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archivio > Archivio sulla sinistra>Il regime mondiale delle rappezzature (Battaglia comunista, n. 40. 17-24 nov. 1948)

aggiornato al: 08/03/2013

Battaglia comunista, n. 4o, 17 - 24 novembre 1948
Un articolo di fine 1948 che ci mostra un mondo capitalistico che si dibatte sempre negli stessi problemi e un proletariato che continua a vivere nella miseria.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi.
 
Il regime mondiale delle rappezzature
 
Se per gli operai il bilancio di tre anni e mezzo di ricostruzione nazionale e di pace democratica è presto fatto, perché si chiama accentuato sfruttamento da parte della classe padronale e dello Stato, sempre più rigido controllo poliziesco, sempre più incombente minaccia di guerra; se, attraverso quella che fu vantata come una spinta innanzi verso la fratellanza universale e il socialismo, il dominio internazionale del capitalismo sulla classe proletaria si è fatto di giorno in giorno più pesante, organizzato e totalitario, è altrettanto vero che questi anni, ogni giorno di questi anni, dimostrano l'incapacità di un regime di esteriore stabilità a reggersi altrimenti che sulle grucce. La società borghese, che ci appare internazionalmente solida e compatta nella sua ribadita vittoria sul proletariato, è in realtà uno scafo incapace di resistere all'assalto delle onde che da tutte le parti l'assalgono. E' la società delle rappezzature.
Un'immagine rimpicciolita, anche se per noi particolarmente tragica, di quest'incapacità di risolvere nessun problema, di questo permanente sforzo caotico di armonizzare forze che si elidono è data dalla società borghese italiana. Sono tre anni e mezzo che la nostra classe dominante si dibatte in problemi che non sa risolvere, in promesse che non sa mantenere, in una incessante corsa a tappare un buco per riaprirne altri. Fedele alle sue democraticissime tradizioni, essa ha splendidamente risolto, questo sì, il problema di corazzarsi di poliziotti, d'inquinare i partiti operai, di ingigantire il suo apparato burocratico; ma che cos'altro ha fatto? La produzione nazionale è rimasta ad un livello di gran lunga inferiore all'anteguerra; non c'è paese in Europa dove il processo di ristabilimento dell'equilibrio produttivo sia stato più tardo. Non migliorata quantitativamente, la produzione non è migliorata neppur qualitativamente; sul mercato internazionale il prodotto italiano è costantemente battuto. La borghesia italiana è stata fra le più elemosinate: continua ad essere fra le più straccione. Il governo ha giurato di difendere la lira; dopo l'inflazione è venuta la deflazione e la lira rotola.. Ha promesso la stabilizzazione, anzi la riduzione, dei prezzi: dopo una artificiale battuta d'arresto i prezzi hanno ricominciato a salire. Ha promesso il graduale riassorbimento della disoccupazione: o piani elaborati a questo scopo non sono durati lo spazio di un mattino. Ha vantato il credito dell'America: gli aiuti americani, o sono digeriti male, o spariscono nei mille rivoli della trafila burocratica, o paralizzano le industrie nazionali, o ... sono rifiutati.
E si  naviga tra inflazione e deflazione, fra la postulazione generica di un ritorno all'economia di mercato e il mantenimento delle bardature dell'anteguerra e della guerra, fra lo sbandieramento di una politica a sfondo liberalista e i finanziamenti a getto continuo per salvare le industrie, fra la politica della lesina e l'aumento costante delle spese, fra le promesse di blocco dei prezzi e dei salari e la realtà di una continua compressione del salario reale, fra le solenni dichiarazioni di non voler allentare le corde della borsa e la continua sollecitazione ad allentarle. Non c'è piano che resista più di un mese, non c'è bilancio che non subisca, nel corso dell'anno finanziario, i più paradossali ritocchi, non c'è calcolo economico che rifletta una situazione reale, c'è un continuo fare e disfare, un alternarsi di dichiarazioni contraddittorie, un sovrapporsi di indirizzi e di programmi, un continuo smentirsi da ministro e ministro, da «luminare» a luminare.
E non è soltanto una caratteristica del governo. E' una caratteristica altrettanto palese dell'opposizione. Quanti piani non ha sfornato la C.G.L. per risolvere i «problemi fondamentali» della nostra situazione economica? Quante dichiarazioni contrastanti non ha reso la dirigenza di ognuno dei partiti espulsi dal governo e aspiranti a ritornarvi? Quante promesse hanno fatto sapendo di non mantenerle? Anche qui, un solo bilancio positivo: accanto ai poliziotti di Scelba, i poliziotti delle gerarchie centrali e periferiche dei partiti e delle organizzazioni sindacali.
Ma forse che il più grande orizzonte internazionale ci presenta uno spettacolo diverso? Con tutta la sua strapotenza, l'America non è riuscita a fare del piano Marshall uno strumento che funzioni e che renda: anche nel suo ferreo apparato mondiale di dominazione continue falle si aprono, tendenze contrastanti si generano, resistenze tradizionali s'incapricciano. Non c'è unità di indirizzo, né al centro né alla periferia, nella sua politica estera. Anche qui si naviga fra deflazione e inflazione, fra allentamento e ristabilimento dei controlli, tra riconversione industriale e ripotenziamento dell'economia di guerra, fra isolazionismo e «internazionalismo», fra protezionismo doganale e multilateralismo. All'interno dell'area non c'è omogeneità di sviluppi: La Francia tira da una parte, l'Inghilterra dall'altra: gli aiuti che dovevano sgominare l'avversario sul terreno economico non guariscono l'ammalato e non mandano all'altro mondo il sano; se non l'oro, la propaganda dell'imperialismo avverso ritarda e corrode la ripresa economica e la monoliticità politica.
All'altro polo della concentrazione imperialistica, il blocco orientale, situazione analoga: anche qui tendenze centrifughe che guastano i piani unitari dell'espansione sovietica, un navigare fra la politica del muso duro e una dannatissima voglia di rifar la pace, un'opposizione al piano Marshall che tradisce un solenne ed insoddisfatto appetito di dollari: se non la propaganda, l'oro dell'imperialismo avverso che ritarda e corrode l'omogeneità politica ed economica dello «spazio vitale». E ancora un volta, sul piano internazionale, come su quello nazionale, un mondo che non va, che non riesce a portare a termine nessuna iniziativa, a dare forma organica a nessun piano, salvo che questo piano non riguardi la standardizzazione degli armamenti, l'istituzione di comandi militari unici, lo sviluppo dell'industria bellica e della produzione di armi nuove, l'internazionalizzazione della polizia.
I soli ministeri che funzionano, i soli produttivi e concreti, sono, nella società borghese di oggi, in Italia come nel mondo, quelli che hanno al loro vertice gli Scelba, i Montgomery, i Bulganin, i Forrestal. Non a torto De Gaulle aspetta la sua ora.
 
Battaglia comunista, n. 40, 17 - 24 novembre 1948