché dimostra come la baracca nazionale stia insieme solo per virtù dello Spirito Santo invocato ugualmente da tutte le parti in causa.
I medici sono grosso modo divisi in tre squadre. Della prima è capo il dott. Costa, presidente della Confindustria; della seconda fa parte il governo; della terza sono i campioni da una parte Fanfani - La Pira e dall'altra Di Vittorio. La preoccupazione di tutte tre le equipes è identica: come rimediare a quel grosso grattacapo sociale che è la disoccupazione. Costa propone i mezzi classici degli industriali: incrementare l'investimento privato eliminando la concorrenza dell'investimento statale e liberando il capitale privato dei pesi e dei vincoli che lo mortificano; produrre di più per l'esportazione; fare una politica audace che non condizioni lo sviluppo economico alla difesa pura e semplice della lira, che anzi sarà svalutata; ridurre i salari che sono troppo elevati rispetto alla media mondiale della retribuzione del lavoro. Il governo cerca di salvare capra e cavoli; favorire l'investimento privato ma intensificare quello pubblico; dare una mano all'industria privata ma non riprivatizzare le aziende di Stato; difendere la lira ma aumentare le spese pubbliche; non toccare i salari ma favorire i profitti; esportare ma aumentare il potere d'acquisto del mercato interno. Fanfani - La Pira - Di Vittorio sono per una politica di avanguardia, di iniziativa capitalistica audace - investire, investire, investire; pianificare; attribuire allo Stato i poteri massimi di stimolazione dell'attività economica; condizionare la difesa della lira ad una politica economica di coraggiosa spregiudicatezza. Le tre tesi non solo non ingranano l'una nell'altra, ma si annullano a vicenda: dopo la polemica la situazione sarà la stesa di prima -- tira a campà.
Ma quello che a noi interessa è l'atteggiamento dei sindacati cosiddetti operai, a conferma della nostra analisi e della nostra critica. Nell'articolo pubblicato su «24 Ore» Di Vittorio si presenta come l'enfant terrible della borghesia italiana: la sua è «la soluzione veramente nazionale del problema». «Perfettamente d'accordo» con Fanfani e La Pira, egli chiede una politica di «opere utilissime di cui il paese ha bisogno» che assorba la disoccupazione, incrementi lo sviluppo economico nazionale, aumenti il nostro livello medio di vita. D'accordo anche (questa volta siamo d'accordo pure con Costa...) che la stabilità monetaria è mezzo e non fine; e il fine è lo sviluppo dell'attività produttiva e l'eliminazione della disoccupazione col suo codazzo di spiacevoli conseguenze sociali e persino morali. Di Vittorio è il Keynes sfornato dai sindacati «operai». Quindi potenziare l'agricoltura meccanizzandola per non essere costretti ad importare 1/3 del nostro fabbisogno alimentare come accade oggi (viva l'autarchia, dunque), industrializzare le campagne (che sarebbe un modo di risolvere la ... disoccupazione: strano davvero!); aumentare la produzione elettrica che, oggi, essendo scarsa e quindi di prezzo troppo alto crea «un serio ostacolo allo sviluppo dell'attività produttiva»; costruire case per sostituire quelle in cui le masse vivono oggi bestialmente «con conseguenze fisiche e morali gravissime e costose per la società nazionale» (capite la ragione per cui i «medici» si preoccupano tanto della disoccupazione? Perché costa troppo alla «società nazionale» e perché ha brutte «conseguenze morali»); provvedere a «investimenti massicci (mediante un contributo proporzionale di tutti i ceti, compresi i lavoratori; di prestiti interni ed esteri, redimibili a lunga scadenza e con larghi contributi statali)».
I sindacati sono dunque le forze di punta dello sviluppo capitalistico in Italia, anche se i loro piani non stanno insieme e se suscitano da più parti critiche valide. D'altro lato, le stesse critiche meritano i piani della controparte. La verità è che al capezzale dell'infermo possono avvicendarsi tutti i medici che si vuole; ma l'infermo non guarirà. E per parte nostra ci auguriamo che, insieme con l'infermo (la «società nazionale» tanto cara a Di Vittorio), periscano anche i medici, dagli industriali vecchio stile tipo Costa ai teorici più giovani degli investimenti tipo Fanfani - Di Vittorio fino a quel disperato conciliatore dei litiganti che è il governo, espressione tipica della più tipica virtù «nazionale» ― quella di vivere alla giornata, e lasciare ai santi di provvedere al domani.
 
Battaglia comunista, n. 10, 18 - 31 maggio 1950