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archivio > Archivio sulla sinistra>Le elezioni che accontentano tutti (Battaglia comunista, n. 12, 6-20 giugno 1951)

aggiornato al: 20/12/2012

Battaglia comunista, n. 12, 6-20 giugno 1951
Fra qualche centinaio di anni quando speriamo che l'abominio della società di classe e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non saranno  che un ricordo e un periodo della preistoria da studiare, come verranno ricordati questi anni? Probabilmente come l'epoca della democrazia e delle elezioni, questa farsa per cercare di tenere legato "il popolo" al potere. Forse anche allora qualcuno si chiederà come in questo articolo: "Perché mai tutto questo accanimento nel portare il popolo alle urne?".
 
 
Le elezioni che accontentano tutti
 
Tempo fa, molto tempo fa, circolò una battuta abbastanza carina. La si metteva in bocca a questa o quella figura rappresentativa dell'assemblea parlamentare che, osservando un comune mortale, diceva: «Ha la faccia da fesso! Dev'essere un elettore».
In questi giorni, ad evitare il pericolo della rimessa in circolazione della stoccata, una delle tante organizzazioni che sovraintendono alla morale borghese, ha ripreso per conto proprio il concetto e, con il solito cattivo gusto e con la mancanza di pertinenza che distingue questa gente, ha capovolto i termini e ha fatto affiggere sui muri un volto di ebete con le orecchie a ventola e le labbra penzoloni, sotto il quale ha scritto: «Costui non vota».
E' lo spirito di Pierino che fa la seconda elementare. Ed è tanto più ridicolo in quanto fa pensare che questi intelligenti signori devono immaginarsi gli elettori che si recano alle urne come aitanti individui dal sorriso aperto, la fronte spaziosa e lo sguardo sereno. Per le signore potrebbe valere il consiglio: «Niente più naso lucido. Recatevi a votare».
Perché mai tutto questo accanimento nel portare il popolo alle urne? La radio ammoniva che i violenti e i più furbi sarebbero stati i primi a votare (e con ciò dava la giusta spiegazione delle elezioni come mezzo per mascherare la propria prepotenza), la stampa pubblicava esortazioni interminabili, i muri si coprivano del manifesto suaccennato e di molti altri del genere. Perché, dunque, tanto interesse alla celebrazione del rito?
In verità, i richiami valevano soprattutto per gli elettori dei partiti di destra e cioè per coloro che in pratica sono gli attuali rettori della felice repubblica d'Italia. Un borghese tradizionale, non dà molta importanza al voto. Anche se non lo confessa egli sa, per esperienza, che i fatti veramente importanti avvengono al di fuori del giochetto democratico e perciò è tendenzialmente propenso a trascurarlo. Di qui le implorazioni e gli scongiuri degli orchestratori della festa. I proletari invece, sono sì, i veri sacrificati ma, una volta addormentati nella normale vita quotidiana e incapaci di trovare nell'ostante in corso l'orientamento rivoluzionario, cedono con facilità alla tentazione di compiere un gesto presentato loro come veramente decisivo. Essi sono schiavi, bistrattati, maltrattati quotidianamente. Ad un certo punto i loro stessi aguzzini fanno il volto melato e dichiarano di conceder loro la possibilità di rifarsi, di compiere un atto sovrano. E' comprensibile che le masse ci cadano, tanto più che circolano opportunamente voci misteriose la quali parlano di rappresaglie imprecise ma severe contro chi si sottragga alla «libera votazione».
Che cosa si vuol dire con ciò? Semplicemente che non bisogna prendere sul serio i risultati delle elezioni. Le masse vi sono andate perché era nell'ordine delle cose e perché, evidentemente, la situazione è completamente controllata dalle forze del capitalismo; ma queste stesse masse potranno trovare, anche entro breve tempo, la strada della rivolta alla mistificazione elettorale. L'evolversi della situazione lo imporrà. Il 90 per cento dei votanti o i milioni di schede bianche non significano nulla. Ciò che ha veramente importanza è la constatazione della continuità del regime capitalista, e, per converso, dell'inevitabile scoppio delle sue contraddizioni su un terreno che nessuna elezione potrà mai controllare.
Così pure non ha nessun senso chiedersi chi abbia vinto o perso le elezioni di questi giorni. Se guardiamo l'avvenimento su un piano di classe, dobbiamo dire che le elezioni le vince sempre il capitalismo, come sempre le perde il proletariato. Le ultime, ad esempio, hanno reso felici tutti i partiti dell'ordine costituito: i democristiani perché hanno conservato la maggioranza e conquistato nuovi comuni; i comunisti perché hanno avuto qualche voto supplementare; i fascisti e i partiti di destra perché hanno constatato lo sviluppo delle loro forze; i partiti di centro perché sono sopravvissuti all'avvenimento e hanno conservato l'illusione di avere ancora un ruolo da giocare; tutti insieme perché i proletari sono caduti un'altra volta nell'illusione di risolvere col pezzo di carta della scheda i propri problemi. L'unico che non ha proprio nulla di che rallegrarsi è il povero proletario che è stato giocato una volta di più e constaterà di nuovo, ed entro breve tempo, che razza di appetito abbiano le amministrazioni comunali democratiche. Appetito che solo il proletario può soddisfare come ha soddisfatto tutti i divoratori e le sanguisughe del passato.
 
Battaglia comunista, n. 12, 6 - 20 giugno 1951