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archivio > Archivio sulla sinistra>Voleva Beria subito rimuovere... (Il P. comunista, n. 14, 23 luglio - 24 agosto 1953)

aggiornato al: 06/07/2013

Il Programma comunista, n. 14, 23 luglio - 24 agosto 1953

 Un altro articolo del 1953, tratto dal nostro giornale, che si riferisce alla caduta, dopo la morte di Stalin, di Beria.


       Voleva Beria subito rimuovere la mimetizzazione in rosso?

 


La classe dominante russa all'epoca della defenesterazione di Beria può dire di aver conquistato tutto il potere, tranne il diritto di chiamarsi col suo vero nome. Finché sarà costretta, per chiarire a se stessa e risolvere i propri problemi, a servirsi comunque di un metodo che è l'arma critica del suo nemico di classe — il materialismo marxista — sulla sua dominazione peserà una pesante ipoteca. Dovrà liberarsene, presto o tardi, con mezzi pacifici o con l'esercizio del terrore. Dovrà «scegliere la verità», essa che è sempre vissuta nella menzogna ideologica e nella frode fondata sulla soppressione dei nemici. Non è lontano il giorno in cui le antenne di radio Mosca, da cui si irradiano le infami accuse formulate da Viscinski contro i bolscevichi, detteranno la «confessione» della nuova borghesia russa.

L'eliminazione della corrente di Laurenti Beria, vice Primo Ministra degli Interni dell'Urss, dall'apparato dello Stato e del partito, e la sopravvivenza della linea politica tradizionale sostenuta dal Governo e dal Comitato Centrale del partito stalinista, stanno a dimostrare che l'automascheramento, la definitiva deposizione del travestimento socialista fin qui adoperato a nascondere l'effettivo contenuto e dinamica capitalista dello Stato russo, è solamente rinviato. Malenkov, sostenuto dalle baionette dell'esercito e dai bonzi imborghesiti del partito, ha imposto la sua tattica temporeggiatrice, la sola che veramente si addica ad una classe dominante che chiede unicamente di «sedersi», di godersi i propri privilegi, rifuggendo dalle misure troppo drastiche. Beria rifiutava di attendere, perciò è stato bloccato.

Quando il Kremlino rinuncerà alla truffa ventennale della camuffatura del capitalismo russo gridante da tutti i pori la sua identità esso l' avrà fatto non certamente per un sopravvenuto senso di ribrezzo morale verso l'inganno e la mistificazione di cui è sempre vissuto. Né per un atto di volontà. Essa è sospinta al gran passo perché deve rimuovere un equivoco che ostacola fortemente la penetrazione dell'influenza russofila tra le borghesie occidentali, perché la sua politica nazionalista ed imperialista imposta dallo sviluppo della rivoluzione industriale non ammette altra alternativa. In quel non lontano trapasso, saranno coloro che oggi sostengono il Gabinetto Malenkov a tradurre in pratica le rivendicazioni di Beria.

Se avesse un senso fare il processo alle forze storiche, le accuse mosse dal Comitato centrale moscovita a Laurenti Beria potrebbero essere rivolte a tutta la classe dominante, cui e la corrente predominante di Malenkov e l'opposizione di Beria solidamente appartengono. L'accusa principale contesta all' imputato il delitto di intersa con il «capitale straniero». Quale carica di cinismo nelle parole di coloro che rappresentano politicamente una classe che è debitrice appunto all'imperialismo internazionale del suo potere!

La storia, non lunga né movimentata della borghesia russa è la storia di una classe che non ha combattuto mai di persona i propri nemici. La distruzione delle impalcature semifeudali zariste non fu opera sua: nel 1905 si accordò tremante al proletariato insorto, nel 1917 rifuggì ancora dal suo compito rivoluzionario lasaciando che se ne impadronissero le masse operaie e contadine guidate dal Soviet. Quando il fradicio edificio zarista prcipitò, rimase seppellita sotto le sue macerie fumanti. Vi ci avrebbe lasciato le ossa morendo ancor prima di nascere, se la controrivoluzione imperialista, il cui centro dirigente si localizzò ngli anni dal 1917 al 1921, non già in Russia, ma fuori di essa a Londra, cuore dell'imperialismo, non fosse riuscita ad opporre una invalicabile diga alla rivoluzione proletaria dilagante oltre le frontiere russe. IL ripiegamento internazionale del bolscevismo, reso possibile principalmente dal lavoro disfattista dell'opportunismo socialdemocratico, la scosse dal letargo. All'odore di morto, i Viscinski ricordrono di essere sciacalli, e allora si alzarono dalla polvere ad attaccare a pugnalate alla schiena il proletariato rivoluzionario e il magnifico stato maggiore bolscevico, che non avevano potuto nemmeno sperare di domare con le proprie mani.

Da che derivò il potere la fazione stalinista in seno al partito comunista russo? Non dalla vittoria della Rivoluzione comunista ma dalla controffensiva della reazione imperialistica mondiale che respingendo l'ondata rossa entro i confini della Russia, permise che trionfasse la tesi staliniana della costruzione del «socialismo in un solo paese». Fin da quando fu lanciata tale mostruosa deformazione del marxismo, ne dimostrammo sul piano critico la fondamentale menzogna; possiamo dimostrare oggi, in base ai dati di fatto, che essa servì a coprire la conquista della Russia al modo di produzione capitalista, basato sul lavoro salariato, sul mercato nazionale, sulla divisione in classi. Fatto non dovuto né ad usurpazioni né a tradimenti di gruppi, e nemmeno alla volontà degli sparuti rappresentanti della reazione antioperaia.

L'industrializzazione premeva incoercibilmente nelle viscere della vecchia Russia. Le forze produttive, liberate dalla Rivoluzione di Ottobre, si avventarono sulla via del socialismo, che significò nel 1917-21 fusione della arretrata arera russa con la super-industrializzata area euro-americana. Essendo la via sbarrata, l'industrializzazione dovette sorgere nelle forme capitalistiche. Ciò non fu dunque un apporto del capitale straniero? Uno straripamento che tuttora dura del capitalismo in Russia e in Asia? E su quale base sociale poggia il governo di Mosca se non sulla classe dominante borghese cresciuta rigorosamente sull'industria e sul commercio? Non soltanto Beria e i suoi seguaci, ma tutto quanto il regime al potere in Russia è una filiazione del capitalismo mondiale e un presidio della controrivoluzione. Se mancassero prove, basterebbero le alleanze strette in guerra dal Kremlino, prima con la Germania nazista, indi con le Potenze anglo-sassoni. Oppure il fatto che mentre si colpiva Beria con l'accusa di agente del capitale straniero, la stampa moscovita ribadiva la politica del Governo diretta ad ottenere un'intesa con Stati Uniti, Inghilterra e Francia.

L'accusa a Beria di essere un «mercenario venduto» alle Potenze occidentali quasi che l'onnipotente capo di tutte le polizie ordinarie e segrete, avesse bisogno di denaro e di potere, serve unicamente a sfruttare la superstizione del pubblico, di quello che si fa una cultura storica sui libri di A. Dumas, tanto cari all' «Unità». Che però Beria sentisse profondamente il grado di parentela con le borghesie occidentali, crediamo fermamente che risponde a verità, nonostante sia detto dalla «Pravda». La sua immissione nel triumvirato succeduto alla direzione del Governo, dopo la morte di Stalin, avvenuta nello scorso marzo, dimostra che i suoi colleghi Malenkov e Molotov, che ora ricevono le dichiarazioni di fedeltà del partito e dell'esercito, condividevano e condividono le sue aspirazioni a un'intesa con l'Occidente. Alla richiesta reiterata di «prove di buona volontà» fatta quotidianamente dal Governo americano, Beria non avrebbe esitato a liquidare la bastarda ideologia social-stalinista, mostrando in tal modo il capitalismo russo senza veli. Malenkov ha inteso prendere tempo.

Ufficialmente, la delicata manovra che dovrà a più o meno lontana scadenza, liberare il volto della classe dominante russa del belletto socialista, si inizia, non con il tentato colpo di mano di Beria, ma sibbene con la decisione di Stalin di esporre criticamente i modi e la linea di sviluppo dell'economia russa. Fatto veramente nuovo, se si considera che giammai il Partito staliniano aveva acconsentito a porre in discussione un argomento che considerava dimostrato una volta per tutte, indiscutibile come il dogma dell'Assunzione, e cioè il «socialismo» russo. Vedendo la luce all'epoca del XIX Congresso del P.C. Dell'URSS, il saggio staliniano su «I problemi economici del socialismo nell'URSS» assumeva una eccezionale importanza. Lo stesso autore non faceva mistero di taluni fondamentali caratteristiche e dislocazioni della produzione nazionale russa, da cui agevolmente si poteva ricavare che il preteso socialismo sovietico si riduce a volgare capitalismo di Stato, che a sua volta interessa solo un settore dell'economia russa, e cioè la grande industria. Tuttavia Stalin compiva un serio quanto inane sforzo per cercare di rinserrare una materia vivente che urlava la sua inconfondibile natura capitalista., entro gli schemi di un comunismo falsificato. Stalin è morto senza volere piegarsi alla necessaria «confessione». Della tempra del bolscevismo, che pure aveva fatto fucilare e sotterrrare, gli era rimasta comunque qualcosa: la rigidità teorica. I suoi eredi, capeggiati dall'idropico Malenkov, non sanno che farsene, sono i figli legittimi di una classe dominante che ha un solo Dio: il rublo.

L'accusa, un'altra della lunga serie, mossa a Beria di impedire «in ogni modo possibile la soluzione di problemi urgenti e di grande importanza nell'agricoltura» e di farlo «allo scopo di indebolire il colcos» (cooperative agricole) sta a provare che il massiccio intervento dello scritto di Stalin non è valso a liquidare la polemica interna sulla linea di sviluppo dell'agricoltura. Il defunto maresciallo non esitò a renderne pubblici i termini contrastanti: ammise che esiste una corrente orientata sostanzialmente verso la completa privatizzazione dell'economia agraria da ottenersi mediante la vendita in contanti, anziché la cessione in usofrutto, del macchinario agricolo messo a disposizione dalle stazioni di macchine e trattori di proprietà dello Stato. Fece persino i nomi dei suoi rappresentanti: A.V. Sanina e V.C. Vengser. Stalin criticava duramente questa tesi definendola una misura tendente a «frenare la nostra avanzata verso il comunismo». Così dicendo egli agiva in coerenza con la falsa teoria che socialismo significhi gestione statale della produzione.

L'accusa a Beria di attentare al vigente sistema colcosiano, in vista della «restaurazione del capitalismo» sta a provare che i nomi presi a bersaglio da Stalin servivano evidentemente a personalizzare una corrente che conta largo seguito nel partito, nel governo, nella classe dominante. Troppo forte dunque per poterla ignorare.

Il capitalismo agrario è dato in Russia dall'appropriazione privata dei prodotti e dalla loro distribuzione attraverso il mercato. L'intervento dello Stato nella produzione agricola attraverso il maneggio dei grandi mezzi meccanizzati, costituisce solo una falsa etichetta di socialismo, ma un pesante carico finanziario, un «passivo», per il bilancio statale. Stalin tentò di frenare sul piano polemico l'irresistibile tendenza a sanare la piaga, buttando via i cartelloni socialisti, e istituendo la vendita a contanti del macchinario agricolo ai contadini. Ciò comporterebbe profondi sconvolgimenti nelle campagne, giacché non tutti i colcos sono milionari, come si compiace di ripetere l' «Unità». Ma darebbe il via ad una colossale speculazione. La «confessione» verrà dal settore dell'agricoltura? Il fatto che Malenkov abbia dovuto rinunziare alle risorse della penna, e fare affidamento sui carri armati dell'esercito, sta a dimostrare che presto o tardi il Governo dovrà liquidare le residue esitazioni. Beria vincerà da morto?

Presto o tardi il capitalismo che fortemente si è piantato in Russia, e ancora avanza in Asia, diventerà una nozione banale, una verità accettata senza discussioni. Le ultime menzognere velature cadranno. Il governo di Mosca apparirà per quello che veramente è: il comitato di interessi di una feroce borghesia, un puntello dell'imperialismo, un vassallo degli Stati Uniti. Un proletariato ancora accecato è pure capace della rivolta di Berlino Est. Che accadrà al mondo borghese, a questa sporca fogna, quando la futura Internazionale rivoluzionaria chiamerà e guiderà alla suprema lotta le masse lavoratrici del mondo? La bomba atomica, infinitamente più potente di tutte le armi del capitalismo, che possiede il proletariato si chiama: teoria marxista, rivoluzione, dittatura del proletariato. Presto o tardi, la «sicura» salterà, l'atomica rivoluzionaria esploderà.


Il Programma comunista, n. 14, 23 luglio – 24 agosto 1953