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archivio > Gli scheletri nell'armadio>G. Amendola, Vigiliamo contro i trotskisti-bordighisti mascherati, L'Unità, n.6, 1938

aggiornato al: 29/12/2007

L'Unità, n. 6, 1938

Questo articolo pubblicato da «L'Unità» clandestina nel 1938 ci fa toccare con mano il clima del tempo: l'imperversare dello stalinismo con "i grandi processi di Mosca" che in tre tornate liquida la vecchia guardia bolscevica, il massacro in Spagna di anarchici e militanti del POUM non tanto da parte fascista ma  da parte delle bande armate staliniste  e infine la guerra che si avvicinava.

L'autore di queste righe è il napoletano Giorgio Amendola (1907-1980), figura di primo piano del PCI.

Giorgio Amendola, figlio di Giovanni Amendola nacque nel novembre del 1907 ("veniva battezzato dal Papa in San Pietro poco prima di Natale"); alla morte del padre, nel 1926 in seguito alle percosse ricevute in un agguato fascista, il fratello di questi Mario Salvatore divenne tutore dei figli. Salvatore Amendola  era amico di Amadeo Bordiga e fu proprio nella casa dello zio che il giovane Giorgio conobbe Bordiga.

Alla fine degli anni venti quando si avvicinerà al PCI Giorgio Amendola troverà il partito "intriso di bordighismo, mentre noi lo ricostruivamo su basi nuove". Il noi si riferisce ai suoi amici Emilio Sereni, Manlio Rossi Doria ed Eugenio Reale e le basi nuove sono quelle del più bieco stalinismo.

Il livore e l'odio verso Bordiga rimasero sempre vivi e presenti in Amendola e non cessarono nemmeno dopo la destalinizzazione. In una corrispondenza con Alfonso Leonetti del 1976 (Belfagor, n. 1, 31 gennaio 1977) Amendola arriva ancora a dire che Bordiga si schierò  «nel campo di Hitler» e aggiunge che, bontà sua,: «il problema vero è di comprendere come un uomo come Bordiga sia giunto a quelle posizioni, che cosa nella sua formazione e personalità lo poterono spingere a quel punto di degradazione politica e morale».  A queste asserzioni Leonetti non può che rispondere: «se è vero che Tasca  è finito "fuori del movimento comunista" non si può dire la stessa cosa per Bordiga. Semmai, per Bordiga, saremmo finiti noi -io e te- fuori "del movimento comunista". (...) Non si può dire di Bordiga che egli si sia "schierato nel campo di Hitler". Nel 1976 simili argomenti non possono suscitare che indignazione, e difatti la suscitano».  Quarant'anni prima le cose erano invece diverse...

 

 

Vigiliamo contro i trotskisti-bordighisti mascherati!

 

La trasformazione del bordighismo e del destrismo da correnti antileniniste del movimento operaio italiano in una banda di contro-rivoluzionari al servizio del fascismo, non si esprime soltanto nelle posizioni di vergognosa capitolazione e di passaggio al nemico dei Bordiga, Damen, La Camera, Graziadei, ecc. Dietro di loro altri hanno sceso più o meno rapidamente il pendio che doveva portarli nelle file della contro-rivoluzione. Alcuni di questi elementi sono stati già smascherati. Ma noi vogliamo oggi, soprattutto, attirare l'attenzione sul fatto che più d'uno di questi nemici del nostro Partito è ancora nascosto nelle nostre organizzazioni di base. A causa del modo insufficiente con cui si è lottato contro il bordighismo, degli avversari della politica del Partito e dell'Internazionale sono riusciti a restare nelle nostre file.

 

Al servizio del fascismo

Vi sono dei compagni i quali pensano ancora che i trotskisti bordighisti italiani, o almeno una parte di essi siano sfuggiti a questo processo e siano ancora, pur avendo abbandonate le posizioni comuniste, degli antifascisti.. In realtà le particolari condizioni italiane hanno favorito più che ritardato questo processo. La pressione ideologica e poliziesca del fascismo, l'acutizzazione della lotta di classe e l'inasprimento della situazione internazionale, hanno spinto al servizio del fascismo tutti coloro che, non essendo mai stati profondamente legati alla classe operaia e alla sua avanguardia, non avevano saputo rompere a tempo e definitivamente con le posizioni trotskiste e bordighiane di sfiducia nella possibilità di costruzione del socialismo in un solo paese, di avversione alla dittatura del proletariato, di opposizione alla formazione di un vero partito d'avanguardia della classe operaia, di capitolazione davanti all'offensiva fascista.

Nella grande battaglia che da anni si combatte nel mondo tra le forze della pace e della democrazia, strette intorno all'U.R.S.S., e il fascismo, costoro si sono trovati fra i nemici del popolo, animati dalla volontà risoluta di impedire il trionfo delle forze democratiche, pronti ad applicare in Italia la «linea» trotskista del lavoro nascosto e sotterraneo, della pugnalata alle spalle.

Il fatto che in Italia vi sono dei compagni fondamentalmente onesti i quali, sotto l'influenza del fascismo, cadono in errori, a volte assai gravi, di incomprensione e di settarismo, e che verso di essi il Partito deve usare, in primo luogo, dei metodi di persuasione e di rieducazione, è stato utilizzato da questi nemici per cercare di giustificare i loro errori passati e di riguadagnare la fiducia del Partito, per conservare l'arma preziosa dell'appartenenza al partito  e cerare di arrivare a dei posti di direzione. Essi sono diventati coscientemente dei nemici a doppia faccia.

 

Nemici nascosti

Il loro modo d'agire è caratteristico. Essi abbondano talvolta in ampie dichiarazioni di accordo con la linea del Partito. Quando hanno a che fare con un elemento sano e politicamente preparato essi rimangono coperti. Ma appena si accorgono che una scarsa preparazione politica e la particolare influenza della stampa fascista hanno creato in qualche compagno uno stato d'animo di dubbio e di perplessità, essi versano, graduando abilmente la dose, il loro veleno trotskista cercando di fare di questo militante un loro complice, persuadendolo che per poter rimanere nel Partito è meglio fingere e lavorare sott'acqua.

Seminando la sfiducia e il disorientamento politico, questi nemici sono il battistrada e spesso gli agenti diretti della provocazione e della polizia. La loro presenza nelle nostre file, è certamente un pericolo che non deve essere sottovalutato e che esige in tutti i militanti la massima vigilanza rivoluzionaria.

Alcuni compagni pensano che i trotskisti italiani sono pochi e quindi non possono essere pericolosi. Questi compagni evidentemente non si ricordano quello che Stalin ci ha insegnato: «Per rovinare e sabotare non è affatto necessaria una grande quantità di persone. Per costruire il Dnieprostroi bisogna mettere in movimento decine di migliaia di operai. ma per farlo saltare bastano forse alcune diecine di persone, non di più». Basta un provocatore bordighiano, un nemico a doppia faccia, insediato in un posto di direzione o anche alla base di una nostra organizzazione, per rendere vani gli sforzi e i sacrifici di diecine e diecine di militanti devoti alla causa del Partito, e per farli colpire duramente dalla polizia.

 

Epurare le organizzazioni

La caccia a questi nemici è certamente impresa non facile, che richiede una grande vigilanza rivoluzionaria., ma la conquista del bolscevismo, la conquista dell'unità ideologica, la formazione di quadri capaci di realizzare la politica di unione del popolo italiano voluta dal nostro Partito è condizionata al successo di quest'azione di smascheramento dei banditi a doppia faccia nascosti tra noi. Bisogna con fermezza applicare la risoluzione dell'Internazionale Comunista del maggio 1937 che prescrive di  «epurare le organizzazioni del Partito degli elementi trotskisti mascherati, inviati dal nemico di classe allo scopo di disorganizzare i partiti comunisti, ritirare dai posti di responsabilità gli ex-trotskisti che non hanno dimostrato attraverso il loro lavoro, durante un certo numero di anni, di avere abbandonato sinceramente il trotskismo e di essere veramente devoti al Partito e alla classe operaia».

Contrariamente a quello che vorrebbe un certo liberalismo ancora troppo diffuso tra certi nostri compagni, le «condizioni particolari» della lotta in Italia ci impongono di essere particolarmente esigenti e severi nel valutare questa prova.

 

G. Amendola

 

L'Unità, n. 6, 1938