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archivio > Archivio sulla sinistra>La democrazia ha le sue zecche (Battaglia comunista, n. 11, 30 maggio - 9 giugno 1952)

aggiornato al: 20/04/2013

Battaglia comunista,n. 11, 30 maggio - 9 giugno 1952
Ancora un vecchio articolo della metà del secolo scorso su democrazia, fascismo e potere della borghesia con il nostro classico linguaggio.
 
 
La democrazia ha le sue zecche
 
Personalmente, pur potendo scorazzare, come tanti che hanno angosciosi interrogativi da risolvere, sulle piazze accalcate del Sud invase dai sicofanti elettorali a caccia di voti, non abbiamo assistito a nessun comizio. Sono andati in massa coloro che negli ultimi quindici giorni della gazzarra elettorale debbono lasciarsi informare degli avvenimenti del quadriennio trascorso, avendo osservato nel frattempo lo sprezzante atteggiamento verso la «politica» che è proprio di tutti gli asini registrati sui certificati elettorali, destinati a correre trafelati ed emozionati nelle cabine. Noi che ci pregiamo di conoscere da un secolo le rogne della democrazia elettiva, non abbiamo sentito affatto il bisogno di fare nel nostro laboratorio mentale i processi di sintesi e di analisi di tutte le vomitature rovesciate dai pulcinella oratori sulle attonite masse. Però, portato dall'eco, è arrivato alle nostre narici un puzzo non nuovo né sorprendente: il rancido lezzo delle camicie nere.
Non è venuto a caso che il fascismo abbia tentato di rialzare il capo nel pieno dell'orgia schedaiola. La retorica fascista è figliata naturalmente da quella sconcia megera mercenaria che è la democrazia borghese. Che faceva il nuovo regime mussoliniano se non allungare, moltiplicandolo per quattro, il periodo che la democrazia stabilisce tra le convocazioni dei comizi elettorali? Per venti anni, invece che quattro o cinque, è durato il mandato dato «dal popolo» al governo di Benito Gagnasciuga. Sola differenza quantitativa. In sostanza nulla cambiava sul piano dell'inganno e della sopraffazione su cui si fonda la dominazione della borghesia. Da quando la democrazia ha preso dal fascismo la misura tattica di farsi consegnare le redini del governo dall'azione simultanea delle forze tradizionali dello Stato (esercito e polizia) e di formazioni irregolari arruolate per la guerra civile ad obiettivi controrivoluzionari e conservatori, nulla più permette di discriminarla dal fascismo. Nel 21-22 i quattro fetenti in camicia nera, razzolati nei «bassi» della più pidocchiosa piccola-borghesia, riuscirono ad averla vinta sulle avanguardie rivoluzionarie, che il riformismo aveva isolato addormentando e tradendo le masse, solo con l'aiuto dell' Esercito regio e della polizia, prontissimi a dare una mano ai manigoldo squadristi come a massacrare o a seppellire sotto decenni di galera i combattenti proletari. Un movimento che va al potere portato dalle forze dello Stato borghese è rivoluzionario? Lo stesso dicemmo nei riguardi della rigurgitata democrazia post-fascista insediata al potere degli eserciti dell'imperialismo anglo-americano. Un regime che lascia inalterate le basi dello Stato borghese fondato sulla dominazione della borghesia capitalistica che sancisce, nella Costituzione della Repubblica, il principio della intoccabilità degli ordinamenti sociali capitalistici, non distrugge il fascismo, sibbene lo sostituisce.
Avemmo il coraggio rivoluzionario di dirlo apertamente, allorché sulla carogna ingloriosa di qualche gerarca si volle redigere l'atto di morte del fascismo, e sostenemmo chiaramente la tesi classista che la democrazia clerico-stalinista continuava la dominazione sociale della borghesia. Continuiamo a dirlo oggi, resistendo fermamente alla sirena antifascista che torna a cantare. Se sulla cagna impudica della democrazia parlamentare sono cresciute le zecche fasciste, ciò sta a dimostrare ancora una volta che le due forme di governo borghese sono fatte l'una per l'altra, vivono in simbiosi. I prossimi giorni ci diranno come la classe dominante riuscirà a trarre vantaggio dalla contrapposizione democrazia-fascismo, in nome della quale, gli operai non debbono dimenticarlo, fu combattuta la seconda guerra mondiale. Toccherà agli operai rivoluzionari svelare il gioco.
Il partito rivoluzionario del proletariato non ha una politica per lottare contro la democrazia, e un'altra per combattere contro il fascismo. Ciò per il fatto che democratici e fascisti sono forze al servizio della unitaria classe borghese. Ha una sola lotta, una sola politica, quella della lotta di classe contro la borghesia , che nega la possibilità della conciliazione degli interessi dei capitalisti e dei proletari, e tende al supremo obiettivo dell'abbattimento rivoluzionario del potere statale borghese, tenendo presente in ogni momento che la condizione per arrivarvi sta nella spietata delimitazione e contrapposizione all'opportunismo, che si acconcia perfettamente e al regime democratico e a quello  fascista, mai alla fatica di percorrere la via dura e tormentosa della Rivoluzione.
 
Battaglia comunista, n. 11, 30 maggio - 9 giugno 1952