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archivio > Archivio sulla sinistra>I lupi ridiventano agnelli (Battaglia comunista, n. 19, 11 - 18 maggio 1949)

aggiornato al: 04/05/2013

Battaglia comunista, n. 19, 11 - 18 maggio 1949
Un bell'articolo di fine anni quaranta (del secolo scorso) che annuncia "distensione", "pace" e sfruttamento intensificato!
Buona lettura.
 
 
I lupi ridiventano agnelli
 
 
Sul frastuono assordante di questi ultimi mesi è improvvisamente calato il bianco lenzuolo della distensione. I direttori di orchestra della diplomazia, della politica, dei sindacati, della stampa, hanno cambiato registro: è bastato un cenno da Washington e da Mosca perché la marcia funebre si trasformasse in marcia trionfale, perché le mani che sembravano irrevocabilmente decise a non più stringersi si ricongiungessero. Madonna Pellegrina e Colomba picassiana si contendono l'onore di aver riportato in mezzo a questo branco di lupi il mite ramoscello di ulivo della pace. Addio petizioni, addio raccolte di ex-voto: il cuore dei criminali di guerra è stato toccato!
Dietro Madonne e Colombe c'è una realtà sola: la strapotenza americana ha imposto al mondo la sua legge. La distensione non è che il riconoscimento di questa realtà di fatto: il centro capitalistico a più alto potenziale economico si è conquistato il diritto di reggere, da buon cane da guardia le sorti della galera imperialistica internazionale. Congressi e processioni non c'entrano.
A guardare le cose in superficie, siamo di fronte a una gigantesca disfatta russa nella corsa ad inseguimento con l'America. Le condizioni che la diplomazia del Cremlino aveva dichiarato inaccettabili ieri sono accettate oggi; l'abisso cosiddetto incolmabile di ieri è diventato la passerella di oggi; l'irrevocabile conflitto fra capitalismo e «socialismo» è divenuto la pacifica convivenza di entrambi; all'inarrestabile processo di concentramento e di integrazione le cui tappe sono il piano Marshall, l'unione occidentale, il Patto Atlantico, la creazione dello Stato della Germania occidentale, la Russia non può contrapporre che la crisi del blocco orientale e l'avanzata in Cina delle truppe di Mao contro un Ciang Khai Scek che la stessa America ha abbandonato alla sua sorte per ritessere la tela degli accordi col generalissimo delle armate «rosse».
Ma, se è vero che la distensione suggella l'avvenuto consolidamento dei rapporti di forza su scala internazionale a favore del ladrone imperialista d'occidente contro il ladrone imperialista d'oriente, la realtà del nuovo clima di pace è ben più complessa di questa formula da consiglieri di amministrazione di trust imperialistici. La realtà è che la società capitalistica internazionale, unitaria nell'insieme dei suoi fenomeni, interpenetrabile nell'insieme delle sue manifestazioni, apre un capitolo nuovo della sua avventurosa marcia, non negando ma completando il precedente, e perseguendo il costante obiettivo di stritolare sotto il suo solidale rullo compressore le residue forze del proletariato. Sono i due grandi centri monopolistici di questa società internazionale di briganti che aprono, in un dialogo a porte chiuse, l'era della distensione, come erano essi a dominare la scena della guerra fredda. Non c'è, fra loro, il vincitore che spezza le reni al vinto: c'è il più forte che chiama il più debole -più debole rispetto a lui, ma più forte rispetto a tutti gli altri - alla compartecipazione pacifica ad un dominio che non può essere se non collegiale. Sono rapporti di affari che si stringono fra i due grandi gruppi monopolistici: c'è un do ut des, in cui importa poco che le condizioni fondamentali siano dettate dal più forte, se il risultato del contratto è, in definitiva, una compravendita. Lavoriamo d'accordo a stritolare il mondo, a mungere la classe proletaria di tutti i paesi, a mantenere l'ordine dovunque; abbiamo fatto baruffa per trarre ciascuno il partito maggiore nelle trattative commerciali future: ora sappiamo chi poteva guadagnare di più; tiriamo le somme e lavoriamo insieme, sotto l'unica ragione sociale Washington-Mosca, anche se il pacchetto più compatto di azioni lo detiene zio Sam. E' questo il contenuto del dialogo fra reggitori e dittatori del mondo, che si chiama, nel linguaggio corrente «la distensione».
I riflessi sul piano politico di tutti i paesi sono così chiari come immediati, tant'è vero che la cosiddetta vita politica delle democrazie bianche rosa e rosse non è che il pallido e anemico riflesso delle vicende alterne dei rapporti fra i superiori centri dell'imperialismo. Se il periodo della guerra fredda ha giovato alla stabilità capitalistica richiamando le masse proletarie ad una parvenza di lotta dopo il grigiore malinconico della collaborazione e ridonando una verginità piazzaiola e agitatoria ai partiti della ricostruzione nazionale e della tregua fra le classi, il periodo della distensione non è che la raccolta dei frutti, sul piano sociale, di quel secondo atto della cinica commedia di questo dopoguerra. La classe operaia, sbattuta fra i marosi dei «terribili» contrasti fra maggioranza e minoranza, fra governo e opposizione, spezzata in organismi sindacali concorrenti, mobilitata a seguire bandiere divise ma fondamentalmente identiche, è oggi chiamata a galleggiare sul mare d'olio della distensione. In questo mare d'olio, la funzione delle parti avverse è complementare come nella procella: una sostiene l'altra, tutte due tirano la corda al grande impiccato di questi anni di democrazia progressiva: il proletariato.
Smussare gli angoli dei conflitti di lavoro, stringersi di nuovo la mano in nome della democrazia, ridare nuova vita, sebbene in forme diverse, alla benemerita opera della ricostruzione: questa è la prospettiva politica della «pace» che viene. Nulla dovrà più turbare, all'interno dei singoli paesi, la pacifica opera di sfruttamento collegiale del mondo che i due sommi reggitori dell'imperialismo si preparano a compiere nel prossimo avvenire. Scelba all'ennesima potenza: è questa la formula del nuovo clima di pace. E poiché non c'è buon poliziotto senza buon mediatore dei conflitti di lavoro, Fanfani all'ennesima potenza. Lo Stato sarà una volta di più, nella propaganda e nella pubblicistica del prossimo futuro, il buon padre, superiore ai capricci e alle baruffe fra le classi.
Ne hanno avuto una prima degustazione gli operai italiani in lotta per la difesa del pane e del lavoro. Che importa il ridicolo, agli orchestratori della guerra fredda e della pace tiepida? Possono organizzare scioperi, disdirli, riorganizzarli ancora, sconfessarli infine; possono avanzare condizioni irrevocabili e revocarle un momento dopo; possono spezzare le trattative per non aver accettata la impostazione «avversaria» e riprenderle proprio sulla base di quest'impostazione. Possono negare oggi la possibilità di conciliazione e affermarla domani; gridare al fascismo di De Gasperi e al torquemadorismo di Scelba alle ore tredici, e tendere loro la mano alle tredici e un quarto. E cantar vittoria.
In una situazione tragica come quella in cui si dibattono due milioni e mezzo di disoccupati, nel buio di una tempesta che sa di fame e di guerra Di Vittorio può tornare dal Mosca col saio del terziario francescano e dire: «Siamo lieti di questa prospettiva di accordo generale. Vogliamo un po' più di pane, di tranquillità, di stabilità, un po' di felicità. Nella nostra casa deve entrare il sorriso e la luce dell'amore». Sono le parole autentiche dell'intervista concessa dal reduce. Capite? Avremo, in pieno regime capitalistico, il sorriso e la luce dell'amore. Padrini Costa e Di Vittorio, Pastore e Bitossi, De Gasperi e Togliatti, Truman e Stalin.
E' questa, proletari, la «pace». Alla guerra ci ripenseranno dopo.
 
Battaglia comunista,n.19, 11 - 18 maggio   1949